The Guestbook: la nostra intervista a Nicola Ducati

Claudia Fuggetti · 4 anni fa

Questo appuntamento del Guestbook è dedicato a Nicola Ducati, fotografo italiano che ha scelto di dedicarsi alla travel photography. Le sue immagini raccontano storie, creano empatia tra lo spettatore e il soggetto con eleganza ed autenticità.

Noi di Collater.al abbiamo chiesto a Nicola di raccontarsi brevemente tramite un’intervista, che trovi qui sotto:

Come mai hai sviluppato un interesse verso questo genere fotografico?

Mi sono avvicinato al mondo della fotografia per caso. Da bambino giocavo con una vecchia macchina fotografica ritrovata chissà dove, un oggetto malandato ma affascinante che presto si è trasformato in passione. In seguito la curiosità mi ha spinto a sperimentare molti generi diversi, dai primi scatti di paesaggio, l’immancabile bianco nero, la fotografia di viaggio, infine il ritratto ambientato. Sono tanti i fotografi che mi hanno ispirato e mi hanno incoraggiato a cercare un mio modo di “vedere”.
Fotografi famosi capaci di suggestioni irraggiungibili insieme a fotografi meno conosciuti ma talentuosi con uno stile unico e poetico. Con alcuni di loro ho viaggiato, studiato, imparato e instaurato un rapporto di amicizia e stima.

Oggi mi piace soprattutto la fotografia che racconta storie ma che le lascia anche immaginare, che emoziona e suggerisce riflessioni.
Una fotografia narrante.

Quali sono le tematiche che ti piace trattare?

Uno dei progetti che in questo momento mi sta più a cuore è la serie che riguarda le fonderie dell’acciaio nel nord dell’India. Si tratta di una testimonianza sul duro lavoro di persone che qui nascono, crescono e trascorrono tutta la loro esistenza. Non un giudizio ma un documento su una realtà certamente controversa che accomuna la storia passata e presente di tanti uomini e donne del nostro tempo. Credo sia un buon materiale, quasi sconosciuto e che in pochi scatti diventi iconico e rappresentativo di un mondo lontano dal punto di vista geografico ma intenso e prossimo dal punto di vista umano. 

Più in generale il tema che prediligo è la ‘Conservazione della Memoria’ ovvero l’utilizzo della fotografia come strumento per preservare istanti di tempo unici e irripetibili. Non intendo nel senso classico, non cerco il ricordo esotico o la memoria di un viso segnato dalle difficoltà della vita, cerco un modo per dare continuità all’emozione che quel momento sfuggente o quella persona mi hanno regalato. Con grande generosità donne e uomini sconosciuti si fanno fotografare, si tratta di un dono e un privilegio che devono essere onorati e condivisi. 

Quel riflesso negli occhi, quello sguardo indagatore, quella luce fioca, quella ruga profonda, quelle mani rovinate dal lavoro, l’intimità di una casa fumosa, sono tutti frammenti di poesia.

Tra tutte le mete che hai visitato, in quale vorresti tornare?

Ho visitato molti paesi in questi anni. Torno spesso nell’amatissima e complicata India. In generale penso che un viaggio non sia mai sufficiente per saziarsi di un luogo. Ogni incontro, ogni persona, ogni tradizione hanno così tanto da raccontare che per un occhio curioso un’occasione sola non può bastare. 

Il viaggio più intenso è stato l’Afghanistan del nord, tra montagne innevate e gli alti passi del Piccolo Pamir. Molti giorni di spostamento a cavallo, tenda e sacco a pelo. Un viaggio crudo, faticoso, difficile, profondamente toccante. Tuttavia non ho alcun dubbio, è qui che vorrei tornare.

Come stabilisci il tuo legame col soggetto durante la fase di scatto?

Da persona timida all’inizio passare dalle foto di paesaggio al ritratto non è stato facile, nel tempo ho imparato molto dalle varie esperienze che ho avuto la fortuna di vivere. L’approccio alle volte è molto semplice come ad esempio in India dove non sei tu a cercare le foto ma sono loro a trovare te.

In altre situazioni come nei paesi musulmani, si deve essere più cauti e rispettosi delle tradizioni. Certamente ovunque è sempre necessario essere educati, amichevoli e sapersi accontentare. L’intuito e l’esperienza poi suggeriscono il resto, quando è ora di smettere di scattare si saluta e si ringrazia o magari si beve qualcosa insieme.

È capitato alcune volte di dover assaggiare cibi o bevande dal gusto diciamo ‘discutibile’ ma la gentilezza con cui viene offerta ospitalità non permette di tirarsi indietro. Anche il cibo è un modo per entrare in connessione con il soggetto. Generalmente le persone che incontro, quando capiscono le mie intenzioni non si dimostrano mai ostili.  Ci sono anche quelle situazioni dove è opportuno non fotografare per non infastidire il soggetto, il buon senso e la sensibilità sono generalmente strumenti preziosi per stare al mondo. 

Che progetti hai per il futuro?

Vorrei continuare a studiare e riuscire a frequentare workshop di fotografia avanzata che facciano evolvere ulteriormente lo stile e la mia consapevolezza. 

Ho in progetto molti viaggi e vorrei proseguire il lavoro sul tema della ‘Conservazione della Memoria’ visitando altri paesi e altri popoli che per collocazione geografica ed isolamento possano contribuire a completare il mio progetto. 

Si tratta di idee e sogni che spero davvero di poter realizzare.

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