Per il secondo episodio di IN STUDIO, il nuovo format di Collater.al per scoprire gli studi dei creativi, siamo andati in zona China Town a Milano, nello studio sotterraneo di Cosma Frascina. Approdato a Milano dal Salento, Cosma ha da subito conquistato la città con la sua arte, che oscilla su quella sottile linea che divide il collectible design e l’arte contemporanea, anche se lui preferisce definirsi artista. Forse perché i suoi oggetti d’arredo sono più sculture funzionali e, più recentemente, ha iniziato a sperimentare con tecniche e materiali differenti. C’è da dire però che Milano, almeno agli inizi, lo accoglie come designer. Il suo primo approccio con la città fu infatti un progetto di design durante il Fuorisalone del 2015 e poi nel 2018, fino ad arrivare al 2021 con la mostra personale co-curata dall’artista e da Quei Studio, che ha segnato il suo definitivo trasferimento a Milano. Anche AD Italia lo segnala tra i nuovi talenti del design italiano, così come Elle Decor e Domus che parlano delle sue collezioni. Ma una definizione netta non è necessaria per questo artista che si destreggia con la materia con una sensibilità che guarda alle sue origini. Ma scopriamo di più su Cosma Frascina, che ci ha aperto le porte del suo studio per farci vedere dove tutto il suo lavoro viene concepito e creato.

Chi è Cosma Frascina?
Cosma Frascina, classe ‘89, nasce e cresce in Salento. Nonostante una vita nomade, che lo porta a studiare e lavorare fuori dalla sua regione, le sue origini vivono in lui con grande intensità. La sua formazione artistica e poi la sua laurea in Product Design, forniscono a Cosma un’ampia conoscenza tecnica e, allo stesso tempo, una sensibilità poetica. Il lavoro che vediamo oggi nasce e si sviluppa a partire da un episodio avvenuto in Puglia che, in qualche modo, ha segnato la sua carriera. Un blocco di tufo dalla cava in disuso vicino casa – regalatogli anni prima da un conoscente – attira l’attenzione di Cosma che lo inizia a lavorare. La calcarenite diventa così il materiale prediletto dall’artista, con il quale realizza Eroded Panorama, la sua serie più distintiva. Oggi, a Milano, orfano di questo materiale, Cosma ricerca le sue texture nella natura, sperimentando nuove tecniche.

Lo studio
Come anticipato prima, lo studio di Cosma Frascina si trova nel quartiere milanese di China Town. Un piccolo cortile coperto da una vite anticipa la porta di ingresso che conduce a un sotterraneo. Scese delle piccole scale di legno, si apre un lungo ambiente che Cosma condivide con altri artisti. La luce naturale è poca, ognuno ha la propria postazione con luci, scaffali e piani da lavoro ricoperti da strumenti e materiali di diverso tipo. Cosma ha l’ultimo corner, in fondo a sinistra. Come prima cosa ci racconta che questo luogo ha una lunga storia artistica. Dai primi anni Duemila ha visto passare un grande numero di artisti, per primi gli ex assistenti di Arnaldo Pomodoro che hanno dato il via a un susseguirsi di bellissime e geniali personalità. Ma capiamo cosa ha portato Cosma fino a qua e come ha vissuto il passaggio dal Salento a Milano.

Come hai vissuto il trasferimento a Milano?
Il mio arrivo a Milano è stato un po’ traumatico. La prima serie che ho fatto qui si chiama Crack. Il nome è un po’ ironico, gioca sul suono del crack, provocato da una frattura, che è quella che ho avuto effettivamente dopo un periodo duro. Era aprile 2021, ero a Milano di passaggio, per un evento del Fuorisalone. Stavo facendo l’allestimento della mostra con Quei Studio, portai un po’ di opere dalla Puglia e tutto andò molto bene in realtà, tra pubblicazioni e riconoscimenti vari. Ma questo non è stato il crack. Dieci giorni dopo, in procinto di tornare in Puglia, mi sono rotto una mano mentre andavo in skate. Mi hanno operato e ho fatto la mia convalescenza qui. Un giorno vidi una storia su Instagram che annunciava una postazione vacante in questo studio. Ho risposto, il giorno stesso sono venuto a vederlo e, in modo naturale, sono rimasto qui a Milano. Oltre a parlare di una frattura vera e propria, la serie Crack segna anche il mio passaggio da due ambienti totalmente diversi, un paesino in Salento vicino al mare e la città di Milano.

Com’è stato questo passaggio?
In realtà la mia terra mi manca più quando non ci sono di quando ci sono. Io facevo altro all’inizio, costruivo vigneti. Di base sono un vignaiolo niente male. La campagna mi appartiene, sono le mie radici. Più a Sud vado e meglio vivo, però mi adatto facilmente. Cerco di sfruttare le situazioni che mi si parano davanti, come in questo caso. Non posso negare che la mia vita qui è sicuramente cambiata in meglio, tralasciando certi aspetti. Considera che parto dalla provincia del Sud dove non era facile mostrare il mio lavoro. Ho dovuto crederci molto, è stata una bella prova di forza. Inizialmente mi sono vissuto Milano con una certa hype. La Design Week è andata benissimo, poi sono subentrate restrizioni causa Covid e non l’ho vissuta bene, ho pensato anche di smettere ma non potrei mai, ne ho bisogno.
Com’è il tuo rapporto con lo studio?
In realtà io ho due studi. Quello qui a Milano e uno spazio in Salento. Sono completamente diversi. Il cambiamento è stato strano. Mi sono approcciato a uno spazio condiviso, una tipologia a cui non ero abituato, anche perché sono una persona molto individualista, mi piace stare solo. Lo studio è un luogo che ti mette in contatto con te stesso, sei tu con i tuoi pensieri che vanno di pari passo con le tue mani. In passato questo spazio è stato un po’ il mio posto per pensare. Se sento che non ho un posto mio dove stare – che non sia la mia casa – sto qua anche solo per fumare una sigaretta. Anche perché la mia fase progettuale è molto legata al pensiero, poi lavoro freestyle sul momento.

Come ti immagini il tuo studio ideale?
Il mio studio che sarà, lo immagino da solo, al mare e collegato al posto dove vivo, tutto concentrato. A me piace lavorare anche la sera e di notte, se non avessi un lavoro fisso io farei dei ritmi seguendo quello che voglio fare e basta. Mi piace anche alzarmi presto, ultimamente dormo sempre meno. Sarà l’arrivo dei trent’anni.
Sei affezionato a questo luogo o te ne andresti domani?
Me ne andrei domani da Milano, in realtà. Non l’ho mai scelta. Riconosco che mi stia dando indietro qualcosa, ma non so ancora se siamo in pari con quello che le ho dato io. È come se fosse una palestra più che altro. Non ho scelto di venire qui, è capitato. Di base se penso a come voglio vivere, vorrei stare vicino al mare e lavorare all’aperto. Potrei andarmene domani, in un piccolo van ci starebbe tutto, al massimo avrei qualche scatolone.
Questa tua risposta è legata anche alla mancanza dei tuoi materiali?
Sì, sicuramente. Qui a Milano infatti ho iniziato a lavorare con il cemento. Mi sono trovato orfano della calcarenite e ho iniziato a realizzare degli arazzi che si rifanno alla mia estetica e al mio immaginario, su una rete che ho trovato qui in studio. Eroded Panorama è la mia serie più distintiva. Ho costruito un po’ la mia identità su questa serie. Mi rappresenta, c’è l’uso della calcarenite, la pietra del mio luogo di origine, la Puglia.

Quali sono gli strumenti che non possono mancare nel tuo studio?
Nello studio in Puglia ho un compressore ad aria e scalpelli pneumatici. Anche se all’inizio sono partito con lo scalpello a mano, poi mi sono attrezzato. Il flessibile, dischi e lame non possono mancare. Qui a Milano invece è molto più essenziale. Gli stampi e le spatoline sono fondamentali, un po’ come l’accendino. Un altro strumento che uso è l’idropulitrice. Si può dire che sia imprescindibile, perché l’intervento sui miei lavori è sempre camuffato. Io scolpisco la calcarenite, faccio buchi però poi li passo con idropulitrice in modo da togliere il segno artificioso e lasciare quel filtro di imprevisto e di casualità. Ricreo quell’effetto naturale legato alla pioggia e al vento.
Sembra quasi un immaginario archeologico. Ti ritrovi in questo?
Sì, volevo fare l’archeologo da piccolo. Personalmente, mi piace recuperare quello che esiste, quello che si ha e allo stesso tempo ho un grande bisogno di lasciare un’impronta.








Ph Credits Andrés Juan Suarez