Le opere di Mattias Sellden (1986) si inseriscono al confine che divide l’arte dal design, molto spesso abissale ma altrettanto spesso sottile e labile. Il designer-artista svedese realizza infatti opere che oscillano tra la scultura e l’oggetto funzionale. Lui stesso afferma di “realizzare mobili disfunzionali che potrebbero essere scambiati per scultura”, ma queste potrebbero essere facilmente l’opposto, ovvero sculture in grado di acquistare una certa funzionalità. I pezzi unici di Sellden sono interamente realizzati in legno (per lo più betulla) rispettando quelle che sono le forme naturali del materiale ma, allo stesso tempo, maneggiandolo e modificandolo con vernici colorate e giocose, talvolta lucide talvolta opache.


Il processo di assemblaggio che Mattias Sellden compie con i pezzi in legno, conduce ad un aspetto antropomorfo e dai tratti alieni, dettato anche dai colori saturi come il verde, il viola, il rosso e l’arancione. Le forme proposte si animano di una certa vitalità e rimandano ad un immaginario primitivo che lo spettatore sente famigliare. Sellden si appoggia infatti allo stile neoprimitivo di Andrea Branzi ma, diversamente dal designer italiano, nelle sue opere emerge un maggiore dinamismo che tende verso un aspetto grafico. Da una visione frontale infatti, così come dai suoi bozzetti, è possibile riconoscere quelle forme tipiche degli ideogrammi giapponesi o cinesi. La rigidità di quest’ultime viene però caricata da un’espressionismo tipico delle opere di Jean-Michel Basquiat, nelle quali è possibile notare un sottile parallelismo con le opere di Sellden. Quei tratti simili a degli schizzi, quelle linee a volte spezzate altre volte più morbide che Basquiat inseriva nelle sue opere street e a parete, vengono ora riprese dal designer svedese in chiave scultorea, con un approccio meno crudo e più concreto.
Le opere di Mattias Sellden che ad un primo sguardo appaiono come astratte e disfunzionali, sono in grado di restituire in un immediato secondo momento, funzionalità e sensibilità umanizzante, portando lo spettatore a permanere in un limbo che si colloca tra la sola contemplazione e la possibilità di utilizzo.





Courtesy by Mattias Sellden