Le interviste di What Italy Is sono tornate. Vi sono mancate? Spero di sì! Gennaio come sapete è il mese degli inizi e anch’io non voglio essere da meno. Parto dal principio quindi questo mese, intervistando proprio loro, i due fondatori del progetto What Italy Is, Simone Bramante e Giuseppe Mondì.
Anche se non hanno bisogno di grandi presentazioni, chi conosce What Italy Is conosce Giuseppe e Simone, gli chiedo comunque di descriversi. Giuseppe si definisce in calmo continuo fermento. A lui piace pensare che ognuno di noi possa far nel suo piccolo qualcosa per migliorare la vita delle persone che incontra. Sognatore, ma con i piedi per terra e ultimamente a tenerlo saldo giù lo aiuta la piccola Celeste, la sua prima bimba nata 2 mesi fa. Simone invece quando riceve le mie domande si dice reduce da una festa di compleanno di bambini, sono le 21, non ha ancora cenato e l’indomani si sarebbe dovuto svegliare alle 3.30 per andare al lavoro. Troppo dramma? Assolutamente no, Simone si considera fortunato ogni giorno della sua vita.
Diteci un brano che consigliate di ascoltare durante la lettura di questa intervista
S: Buonasera (signorina) di Fred Buscaglione, 1958
G: Mare Verticale di Paolo Benvegnù
Beh a voi lo chiedo subito, che cos’è l’Italia fuori dai luoghi comuni?
S: La nostra provenienza quindi parte della nostra identità, nel bene e nel male
G: I ricordi, i sapori legati ad un luogo, la propria evoluzione influenzata partendo da un luogo, le emozioni che ti dà un territorio. Ecco, per me questo è l’Italia.
Il progetto What Italy Is, qual è stata la sua evoluzione in questi anni e cosa vi piacerebbe diventasse “da grande”?
S: What Italy Is è un contenitore di storie reali e sempre più articolate. Mi piacerebbe si potessero trovare le connessioni tra tutte queste storie.
G: Vorrei sempre di più che le storie delle persone si integrassero con i contenuti editoriali creati da noi. In questi anni abbiamo ascoltato e raccontato decine di storie in cui si “vede” un paese con tante sfaccettature. Da sempre il nostro intento è capire il territorio in cui viviamo, senza giudizi.
Se vi chiedessi di consigliarci un luogo Italiano da fotografare, cosa rispondereste?
S: Come luogo, la casa dei propri nonni per chi ha la fortuna di averli, perché è un punto di inizio.
G: Io da sempre ho due regioni a cui sono fortemente legato: la Toscana e la Sicilia.
Per un luogo specifico dico Porto Ercole, dove sono cresciuto coccolato dai miei nonni. Quando ero piccolo, con mio nonno partivamo da casa a piedi per raggiungere una spiaggetta del paese. Lui davanti, io dietro di lui a poca distanza. Pochissime parole nel tragitto, io inventavo in testa battaglie navali con rametti trovati per strada. L’ultimo periodo di vita di mio nonno è coinciso con le ultime settimane in cui stavamo aspettando Celeste, ho sperato come mai fatto prima che mio nonno potesse ripercorrere quella strada con lei. Non è stato possibile e quel tragitto, che ha come protagonista Porto Ercole, è quello che consiglio.
3 oggetti essenziali per voi, quelli che vi portereste su un’isola deserta
S: Occhiali da sole, pannello solare, desalinizzatore.
G: Telefono satellitare, un buon chinotto per l’attesa dei soccorsi, Kafka sulla Spiaggia. In senso ampio: Cuffie, iPhone, macchina fotografica.
Qual è ad oggi la vostra più grande soddisfazione?
S: Essere libero di poter decidere le cose importanti.
G: Avere una mia identità. Nel rapporto con le persone che mi circondano, negli scatti che faccio, nel modo in cui scrivo.
Che cosa significa per voi la fotografia e come vi siete avvicinati a questo mezzo di comunicazione?
S: È una forma di espressione, ci sono entrato appena ventenne per curiosità e perché l’ambiente intorno era fertile di creatività, ma all’epoca la mia forma di espressione preferita era la scrittura.
G: La fotografia accompagna da molti anni la mia vita. Prima sottopalco durante i concerti, poi con tanti nuovi progetti. Credo che sia un mezzo fantastico per raccontare se stessi e il proprio modo di vedere le cose. La fotografia può aiutarti a osservare con attenzione e con occhi nuovi ciò che ruota intorno a te.
Quale impatto pensate che abbia avuto Instagram sul mondo della fotografia?
S: Ha aggiunto una parte di estetica e di racconto alla comunicazione.
G: Un impatto fortissimo, che neanche Flickr, all’epoca, era riuscito ad avere sul mondo fotografico digitale. Ha portato nel quotidiano e in maniera massiva l’uso della foto per raccontare tutto ciò che succede alle persone. Un po’ quello che doveva fare Twitter. A pensarci bene l’uso che molti utenti fanno della piattaforma è proprio quella che doveva esser fatta di Twitter: un racconto costante di tutto ciò che stai vivendo.
Che utilizzo invece fate voi di Instagram, cosa vi piace di più e cosa di meno di questa piattaforma?
S: Utilizzo la piattaforma per alcuni progetti, per giocare con le idee e per comunicare con le persone che realmente sono interessate al mio lavoro.
Oggi, inizio 2018, mi piace la velocità di condivisione e il poter seguire alcuni talenti presenti. Mi piace meno la diffusione del mondo dorato del “lascio tutto e inizio a viaggiare il mondo” che pochi possono realmente permettersi, pur sembrando la normalità.
G: L’uso di Instagram nasce prima di tutto dall’amore per la fotografia. Proprio per questo l’utilizzo primario è per piacere personale, raccontando secondo il mio punto di vista ciò che vedo. Poi i progetti nascono di conseguenza. Come successo con What Italy Is. Quello che mi piace meno è la quantità mostruosa di contenuti identici che ogni giorno mi capitano nello stream. L’uniformità un po’ mi disturba.
Che cosa rende “bella” una fotografia ai vostri occhi?
S: La creatività e l’uso della luce.
G: Non volendo andare su concetti ben troppo usati su tanti blog di fotografia o su citazioni altrettanto abusate di Henri Cartier-Bresson, una fotografia per colpirmi, per farmi fermare deve essere il risultato di un grande lavoro creativo e di tecnica. Spesso ultimamente il concetto di “bello” è adombrato dalla marea di like. Dobbiamo renderci conto che se oggi i social chiudessero i battenti, i like non avrebbero più senso, morirebbero. Il “bello” rimarrebbe.
Qual è stato il miglior consiglio che avete ricevuto e quale sentite di dare invece a chi vorrebbe intraprendere il mestiere di fotografo?
S: tutto rischia di essere banale e poco concreto sotto la voce “consigli”. Posso dire che apprezzo chi si ferma e formula un pensiero, apprezzo quindi il poco, ma sentito.
G: Voglio riportare due cose che non sono consigli veri e propri, ma che fanno parte del “lavoro”. Durante un workshop con Jerome Sessini mi disse che tolta la fase di scatto, di produzione, in cui ovviamente devi avere ben in mente cosa fare e come farlo, un elemento fondamentale del racconto, dell’output è l’editing, cioè la selezione delle immagini e di ciò che è funzionale al racconto. Queste parole, specialmente nella nostra epoca in cui fare 100 scatti è come fare un battito di palpebra, diventano un elemento fondamentale. E poi Simone, che leggete qui insieme a me, una volta mi disse che per lui è fondamentale rinnovarsi. Costantemente. Lo ritengo un grande professionista anche per questo.











Intervista a cura di Giulia Dini
Tutte le immagini © Simone Bramante, Giuseppe Mondì