Fotografare, per Ivana Noto, è alchimia ed è lei stessa a dirlo. Nel momento in cui scatta tutto ciò che la circonda converge, tutte le sensazioni, le gioie, i dolori, i ricordi.
La fotografia di Ivana Noto, classe 1981, è intima e introspettiva e ci dà la sensazione che avvenga in modo naturale. La sua ricerca artistica passa attraverso i corpi e i volti di giovani donne che diventano lo specchio e il mezzo attraverso cui Ivana si scopre e riscopre se stessa.
Non c’è esasperazione, ogni elemento che vediamo è esattamente così com’è ed è proprio la loro semplicità e autenticità a renderli straordinari.
Una selezione di scatti di Ivana Noto sarà in mostra per Ph.ocus – About Photography nella sezione “Please, Take Care”. Noi ne abbiamo approfittato per farle qualche domanda e farci raccontare più nel dettaglio alcuni aspetti del suo lavoro.

Qual è il primo ricordo che hai legato alla fotografia?
Il mio ricordo più antico legato alla fotografia sicuramente è riconducibile a mia madre e alla sua voglia/bisogno costante di immortalare ogni momento della nostra famiglia sin da quando sono piccola e alle ore passate insieme a sfogliare, catalogare e ricordare attraverso le nostre fotografie.
Come definiresti il tuo stile e in che modo lo hai raggiunto?

Il mio è uno stile molto intimo, naturale ed introspettivo. Non è una fotografia costruita ma qualcosa che accade intorno a me e che non appena suscita il mio interesse, riconosco e provo ad immortalare. Sono sempre stata affascinata dalla fotografia e dal suo significato più classico, che per me è quello reportagistico; ho iniziato fotografando per strada, mi incuriosisce il mondo, il modo in cui le persone si muovono intorno a me.
La fotografia per me è questione di empatia, mi sono sempre guardata intorno e ho sempre premuto l’otturatore solo quando intorno a me era così… come ero io.
Poi alla fine ho capito che fotografavo emozioni e stati d’animo di qualcun altro ma che mi appartenevano quasi quanto probabilmente appartenessero all’altra persona.
Raccontaci il tuo progetto fotografico “Tell me about myself”. Come è nato? Cosa vuoi trasmettere con questi scatti?
“Tell me about myself” nasce dalla consapevolezza che ad un certo punto bisogna imparare a convivere con se stessi, che è la cosa più difficile forse, e ad accettare ciò che si ha dentro e anche imparare a perdonarsi a volte; provare ad imprimere su carta ciò che più mi preme e ha un peso profondo nella mia vita è diventata una sorta di “cura”.
«Non appena sento l’assenza della macchina fotografica […], solo allora scatto.»
Ho bisogno di guardarmi in faccia e lo faccio attraverso le donne come me, donne che scelgo accuratamente e con le quali sento in qualche modo un legame, un’empatia. Per me la fase dello scatto è la più semplice, ciò che fa davvero la differenza è la conoscenza ed il grado di intimità che cerco di allacciare con ognuna di loro.
Le contatto attratta da un qualcosa che non so spiegare bene cosa sia, poi le conosco… un caffè, una cena bastano per farmi entrare nel loro mondo e per fare entrare loro nel mio. Non appena sento un’alchimia allora organizzo la fase di scatto, scelgo la location e l’ora in cui il sole può aiutarmi a imprimere meglio quello stato d’animo che è il mio e che sarà quello della persona che più me lo ha trasmesso. Nelle mie foto ci sono sempre elementi naturali, il mare, la campagna, il cielo, ciò mi dà un senso di libertà profondo e mi riporta alla mia infanzia.
C’è sempre mia madre, mia madre da giovane, i vestiti sono quelli che indossava quando io ero piccola. Scatto sempre in silenzio proprio per non disturbare e rendermi il più invisibile possibile, la musica fa da compagna nel mio lavoro e il movimento credo sia il comune denominatore dei miei scatti.

Non appena sento l’assenza della macchina fotografica e rivedo davanti a me la mia famiglia, le mie emozioni, i miei dolori, le mie gioie, le mie inquietudini, la mia vita, solo allora scatto.
Nel tuo lavoro possiamo notare un’alternanza tra colori caldi e naturali e scatti in bianco e nero. Come e quando decidi che stile usare?
Sono siciliana, la mia è una terra calda, è la terra delle mille sfumature e dalle mille contraddizioni, ombra e luce fanno da padrone, esiste il bene e il male, il bianco e il nero ed esistono i colori, quelli naturali del cielo, del mare, della campagna brulla; ed io ho mille Ivana diverse dentro, a cui decido di dare sempre libero sfogo senza etichette di alcun tipo, c’è un’Ivana aperta a ciò che la terra con i suoi colori naturali le regala e ce n’è una chiusa nel suo guscio a cui questo non importa.
C’è una fotografia alla quale sei più legata? Raccontacela.
“Abissi”, questo è il titolo della foto di cui voglio parlare, è stata scattata il 26 maggio di quest’anno, dopo quasi tre mesi di quarantena trascorsi in una camera d’albergo in totale solitudine. Sono state settimane di totale apatia e riflessioni più o meno lucide sulla mia vita.
Ero esausta, mi sentivo sprofondare.

Quando ho incontrato Beatrice non avevo molti stimoli e non avevo idea di cosa potessimo fare insieme ma sentivo la necessità di scattare. Alla fine ho fotografato quell’abisso nel quale ero scesa e dal quale forse chiedevo aiuto.
Ed era così come l’avevo vissuto.


