Lo scorso venerdì è uscito IGOR, il nuovo album, il nuovo alter-ego, la nuova era di Tyler, The Creator.
A preannunciarla era stato proprio Okonma, in uno dei tweet in cui ci ha avvisati che, no, quello che stavamo per ascoltare non era un album rap e che avremmo dovuto avere un approccio più aperto e meno enciclopedico nei confronti di questo nuovo capitolo.
Insomma, sapevamo a cosa non andavamo incontro, ma non a cosa andavamo incontro.
Nonostante questo e proprio per questo, quando IGOR è uscito abbiamo preso alla lettera il consiglio di Tyler:
“Just go, jump into it”
Così al primo, al secondo, al decimo ascolto di IGOR ci siamo fiondati in ogni traccia con eccitazione, con meraviglia, e poi ancora con la curiosità di scoprire i featuring nascosti in tracklist.
I brani, la storia, le storie di Instagram, il concetto, i video teaser, i tweet, la nuova immagine di Tyler, The Creator: ad ogni ascolto e ad ogni news ci siamo accorti di quanto quest’album fosse denso e meritasse, al di là di tutto, un’analisi un bel po’ dettagliata.
Perciò, dopo una catena di ascolti più o meno ingenui, siamo inevitabilmente caduti nella trappola dell’analisi, spinti, più che altro, dalla voglia di trovare una risposta positiva e “definitiva” alla domanda “Che cos’è IGOR?”.
Chi è IGOR?
IGOR si legge EEgor e non Aigor ed è ben più del nuovo album di Tyler, The Creator.
Con questo nuovo progetto, Tyler si è creato una nuova identità che prende in prestito il nome all’aiutante gobbo di Frankenstein Junior ma rappresenta un uomo vulnerabile, spezzato in due dalla fine della sua relazione con un uomo che l’ha lasciato per tornare dalla sua ex.
Il suo identikit esce preciso come da uno scanner, nel brano e nel video di “EARFQUAKE”: quell’uomo in parrucca bionda, occhiali scuri e abito sartoriale è ospite in uno show televisivo e continua a cantare “Don’t leave, It’s my fault” anche se lo studio sta andando in fiamme e il suo volto si sta carbonizzando. Incendio, per altro, che lui stesso ha causato gettando incautamente una sigaretta al di là del piano.
IGOR è, almeno nella prima parte del disco, una persona che ha perso totalmente il controllo, un burattino in preda alla sua stessa disperazione.
Quello che ci viene raccontato in quest’album è un amore tossico almeno quanto il fumo che viene da un incendio, ma prima che IGOR se ne accorga e si riappropri di un approccio sano alla realtà, passa per stati confusionali, ammissioni di colpe, strategie d’innamoramento.
Ci sono brani come “I THINK” e “RUNNING OUT OF TIME” in cui, oltre a chiedersi come fare per esprimere i suoi sentimenti (citando anche “Call Me By Your Name” di Luca Guadagnino), Tyler confessa “I been runnin’ out of spells to make you love me” . Ma in amore, si sa, non c’è magia che tenga e non c’è lo strumento bacchetta magica che in un clic ti cancella tutti gli ostacoli e ti rende il campo libero.
E non è una soluzione neppure l’omicidio (“She’s gonna be dead, I just got a magic wand (Don’t leave) / We can finally be together” canta e ci inquieta in “NEW MAGIC WAND”).
E allora come si esce vivi da una non-relazione?
Riappropriandosi di se stessi.
“A BOY IS A GUN”, un ragazzo è una pistola, un’arma potentissima e forse la più distruttiva di tutte. Una volta capita questa cosa qui, IGOR può guardare la sua vecchia relazione ponendosi a debita distanza, a una distanza di sicurezza che non lo bruci e che, finalmente, non gli faccia più male.
Così, negli ultimi brani dell’album, IGOR dialoga con la sua coscienza e accetta l’impossibilità di questo amore e, anche se non sa se riavrà mai più il suo cuore indietro, quel che conta è esser giunti a questo punto: “I don’t love you anymore (You wasted my time and I know that these things are not hard)“.
Cosa ascoltiamo quando ascoltiamo IGOR
La musica che scrive Tyler, The Creator è il riflesso pieno della sua unicità e dell’evoluzione che, negli anni, ha interessato la sua stessa immagine (a questo proposito vi consiglio un interessantissimo articolo scritto da Francesco Abazia su Esquire)
Abbiamo già detto che IGOR non è un album rap e questo perché Tyler non è più semplicemente un rapper. Può sembrare tautologico, ma serve a rendere più cristallina e semplice la cosa.
Tyler è un designer, un’icona di stile nel paradiso dello streetwear che ha lanciato un suo brand fatto di abiti sartoriali e tinte pastello e, anche in musica, ha trovato un’originalità artistica ormai lontana dal regno dei rapper. Tyler gioca un altro campionato e questo ultimo disco, che in qualche modo continua nel sound ciò che aveva iniziato con “Flower Boy”, porta avanti una linea che, come nel suo brand, accosta blocchi di tinte differenti: in IGOR troviamo principalmente le melodie morbide dell’R&B ma accostate certe volte a synth durissimi e a incursioni rap (per lo più per mano di qualche collaboratore che Tyler ha voluto nel suo disco: Kanye West, Playboi Carti, Slowthai, Lil Uzi Vert).
Potremmo dire, per quanto serva, che la sua musica è più vicina a quella di .Paak o di Frank Ocean ma è un paragone che ha bisogno di troppe puntualizzazioni per essere accolto pienamente.
La prima di queste è che il suo è un modo di fare musica che va oltre la musica e si incontra con l’arte. E l’arte lo rende liberissimo di uscire dagli schemi, dalle etichette precise, di oltrepassare il rap, essere IGOR ma farsi riconoscere sempre come Tyler, The Creator.