Jerry-Lee Bosmans ridefinisce il colore

Jerry-Lee Bosmans ridefinisce il colore

Collater.al Contributors · 3 settimane fa · Art

Originario della pittoresca città di Nimega nei Paesi Bassi, Jerry-Lee Bosmans è nato nel 1996 e ha subito catturato la nostra immaginazione con le sue ipnotiche. Il suo percorso come artista visivo e designer è stato caratterizzato dalla sua propensione allo sperimentare con il colore e la forma.

Il lavoro di Bosmans è una celebrazione del colore, un invito a sfuggire alla routine e abbracciare il vibrante. La sue grafiche non si limitano a decorare le pareti; trasforma gli spazi, evocando emozioni e ispirando la creatività in coloro che vi si imbatteranno. Le sue opere sono caratterizzate da un caleidoscopio di sfumature, spesso mettendo in contrasto colori e forme in modo sorprendente. Questo audace utilizzo del colore è una testimonianza della sua intraprendente esplorazione dello spettro visivo, ed è questa audacia che rende il suo lavoro così coinvolgente e memorabile.

Lo stile unico e la visione di Bosmans non sono passati inosservati per alcuni brand. Le sue collaborazioni includono progetti con giganti come Apple, Amazon, Meta, Google e molti altri. Queste partnership gli hanno permesso di applicare le sue abilità in modi nuovi e significativi.

Ph. courtesy Jerry-Lee Bosmans.

Qui il profilo Instagram di Jerry-Lee Bosmans.

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LuYang si reincarna in sei avatar al MUDEC

LuYang si reincarna in sei avatar al MUDEC

Giorgia Massari · 3 settimane fa · Art

L’artista LuYang – nominata Artist of the Year 2022 da Deutsche Bank – arriva a Milano con la mostra DOKU Experience Center al Museo delle Culture di via Tortona. A partire da domani, 14 settembre, fino al 22 ottobre 2023, le sale del museo si animano di videoinstalazioni e film animati in 3D che portano in vita i sei diversi avatar di LuYang. I personaggi del suo immaginario – che portano il suo volto – traggono chiaramente ispirazione dai videogiochi, dai manga e dalla cultura pop, esplorando in questo modo temi come il postumanesimo e il transumanesimo. Osservando le opere in mostra è evidente come la danza sia uno dei temi centrali della sua pratica artistica. Gli avatar sono intenti a ballare con il sottofondo di canzoni techno, sfumando le linee tra il corpo reale e quello digitale.

Il titolo della mostra – a cura di Britta Färber, Global Head of Art & Culture di Deutsche Bank – si riferisce al nome dell’avatar, per l’appunto Dokusho Dokushi, abbreviato in DOKU, che si presenta con sei aspetti, corrispondenti alle sue sei declinazioni: Human, Heaven, Asura, Animal, Hungry Ghost e Hell. Essi rappresentano i sei regni di rinascita del Samsara, la ruota karmica della vita che simboleggia il ciclo eterno di nascita, morte e reincarnazione. LuYang infatti, oltre a trarre ispirazione dal mondo contemporaneo, attinge dalle tradizioni e dalle religioni. La curatrice ci spiega: «L’arte di LuYang è un concerno di idee che risalgono a fonti molto indietro nel tempo. L’artista fa riferimento all’Induismo, al Buddhismo, in uno dei video vedrete anche l’immagine di una cattedrale cattolica, il tutto mischiato con quello che noi chiamiamo pop culture. È un nuovo mix che può aiutare tutti noi a vedere il mondo da un punto di vista diverso.»

Uno degli aspetti più interessanti della mostra è la scelta dell’artista di offrire agli spettatori uno sguardo sui retroscena del processo creativo. Come accennavamo prima, i sei avatar portano il volto di LuYang, le sue espressioni e i suoi movimenti. Per fare ciò, l’artista si serve della tecnologia Motion Capture, spiegata nei video mostrati alla fine del percorso. Durante la press preview, l’artista si presenta con una maschera, preferendo non apparire con il suo viso in prima persona perchè, come spiega lei stessa, «sarebbe come se i personaggi di Disney saltassero fuori dal video ed entrassero improvvisamente dentro la realtà, cosa che io non voglio che accada».

La mostra, proprio come suggerisce il titolo, è un vero e proprio centro esperienziale. «L’artista voleva che fosse come un Apple Store dove i visitatori entrano e sperimentano, toccano con le proprie mani quello che c’è.» commenta la curatrice. In effetti è proprio così, si può anche “giocare” con le opere tramite l’utilizzo di un joystick. Ma il vero nucleo della mostra, come suggerisce l’artista, è il video DOKU the Self, il primo film narrativo dedicato agli avatar di LuYang, un’opera visiva che esplora la vita e la morte di DOKU in ciascuno dei sei mondi buddisti. «Il concetto principale veicolato dal video è quello di lasciarsi le cose dietro, lasciarle scorrere in modo tale da poterle gestire e fronteggiare. Proprio come dice un detto buddhista, “se riesci a vedere le tue paure, riesci anche a gestirle”, e quindi a provocare dentro di te una rinascita» conclude la curatrice Britta Färber.

LuYang, DeutscheBank ©julehering

La mostra DOKU Experience Center sarà accompagnata da una serie di eventi collaterali, tra cui visite guidate tematiche, laboratori didattici, artist talk e incontri. Il MUDEC e 24 ORE Cultura sono impegnati a promuovere il linguaggio e i temi dell’arte contemporanea a livello internazionale, e questa mostra rappresenta un ulteriore passo in avanti nella loro missione.

LuYang, DeutscheBank ©julehering
LuYang si reincarna in sei avatar al MUDEC
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Le bambole di Rachel Hobkirk da L.U.P.O.

Le bambole di Rachel Hobkirk da L.U.P.O.

Giorgia Massari · 3 settimane fa · Art

Esattamente due anni fa inaugurava a Milano – in zona Porta Venezia – un nuovo spazio per l’arte contemporanea, L.U.P.O. Lorenzelli Upcoming Projects. Dopo due anni di una fitta programmazione, lo spazio è ormai affermato per la sua attenzione alle ultime tendenze e si distingue per lo sguardo attento rivolto agli emergenti. Il gallerista Massimiliano Lorenzelli (1995) tiene l’occhio puntato sulla Royal Academy di Londra, oltre a conoscere molto bene il panorama artistico milanese, dal quale ha scovato, tra gli altri, la sua ormai affezionata artista Giuditta Branconi, ma anche quello internazionale, seguendo – e in alcuni casi anticipando – le tendenze. Con la mostra di Rachel Hobkirk, inaugurata ieri 13 settembre, L.U.P.O. si riconferma come punto di riferimento per l’arte contemporanea emergente. Uno spazio da tenere d’occhio per entrare in contatto con nuovi artisti italiani e internazionali, quasi sempre super colorati e con ricerche inaspettate.

Inaspettata è anche la mostra ora in corso, dal titolo Baby Talk, che ospita le opere della giovane artista scozzese Rachel Hobkirk (1995). I dipinti della Hobkirk scelgono come soggetto la bambola, simbolo attraverso il quale l’artista esplora l’interazione tra il surrealismo, lo sguardo maschile, la cultura del consumo e la mercificazione della femminilità. Scegliendo un soggetto molto discusso come la bambola, l’artista esprime un vivace commento sull’ossessione della nostra società moderna per la “carineria” e la manipolazione della rappresentazione femminile, il tutto sfidando le norme convenzionali.

A prima vista, i dipinti di Hobkirk colpiscono per la loro straordinaria estetica e per la tecnica impeccabile. Grandi e piccole tele realizzate ad olio con una grande cura per i dettagli. Le superfici sono lisce, quasi “umide”, e i colori brillantemente saturi sono in grado di evocare una sensazione di familiarità, ricordando il mondo della pubblicità digitale. Questo collegamento al mondo dei media non è casuale; è una scelta deliberata dell’artista. Hobkirk abilmente incorpora strati di sottopittura ad olio per intensificare l’effetto luminoso dei suoi colori, creando un’esperienza visiva che fa eco all’attrattiva delle pubblicità contemporanee. In questo modo, oltre alla familiarità, evoca un senso di inquietudine dettato soprattutto dal taglio molto ravvicinato che affida ai soggetti, facendo emergere dettagli spesso inosservati. Dalle linee dei capelli disturbanti alle labbra provocanti e alle palpebre enigmatiche.

Le figure all’interno di “Baby Talk” ci invitano a interrogarci su ciò che si cela dietro la maschera. Chi sono queste bambole e quali storie custodiscono al loro interno? Il lavoro di Hobkirk ci invita a confrontarci con l’ambiguità dell’identità e della rappresentazione, riflettendo sulle profondità di significato che esistono al di sotto della superficie.

L.U.P.O. Installation View, Rachel Hobkirk
L.U.P.O. Installation View, Rachel Hobkirk

Courtesy Rachel Hobkirk & L.U.P.O

Le bambole di Rachel Hobkirk da L.U.P.O.
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Le bambole di Rachel Hobkirk da L.U.P.O.
Le bambole di Rachel Hobkirk da L.U.P.O.
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I collage sconcertanti di Abraxas

I collage sconcertanti di Abraxas

Giulia Guido · 2 settimane fa · Art

Ci avvolgono sconvolgendoci, a volte dando quasi fastidio allo sguardo, eppure non riusciamo a smetterli di guardarli. Sono i collage di Abraxas, nome d’arte di Davide Fossati.

Abraxas ha iniziato sperimentando con la pittura, il disegno e la scrittura e da poco più di un anno si è specializzato nella realizzazione di collage dal forte impatto visivo che giocano sulla moltiplicazione di dettagli del corpo umano, come gli occhi o le unghie, ma a volte si fa ispirare anche dal mondo animale. 

Replicando e sovrapponendo il dettaglio scelto, Abraxas compone delle immagini sature: non esistono spazi vuoti, come se l’artista volesse riempire il nostro sguardo senza darci una via di fuga e, in effetti, è proprio ciò che succede quando guardiamo i suoi lavori. 

Alcuni suoi collage ci spiazzano, vorremmo girare lo sguardo per non venire inghiottiti da decine di bocche aperte o da altrettanti corpi nudi che si fondono l’uno con l’altro, ma scopriamo di non esserne in grado. Addirittura avviciniamo l’immagine ai nostri occhi. 

Noi abbiamo selezionato solo alcuni dei lavori di Abraxas ma per scoprirne di più visitate il suo profilo Instagram

Leggi anche: Le sculture di Qimmy Shimmy attirano e repellono al tempo stesso

Abraxas
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I collage sconcertanti di Abraxas
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I collage sconcertanti di Abraxas
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La bellezza del desiderio in Yulia Zinshtein

La bellezza del desiderio in Yulia Zinshtein

Collater.al Contributors · 2 settimane fa · Art

L’immaginario artistico di Yulia Zinshtein conserva una vena nostalgica percepibile fin da un primo sguardo. Tra scene di un amore passato, attimi di attesa davanti a un telefono e momenti di sorellanza, l’artista e fotografa di origini ucraine – con base a New York – esplora temi come la bellezza del desiderio e le connessioni umane. Il suo linguaggio è semplice e giocoso. Il tratto infantile sottolinea la sfera effimera che racchiude le esperienze della vita. I suoi dipinti sono ricchi di colori vibranti e dettagli intricati che trascinano gli spettatori in un mondo di contemplazione e introspezione.

La storia di Yulia Zinshtein influenza inevitabilmente la sua ricerca. Nasce nel 1990 a Philadelphia da genitori ucraini, all’età di soli 10 anni la famiglia lasciò l’America per trasferirsi a Mosca. Questa rilocazione fondamentale segnò l’inizio di un complesso percorso di scoperta di sé e di espressione artistica. Crescere come “la russa a Philadelphia” e “l’americana a Mosca” ha lasciato un segno indelebile sulla sua identità. Invece di sentirsi un’outsider, Zinshtein ha abbracciato la sua posizione unica, utilizzandola come una fonte di ispirazione per la sua arte.

Zinshtein ha trovato conforto e connessione attraverso la sua arte. È diventata un modo per lei di forgiare un senso di appartenenza nei suoi contesti sempre mutevoli. Le sue creazioni sono una testimonianza del desiderio umano di stabilire radici e creare qualcosa di permanente in un mondo in cui tutto sembra effimero. Attraverso il suo lavoro, intreccia una narrazione di desiderio, un’emozione universale che risuona con persone di ogni estrazione.

Courtesy Yulia Zinshtein

La bellezza del desiderio in Yulia Zinshtein
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