La fotografia onirica di Isabella Quaranta

La fotografia onirica di Isabella Quaranta

Giulia Guido · 2 anni fa · Photography

I sogni sono luoghi effimeri, impossibili, eppure quando ci lasciamo andare ad essi sembrano così reali. Guardare gli scatti di Isabella Quaranta vi farà lo stesso effetto. 

Classe 1985, Isabella Quaranta è nata a Torino, si è laureata in Scienze dei Beni Culturali Storico Artistici e, in seguito, ha frequentato il Master in Fotografia Avanzata allo IED di Milano. 

Isabella non si è mai posta dei limiti, approcciandosi a diversi tipi di fotografia, dai ritratti a eventi di diverso tipo, vedendo le sue fotografie pubblicate su varie riviste e partecipando ad alcune esposizioni.

Il tempo sospeso

Tra i suoi lavori ciò che cattura maggiormente è l’atmosfera, in bilico tra realtà e sogno, dove donne libere ed eteree si lasciano andare, fondendosi con l’ambiente che le circonda. 

Il prossimo mese, Isabella Quaranta esporrà alcuni dei suoi scatti a Torino per Ph.ocus – About photography nella sezione Please, Stay Home e per l’occasione le abbiamo fatto qualche domanda.

Leggi la nostra intervista qui sotto. 

Qual è il primo ricordo che hai legato alla fotografia?

Io che scatto emozionata fotografie con una Polaroid ricevuta in regalo per i miei 12 anni.

In molti tuoi lavori la figura femminile è al centro della scena. Quale aspetto della femminilità vuoi raccontare? 

Mi piace raccontare il lato più intimo e nascosto della femminilità, legato all’inconscio e al desiderio.
Lavoro molto spesso attraverso l’autoscatto o con modelle mie amiche, performer e artiste, con le quali c’è molta sintonia ed è un piacere collaborare insieme.

In the room

Come definiresti il tuo stile? 

Creativo e introspettivo

Da dove prendi ispirazione per i tuoi scatti? 

Nei miei scatti mi piace creare un’atmosfera in cui realtà e sogno si mescolano, carica di pathos, energia e mistero.
Realizzo le mie opere seguendo momenti di ispirazione personale, dati da emozioni vissute o suggeriti da sogni. 
Si possono trovare influenze legate al Simbolismo, all’arte alchemica e al Surrealismo.

Oblio

C’è una tua fotografia a cui sei particolarmente legata? Raccontacela. 

Sono particolarmente legata alla fotografia “In your burning hand”, realizzata nel 2017, in cui hanno posato la performer Annalisa Pascai Saiu e la stilista Valentina Serra Rotundo.
Attraverso questo scatto ho voluto descrivere un rapporto umano intimo e credibile, diretto verso l’osservatore. Arte come specchio e matrice della realtà.
La forza di queste mani che si tengono dolcemente, ma allo stesso tempo con grande intensità emotiva, mostra un legame profondo. Nell’abbandonarsi all’altro ci si ritrova più forti di prima. 
Nella tua mano ardente di passione per la vita, una forza che va oltre le avversità.
L’acqua, gli elementi naturali e le nudità sono simbolo di trasparenza, di ritorno al nucleo di origine, il lasciarsi alle spalle le costrizioni imposte dal mondo in cui viviamo, lo spogliarsi da ogni maschera.
Nel 2018 è stata esposta a Parigi in occasione dell’esposizione Image Nation Paris.

In your burning hand

Per scoprire di più visitate il sito di Isabella Quaranta, seguitela su Instagram e non perdetevi gli scatti qui sotto!

Inquietudine
Inerme
Rebirth
Citrinitas
Il peso del mondo
La fotografia onirica di Isabella Quaranta
Photography
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Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi

Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi

Giorgia Massari · 5 ore fa · Photography

Perché sentiamo di appartenere ad alcuni luoghi e non ad altri? Si interroga la fotografa danese Lise Johansson (1985). Da questa riflessione parte la sua ricerca, basata sull’analisi del rapporto tra l’uomo e l’ambiente che abita. Molto spesso le nostre case rappresentano ciò che siamo, sono il riflesso della nostra anima e del nostro carattere. Minimal o barocche, total white o colorate, ricche di oggetti oppure asettiche; in ogni caso, costruiamo ambienti su misura per noi, in cui sentirci a nostro agio e che diano forma alla nostra persona. Ma quando usciamo fuori casa e ci troviamo a rapportarci con altri ambienti, come il luogo di lavoro, uno studio medico o la casa di un nostro amico, entrano in gioco fattori esterni che non possiamo controllare e con cui siamo costretti a interfacciarci. Lise Johansson ragiona su queste dinamiche inconsapevoli che regolano la psicologia inconscia.

Nella serie intitolata I’m not here, la fotografa realizza una serie di autoscatti all’interno di un ospedale abbandonato. L’ambiente è asettico e di una desolazione inquietante in cui il bianco domina inesorabile. La luce del giorno entra dalle finestre, talvolta in contrasto con quella artificiale, accentuando la potenza cromatica del bianco, evidenziato ancor di più dalla carnagione lattiginosa della fotografa e dal suo abito lungo candido, tipico dei pazienti ospedalieri.
Il rapporto tra il soggetto e l’ambiente non risulta essere rilassato. Si percepisce una tensione malinconica, tipica dei soggetti rinchiusi all’interno di un luogo. La figura sembra quasi vagare come uno spettro, il suo volto non è mai visibile a causa dell’inquadratura fotografica e, negli altri casi, è nascosto dentro o dietro un oggetto – come un lavandino o uno specchio. Questo particolare consente alla donna di essere presente nello spazio ma allo stesso tempo di non abitarlo, come se la sua mente provasse a evadere in altre direzioni, cercando una via di fuga. Così come il soggetto, anche l’ambiente è vulnerabile, fermo in un limbo e sottoposto a trasformazioni. Il luogo esiste, come la donna, ma sono entità dimenticate, senza status e completamente svuotati di un’anima.

Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi
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Diego Dominici e il velo di Maya

Diego Dominici e il velo di Maya

Giorgia Massari · 4 giorni fa · Photography

Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografo Diego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serie Atman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.


Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità.
L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.

Diego Dominici | Collater.al
Diego Dominici e il velo di Maya
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Tommaso Berra · 4 giorni fa · Photography

Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a Cecilie Mengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani.
Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana.
Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.

Cecilie Mengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Cecilie Mengel | Collater.al
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
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Isabella Ståhl è tornata a Nord

Isabella Ståhl è tornata a Nord

Tommaso Berra · 5 giorni fa · Photography

Isabella Ståhl è una fotografa svedese che si è trovata a riscoprire i paesaggi della propria infanzia dopo aver viaggiato in tutto il mondo, partendo da Stoccolma fino a New York, Parigi e Berlino. Il Nord rappresenta il punto cardinale dal quale si è spostata inizialmente, tornando poi una volta affinata la propria maturità artistica, che le ha permesso di guardare sotto una nuova luce i paesaggi rurali e malinconici della propria infanzia.
Nelle foto di Isabella Ståhl a dominare è la natura con i suoi vasti campi e gli animali selvatici e selvaggi avvolti nella nebbia, che nasconde anche tutto il resto del paesaggio come una coperta bianca. La straordinaria solitudine delle composizioni e la malinconia che entra dritta negli occhi degli spettatori sono due tra le caratteristiche principali del lavoro di Ståhl, fotografa affermata che nel corso della sua carriera artistica ha collaborato con alcuni dei più importanti brand ed editori internazionali. La sua capacità non è solamente quella di saper costruire una storia dietro ai momenti che sceglie di scattare, ma anche restituire come delle sensazioni fisiche di calore, freddezza, dei brividi che rendono protagonisti tutti coloro che si fermano a guardare le fotografie.

Isabella Ståhl è stata recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Isabella Ståhl | Collater.al
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