Ivana Noto cattura un mondo intimo e femminile

Ivana Noto cattura un mondo intimo e femminile

Giulia Guido · 3 anni fa · Photography

Fotografare, per Ivana Noto, è alchimia ed è lei stessa a dirlo. Nel momento in cui scatta tutto ciò che la circonda converge, tutte le sensazioni, le gioie, i dolori, i ricordi. 

La fotografia di Ivana Noto, classe 1981, è intima e introspettiva e ci dà la sensazione che avvenga in modo naturale. La sua ricerca artistica passa attraverso i corpi e i volti di giovani donne che diventano lo specchio e il mezzo attraverso cui Ivana si scopre e riscopre se stessa. 

Non c’è esasperazione, ogni elemento che vediamo è esattamente così com’è ed è proprio la loro semplicità e autenticità a renderli straordinari. 

Una selezione di scatti di Ivana Noto sarà in mostra per Ph.ocus – About Photography nella sezione “Please, Take Care”. Noi ne abbiamo approfittato per farle qualche domanda e farci raccontare più nel dettaglio alcuni aspetti del suo lavoro. 

Qual è il primo ricordo che hai legato alla fotografia? 

Il mio ricordo più antico legato alla fotografia sicuramente è riconducibile a mia madre e alla sua voglia/bisogno costante di immortalare ogni momento della nostra famiglia sin da quando sono piccola e alle ore passate insieme a sfogliare, catalogare e ricordare attraverso le nostre fotografie.

Come definiresti il tuo stile e in che modo lo hai raggiunto? 

Il mio è uno stile molto intimo, naturale ed introspettivo. Non è una fotografia costruita ma qualcosa che accade intorno a me e che non appena suscita il mio interesse, riconosco e provo ad immortalare. Sono sempre stata affascinata dalla fotografia e dal suo significato più classico, che per me è quello reportagistico; ho iniziato fotografando per strada, mi incuriosisce il mondo, il modo in cui le persone si muovono intorno a me.

La fotografia per me è questione di empatia, mi sono sempre guardata intorno e ho sempre premuto l’otturatore solo quando intorno a me era così… come ero io.
Poi alla fine ho capito che fotografavo emozioni e stati d’animo di qualcun altro ma che mi appartenevano quasi quanto probabilmente appartenessero all’altra persona.

Raccontaci il tuo progetto fotografico “Tell me about myself”. Come è nato? Cosa vuoi trasmettere con questi scatti? 

“Tell me about myself” nasce dalla consapevolezza che ad un certo punto bisogna imparare a convivere con se stessi, che è la cosa più difficile forse, e ad accettare ciò che si ha dentro e anche imparare a perdonarsi a volte; provare ad imprimere su carta ciò che più mi preme e ha un peso profondo nella mia vita è diventata una sorta di “cura”.

«Non appena sento l’assenza della macchina fotografica […], solo allora scatto.»

Ho bisogno di guardarmi in faccia e lo faccio attraverso le donne come me, donne che scelgo accuratamente e con le quali sento in qualche modo un legame, un’empatia. Per me la fase dello scatto è la più semplice, ciò che fa davvero la differenza è la conoscenza ed il grado di intimità che cerco di allacciare con ognuna di loro.

Le contatto attratta da un qualcosa che non so spiegare bene cosa sia, poi le conosco… un caffè, una cena bastano per farmi entrare nel loro mondo e per fare entrare loro nel mio. Non appena sento un’alchimia allora organizzo la fase di scatto, scelgo la location e l’ora in cui il sole può aiutarmi a imprimere meglio quello stato d’animo che è il mio e che sarà quello della persona che più me lo ha trasmesso. Nelle mie foto ci sono sempre elementi naturali, il mare, la campagna, il cielo, ciò mi dà un senso di libertà profondo e mi riporta alla mia infanzia.

C’è sempre mia madre, mia madre da giovane, i vestiti sono quelli che indossava quando io ero piccola. Scatto sempre in silenzio proprio per non disturbare e rendermi il più invisibile possibile, la musica fa da compagna nel mio lavoro e il movimento credo sia il comune denominatore dei miei scatti. 

Non appena sento l’assenza della macchina fotografica e rivedo davanti a me la mia famiglia, le mie emozioni, i miei dolori, le mie gioie, le mie inquietudini, la mia vita, solo allora scatto.

Nel tuo lavoro possiamo notare un’alternanza tra colori caldi e naturali e scatti in bianco e nero. Come e quando decidi che stile usare? 

Sono siciliana, la mia è una terra calda, è la terra delle mille sfumature e dalle mille contraddizioni, ombra e luce fanno da padrone, esiste il bene e il male, il bianco e il nero ed esistono i colori, quelli naturali del cielo, del mare, della campagna brulla; ed io ho mille Ivana diverse dentro, a cui decido di dare sempre libero sfogo senza etichette di alcun tipo, c’è un’Ivana aperta a ciò che la terra con i suoi colori naturali le regala e ce n’è una chiusa nel suo guscio a cui questo non importa.

C’è una fotografia alla quale sei più legata? Raccontacela.

“Abissi”, questo è il titolo della foto di cui voglio parlare, è stata scattata il 26 maggio di quest’anno, dopo quasi tre mesi di quarantena trascorsi in una camera d’albergo in totale solitudine. Sono state settimane di totale apatia e riflessioni più o meno lucide sulla mia vita. 

Ero esausta, mi sentivo sprofondare.

“Abissi”

Quando ho incontrato Beatrice non avevo molti stimoli e non avevo idea di cosa potessimo fare insieme ma sentivo la necessità di scattare. Alla fine ho fotografato quell’abisso nel quale ero scesa e dal quale forse chiedevo aiuto. 

Ed era così come l’avevo vissuto.

Ivana Noto cattura un mondo intimo e femminile
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Ivana Noto cattura un mondo intimo e femminile
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Dovremmo tutti nascondere i nostri ricordi nelle scatole da scarpe?

Dovremmo tutti nascondere i nostri ricordi nelle scatole da scarpe?

Giorgia Massari · 2 secondi fa · Photography

Il fotografo Ramak Fazel (1965), nato in Iran e cresciuto negli Stati Uniti, arriva a Milano nel 1994. Attratto dalle voci che la definivano “una città difficile da vivere”, sceglie il capoluogo lombardo come sua nuova casa. Arriva in Stazione Centrale con un solo borsone e fin da subito inizia a lavorare su Milan Unit. Un progetto che si concluderà nel 2009, anno in cui Fazel lascerà la città per tornare negli States. «Avevo il desiderio di chiudere qualunque cosa fosse successa a Milano in un contenitore» ci dice Fazel via Zoom mentre ci racconta di come sia riuscito a nascondere questa “scatola” per tutto questo tempo. Oggi l’opera emerge dalla sua dimensione privata e inaccessibile per essere esposta al pubblico, pur mantenendo intatta la sua aura di mistero. È stato proprio questo aspetto che ci ha incuriosito durante l’ultima edizione di Artissima, quando Viasaterna l’ha presentato in un booth monografico. Un archivio verde fluo fatto di faldoni, scatole e raccoglitori che racchiudono gli anni milanesi di Ramak Fazel.

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al

Cosa raccoglie Milan Unit?

Milan Unit non vuole avere una dimensione autobiografica ma piuttosto vuole documentare un periodo. «Non volevo che fosse un racconto della vita di Ramak», ci spiega il fotografo. «Milan Unit è un racconto di un periodo specifico, a cavallo tra due epoche. Allo stesso tempo, è anche un omaggio a Milano, che con me è stata molto generosa». Fazel infatti viene subito accolto a braccia aperte dalla città, che stava vivendo un periodo di sperimentazione artistica. Il fotografo è assorbito dalla scena culturale milanese, frequenta i locali e i giri giusti. Tra gli altri stringe amicizia con designer del calibro di Ettore Sottsass e Enzo Mari, dei quali sono presenti alcuni scatti. Oltre ai ritratti, Ramak Fazel ha una fascinazione per la street photography. L’archivio è denso di scatti urbani – in strada, sui mezzi pubblici, nei bar – tutti rigorosamente realizzati con la stessa metodologia e con la stessa luce cinematografica. In questi scatti, che Ramak Fazel sceglie di mostrarci e di condividere, è evidente la ricerca di un linguaggio unificato, nel quale l’unica variante concessa è il soggetto. 

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery

Di formazione sono ingegnere e quindi tutto l’apparato meccanico della fotografia mi interessava molto. Utilizzare le luci nello studio e poi portarle fuori era molto stimolante per me. Volevo che tutte le foto fossero uguali, con la stessa luce, con la stessa macchina fotografica e pellicola. A variare era solo il soggetto, non la tecnica. Questo è stato un po’ una modalità di lavoro di quegli anni, che si è rivelata nel tempo e nella pratica. 

Perché il verde fluo?

Milan Unit non è solo un archivio fotografico, «è un incrocio tra la fotografia e la vita, racchiude varie cose, come bigliettini e fatture, oscurati in cartelle e sottocartelle», ci racconta. Tutto raccolto in un contenitore che si è rivelato nel tempo, assemblato dallo stesso Ramak e colorato di verde fluo. Un colore che contribuisce a creare un ulteriore strato di mistero. «La scelta del colore è stata dettata dal desiderio di avere una cromia difficilmente riproducibile. Come le foto che sono nascoste, anche il colore volevo che fosse inaccessibile».

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel, Sketches from Milan Unit, 2017, cm 60,5 x 50,5, stampa inkjet su carta Canson © Ramak Fazel, courtesy Viasaterna-1

Una dimensione privata nell’epoca della condivisione

Milan Unit è sempre stato privato. Tanto che, quando Fazel lascia Milano, decide di murare l’archivio nel suo studio, destinato all’affitto. Letteralmente sepolto, Milan Unit ci appare come una scatola delle scarpe che raccoglie le nostre memorie più intime. E, come ogni cosa privata che si rispetti, scegliamo di condividerla solo con chi vogliamo. Con questo concetto di hiding emerge un aspetto nostalgico, insolito per la nostra epoca, abituata invece all’oversharing. Ancor più atipico se lo pensiamo in relazione alla fotografia, che si presuppone sia al servizio e in rappresentanza di qualcosa. In questo senso Ramak Fazel va in controtendenza. Lui stesso ci racconta che ha dovuto “resistere” alle varie richieste di condivisione del suo archivio. Da fondazioni che richiedevano gli scatti dei designer ad amici, ai quali mostrava l’archivio solo fisicamente e mai online.

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit , 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery

«Milan Unit può essere più vicino a delle fotografie in una shoe box più che a un Archivio Getty» afferma Ramak, divertito dal nostro parallelismo. «Lo scopo di Milan Unit non è la condivisione. Non deve essere un archivio funzionale ne tanto meno digitalizzato, non dev’essere accessibile a tutti con facilità», continua «è qualcosa che devi toccare con mano, guardare nelle buste, cercare tra i faldoni. Devi faticare per esplorarlo. Non dev’essere una cosa che con un click puoi consultare digitalmente». Ecco che in un’epoca della condivisione, con Milan Unit Ramak Fazel ha la capacità di riportarci a considerare la sfera privata e materiale, suggerendoci di averne cura. Quasi creando una sorta di nostalgia che ci spinge a “rimuovere le nostre memorie dal cloud e riportarle alla realtà”.

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel,Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery
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Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery
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Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009, © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery
Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009, © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery

Courtesy Ramak Fazel & Viasaterna Gallery

Dovremmo tutti nascondere i nostri ricordi nelle scatole da scarpe?
Photography
Dovremmo tutti nascondere i nostri ricordi nelle scatole da scarpe?
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Il mondo mondano di Nicolò Rinaldi

Il mondo mondano di Nicolò Rinaldi

Collater.al Contributors · 5 giorni fa · Photography

Il fotografo italiano di street e lifestyle Nicolò Rinaldi compie una vera e propria esplorazione del mondo quotidiano in chiave fotografica. Dopo aver iniziato con la fotografia di paesaggi e esterni, Rinaldi si specializza nel campo della fotografia documentaristica e street, identificando cliché e abbracciando l’ordinario in situazioni affollate. Nella serie Mondo Mondano, Rinaldi si addentra nel cuore della movida sociale. Il vivace tessuto delle feste e dei festival vibra nei suoi scatti e riflette l’eccentricità del contemporaneo. Glitter, drink, luci stroboscopiche, occhiali da sole, si mescolano a tatuaggi, baci, grida e cappelli stravaganti in un’affascinante indagine sociale. Tutto è realizzato in analogico, trascendendo il tempo e scegliendo una narrativa più autentica.

Courtesy Nicolò Rinaldi

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Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang

Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang

Claudia Fuggetti · 6 giorni fa · Photography

Fish Zhang, conosciuta su Instagram con l’account fiiiiiish, è una giovane fotografa di Tokyo che racconta il mondo che le gravita intorno. Il suo sguardo è molto particolare e spesso le immagini che propone al pubblico generano un sentimento di incertezza e destabilizzazione, che in inglese si riassumono benissmo con il termine “weird”. Le pose vengono smorzate da un mood narrativo che tende più a cogliere l’attimo che a illustrare ogni singolo momento di una storia. La sessualità trova ampio spazio nella sua produzione fotografica, che ci ricorda in parte lo stile di Ren Hang, del quale abbiamo precedentemente parlato qui. La donna è rappresentata senza artifici, ma con semplicità e realismo, nonostante negli scatti ci sia un grande senso compositivo.

Visita il sito di Fish e dai un’occhiata ai suoi lavori nella gallery.

Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al  Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang | Collater.al

Courtesy Fish Zhang

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Lo stile cinematografico e NSFW degli scatti di Lou Escobar

Lo stile cinematografico e NSFW degli scatti di Lou Escobar

Claudia Fuggetti · 7 giorni fa · Photography

Lou Escobar è una fotografa e film-maker francese con base in California che realizza splendide immagini caratterizzate da uno stile fortemente cinematografico. Le atmosfere glam e patinate sono la sua passione e tutti i suoi scatti, anche quelli NSFW, sembrano estrapolati dalle scene di un film hollywoodiano. Le donne immortalate da Lou Escobar sono a loro agio con il proprio corpo e diventano icone di un tipo di sessualità audace, che trasmettono libertà e sensualità, anche solo attraverso lo sguardo.

Tra le sue pubblicazioni non mancano nomi di magazine di moda come Schon e Cake Magazine, mentre il Marsatac festival lo ha scelto per l’adv dell’edizione 2018. I suoi racconti visivi sono ipnotici e non ci si stanca mai di guardarli; se vuoi conoscere altri lavori puoi dare un’occhiata al suo profilo Instagram che trovi qui.

Lo stile cinematografico e NSFW degli scatti di Lou Escobar
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