Monica Smaniotto ha diverse cose da raccontare su di sé e sulla fotografia, in attesa di esporre a Liquida PhotoFestival a partire dal 5 e fino al 22 maggio. Collater.al ha chiesto alla fotografa di raccontare i suoi scatti, che legano l’uomo alla natura come fosse un’opera di land art.
1. Raccontaci il progetto che esporrai a Liquida PhotoFestival
Sono una serie di immagini realizzate nell’immersione della natura montana, quella dove sono cresciuta. E’ un progetto dedicato al rapporto tra uomo e natura, ma anche al calore e alla vita nascosta dentro la pietra, dove l’uomo occupa forme e riempie gli spazi che la natura gli ha lasciato. La staticità del corpo ricerca il movimento interiore tra le pieghe dell’esistente.

2. Cosa significa per te ‘’mondo liquido’’ lo stesso mondo che ospiterà la tua mostra?
Un liquido non ha una sua forma ma può averne una se inserito in un recipiente. Questo stato indefinito di forma lo associo all’essere mutevole. Il nostro corpo è un contenitore, ma l’essere muta continuamente in base all’ambiente, agli eventi e ad infiniti fattori.
Come l’acqua se scaldata evapora o se messa in freezer ghiaccia, un liquido può mutare la sua forma solo grazie a forze esterne – il caldo e il freddo, il fuoco, la terra. La vita liquida, come la società liquido-moderna, non sa conservare la sua forma, scorre e non è mai uguale, lo ritengo fondamentale per evolvere, conoscersi, saper guardare oltre.
3. Nei tuoi scatti, i corpi inseriti nella natura sembrano opere di land art. Come ricerchi il rapporto tra figura umana e paesaggio?
Nei miei scatti c’è un recupero concettuale del corpo in una pratica performativa intrecciata, sia al paesaggio, che alla dimensione esistenziale e alle esperienze di vita, mie ma anche della persona che posa. Il corpo nudo trova e si mostra consapevole di ciò che vede. Chi vive nella fotografia, vive in me, il tempo si arresta e lo spazio dialoga.
Oltre il corpo c’è un’azione, non solo forma o scelta stilistica superficiale. Personalmente è una dichiarazione di forza, energia, libertà, indipendenza, virtualmente urlata tramite la fotografia.


4. Qual è il tuo primo ricordo relativo al mondo della fotografia?
Il proiettore di diapositive di mia madre, mi piaceva il rumore che faceva appena lo accendeva, il fatto di oscurare una stanza per vedere uscire da un fascio di luce l’immagine di me e mia sorella da piccoline al mare, o di mio padre che mi cullava in pigiama da neonata. Qualcosa che avevo vissuto eppure non ricordavo era lì, impalpabile sul muro, una magia, quel particolare momento di vita era stato catturato, ero contenta esistesse quel proiettore.


5. Il tuo immaginario tende verso una dimensione quasi onirica, quanto è importante per te l’evasione dalla realtà e quanto invece influenza la vita di ogni giorno?
Amo andare da sola in natura, camminare nei boschi, scoprire, cercare, perdermi, ritrovarmi, spaventarmi. Trovo questi luoghi isolati e lontani dai segni della civiltà, ma anche duri, rocciosi, quasi anti-umani, suggestivi ed emozionanti come possono esserlo i luoghi della mente. La natura, come la musica, l’arte, i film, la poesia, i miti, i sogni, m’ influenzano ed affascinano, da lì attingo e mi permettono di sviluppare un’immaginario. In particolare il mito, si oppone alla realtà, ma nello stesso tempo è un discorso vero. Il mito e il sogno, sono due forme dell’immaginario, ma sono anche due modi di rappresentazione di un senso che va decifrato, un senso primordiale che riguarda il passato della psiche e dell’umanità.
