Processing the Destination: an interview with Gracie Hagen

Processing the Destination: an interview with Gracie Hagen

Aurora Alma Bartiromo · 8 anni fa · Photography

Dopo il grande successo della precedente serie Illusions of the Body, ho avuto l’occasione e il piacere di scambiare due parole con Gracie Hagen per quanto riguarda il suo nuovo progetto, Processing the Destination.

Quando hai deciso di cominciare a lavorare a questo progetto?

Da un po’ di tempo stavo pensando di fare un progetto che si svolgesse in un lungo periodo di tempo. Quando la donna nelle fotografie si è presentata alla mia porta con l’idea e la volontà di documentare la sua situazione, ho subito capito che era l’occasione perfetta.

Tutte le foto del set non sembrano naturali, il soggetto è in posa come una scultura o qualcosa di simile, ma allo stesso tempo la malattia è mostrata in maniera chiara, senza fronzoli. Come sei riuscita ad ottenere questo effetto?

In realtà le foto sono l’incarnazione del naturale. Durante ogni sessione c’eravamo solo io e lei a parlare di quello che le stava succedendo in quel preciso periodo. Ho provato a scattare una foto che rappresentasse esattamente quello che lei stava passando. Questa è stata una delle sfide che ho dovuto vincere durante il progetto, essere certa di stare raccontando la sua storia, non la mia versione della sua storia.

Come hai costruito il rapporto con la donna?

Avevamo fatto conoscenza prima del progetto ma in corso d’opera siamo diventate amiche. Penso questo sia avvenuto perché siamo entrambe persone estroverse ed è stato facile far nascere un’amicizia.

È stato difficile per te seguirla attraverso la sua malattia? Ti sei sentita empatica nei suoi confronti?

Io so che il cancro al seno esiste, come molte altre persone. Lo vediamo quasi tutti i giorni sui prodotti che compriamo o attraverso i media, è diventata una cosa molto commercializzata. Quello che secondo me ha fatto questo progetto è stato riportare il cancro al seno in una dimensione molto più realistica. Ho potuto vedere le diverse emozioni e i cambiamenti fisici a cui si va incontro. Non posso dire di sapere esattamente quello che si passa perché non l’ho provato sulla mia pelle, ma mi sono sentita una privilegiata a poter dare un rapido sguardo su com’è avere davvero il cancro al seno.

Perché hai scelto di includere la bambina nelle foto solo all’inizio e alla fine della serie?

La bambina è lì per aiutare lo spettatore a capire quanto tempo sia effettivamente passato e i forti cambiamenti che, non solo la madre, ma anche la piccola, hanno vissuto. L’intero processo ha interferito sulla sua capacità di essere madre. Quando le è stata diagnosticata la malattia, sua figlia aveva solo 6 mesi e durante le cure per tanto tempo lei non poteva nemmeno prenderla in braccio a cause delle ferite che si stavano rimarginando. Ha dovuto rivalutare e riadattare tutto il suo ruolo genitoriale.

Inoltre il soggetto delle foto ha dovuto affrontare non solo le immagini del suo corpo a cui era abituata ma anche le nuove ed ha pensato alle implicazioni a cui questi problemi potrebbero portare quando sua figlia sarà ormai una ragazza. Quanto queste potranno interferire con la crescita di una bambina, le esperienze di vita e il rapporto con il suo corpo?

Questo progetto è come un viaggio, dov’è la fine del percorso e cosa hai ottenuto quando ci sei finalmente arrivato?

Il cancro al seno è spaventoso e colpisce al cuore della femminilità. Volevamo togliere l’alone di mistero su questa esperienza, rivelare il viaggio e aggiungere un nuovo tipo di volto per ampliare il resoconto. Volevamo rendere partecipi le persone che non hanno a che fare con questo problema e aiutare quelle che purtroppo lo stanno vivendo.

Processing the Destination, come il mio lavoro precedente, ruota attorno alla condizione umana. È un atto di empatia e comprensione. In questo modo possiamo tutti condividere la paura, il dolore, la frustrazione e, alla fine, il trionfo, di cui un altro essere umano sta facendo esperienza.

Inoltre vorrei anche ricordare che il viaggio di ognuno è differente, questa non è una guida o un libretto d’istruzioni. Sono solo delle informazioni che stiamo portando alla luce del sole in modo che le donne possano prendere decisioni ben valutate.

English Version:

After the success of her previous series Illusions of the Body, I had the chance and the pleasure to have a little talk with Gracie Hagen about her new projectProcessing the Destination

When did you decided to begin this project? 

For a while I had been thinking about wanting to do a project that took place over a long period of time. When the woman in the photographs came to me with her idea to document her situation, I knew that it was the perfect project. 

All the photos of the set are not natural, the subject is striking a pose like a sculpture or something similar, but they are very clear about the disease. How did you manage to achieve this effect? 

The photographs are actually the epitome of natural. Each session was just her and I talking about what was happening for her during that particular time. I tried to pick an image that represented what she was going through. That was one of the challenges for me during the project, making sure I was telling her story, not my version of her story. 

How did you built the relationship with the woman? 

We had been acquaintances before the project but during the process we became friends. I think because we are both open people, it was easy to establish a friendship.

Is it been hard for you to follow her through her illness? Did you feel empathetic with her? 

I, like most people, know that breast cancer exists. We see it almost every day in products we buy or media we consume, it has become very commercialized. What this project did was bring breast cancer into more of a realistic view for me. I saw the different emotional and physical changes someone went through. I cannot say I know exactly what she went through because I’ve never experienced it myself, but I felt very privileged to get a glimpse of what it actually is like to have breast cancer. 

Why did you chosen to put in the picture the child only at the beginning and at the end of the series? 

The child is there to help visualize the amount of time that has passed, the amount of change that not only the woman went through but her child as well. The whole process affected how she was able to parent, when she was diagnosed, her child was about 6 months old and during the procedure there were long periods of time where she could not hold her child because of the healing that was taking place. She had to reevaluate how she would connect and parent her child without the ability to hold her own baby. 

The subject also had to come face to face with not only her old body image issues, but she acquired new ones. She thought about the implications those issues would have when raising a girl. How would these things affect her child’s growth, life experiences and own view of her body?

This project is like a journey, where is the end of the path and what did you achieve when you get there?

Breast cancer is frightening and strikes at the core of womanhood. We wanted to de-mystify the experience, reveal the journey, and add another type of face to expand the narrative. We wanted to enlighten people who aren’t dealing with this issue and to help those who are. 

Processing the Destination, like my past work, revolves around the human condition. It is an act of empathy and understanding. In this way we can all share in the fear, pain, frustration and subsequent triumph, another fellow human being experienced. 

I also want to note that everyone’s journey is different, this isn’t a guide or instructions for anyone. It’s information we are putting out there so women can make more informed decisions. 

Processing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie HagenProcessing the Destination - an interview with Gracie Hagen

http://www.graciehagen.com/

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La fotografia eterea di Matteo Zanin

La fotografia eterea di Matteo Zanin

Giorgia Massari · 3 giorni fa · Photography

“Ci sono ipotesi diverse su come siamo venuti al mondo, c’è chi dice dagli animali come conseguenza dell’evoluzione della specie e c’è chi dice per mano di Dio, ma di certo sappiamo che quando lasceremo questo pianeta, ciò che resterà di noi sarà solo polvere.” con queste parole il fotografo italiano Matteo Zanin (1986) riflette sul nostro destino attraverso una serie di scatti di nudo artistico. La polvere, le briciole, i detriti, le ceneri sono il punto di partenza del suo progetto fotografico POLVERE in cui la materia naturale e il corpo umano diventano una cosa sola.

Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al

In un’ambiente arido, privo di vegetazione, una donna nuda, dall’aspetto candido e leggero vaga nel desertico paesaggio, mimetizzandosi e amalgamandosi ad esso. “La donna è l’essere vivente che più si avvicina alla natura, perché come lei è l’unica che può creare un’altra vita.” riflette Zanin.

Gli scatti appartengono ad una sfera eterea, che rimanda lo spettatore ad uno scenario quasi apocalittico. L’ultima donna sul pianeta, una ninfa solitaria, in cerca di acqua, di una fonte di vita. Con il tempo il suo corpo si congiunge alla natura, fino a diventare parte della stessa. Contorcendosi imita le sue forme, abbracciandola le dimostra il suo amore.

La passione per la Street photography e il suo approccio cinematografico, oltre alla sua esperienza nel campo della moda, emergono particolarmente nella serie POLVERE, capace di riassumere l’identità artistica di Matteo Zanin e di restituire una serie di sentimenti contrastanti. La natura può dare ma può anche togliere.

Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al

Courtesy and credits Matteo Zanin

La fotografia eterea di Matteo Zanin
Photography
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Le fotografie di J. Jason Chambers raccontano l’America

Le fotografie di J. Jason Chambers raccontano l’America

Anna Frattini · 4 giorni fa · Photography

Classe 1980, J. Jason Chambers è un fotografo americano che racconta l’America attraverso i suoi scatti, viaggiando di stato in stato e ispirandosi al New Topographics Movement. Scorrendo fra gli scatti del fotografo sembra di vedere un’America molto diversa da quella che ci immaginiamo. Insegne al neon luminose, stazioni di servizio e vecchie automobili sospese in un’atmosfera quasi cinematografica. Chambers sembra essere in continuo movimento, dalla California fino a Wall Street passando per il deserto. Le fotografie scattate a New York fanno da contraltare alle suggestioni desertiche del New Mexico e ai panorami texani di Marfa.

La riflessione di J. Jason Chambers su una nuova topografia influenzata dall’uomo si ispira a una mostra risalente al 1975 a Rochester, New Topographics. In questa occasione furono esposti 10 fotografi alle prese con l’arrivo del Concettualismo e del Minimalismo nella fotografia degli anni ’70. Il SFMoMA, nel 2010, ha deciso di riportare in vita questa mostra rivelando il ponte pre-esistente fra il mondo dell’arte contemporanea e quello della fotografia.

Il punto di incontro fra la fotografia di J. Jason Chambers e New Topographics sta nel rapporto fra l’uomo e l’ambiente. Stazioni di servizio, motel o parcheggi fanno ormai parte del nostro immaginario quando si parla di paesaggistica così oggi come negli anni ’70.

J. Jason Chambers

Per scoprire altri scatti di J. Jason Chambers qui il suo profilo Instagram.

Le fotografie di J. Jason Chambers raccontano l’America
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Voglia d’estate con gli scatti di Andoni Beristain

Voglia d’estate con gli scatti di Andoni Beristain

Giorgia Massari · 6 giorni fa · Photography

Non possiamo dare niente e nessuno per scontato. Celebriamo ciò che di bello ci da la vita. Attraversiamo i momenti difficili e rimaniamo in piedi”. Con questa parole entriamo a contatto con la poetica del fotografo basco Andoni Beristain che, con oggetti semplici e paesaggi colorati omaggia la bellezza della vita. Le sue origini basche sono fondamentali nella sua ricerca e particolarmente evidenti nella sua estetica. Nelle sue fotografie still life, emerge la sua visione personale della vita: colorata, ottimista e ironica. 

Con questa serie di scatti di Andoni Beristain che vi proponiamo oggi, evochiamo l’estate in arrivo e la voglia di tutti di spensieratezza. Ma, nonostante i colori caldi, il mare, la spiaggia ed elementi come le sedie in plastica e i ventilatori, che immediatamente rimandano al periodo estivo, una certa nostalgia si cela dietro questi scatti. La leggerezza estiva è accompagnata da una vena di solitudine. Una sedia è sola in mare. Un gioco è trasportato dalle onde. Un uovo è appeso al sole. Un uomo galleggia solo nel mare. Tutte scene solitarie, che richiamano un certo senso di abbandono. Probabilmente, con questi scatti Andoni sceglie di richiamare alla mente il dualismo tipico dell’estate, da una parte la desideriamo ma dall’altra non riusciamo mai a godercela. Ed ecco che ritorna la frase di Beristain e la sua volontà di insegnarci ad assaporare il momento, ad essere in grado di condurre la classica slow life, oggi sempre più difficile da attuare.

Andoni Beristain | Collater.al
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Andoni Beristain | Collater.al
Andoni Beristain | Collater.al

Courtesy Andoni Bernstein

Voglia d’estate con gli scatti di Andoni Beristain
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Voglia d’estate con gli scatti di Andoni Beristain
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Il cibo pixelato di Yuni Yoshida

Il cibo pixelato di Yuni Yoshida

Giulia Pacciardi · 1 settimana fa · Photography

I pixel sono gli elementi più piccoli che costituiscono un’immagine, talmente minuscoli e numerosi da non poter essere visti ad occhio nudo.
Anzi, quando si vedono, non è affatto un buon segno.
In tutti i casi tranne uno, ossia, quando diventano protagonisti di un progetto.

È questo il caso di Pixelated, delle fotografie firmate dall’Art Director giapponese Yuni Yoshida in cui cibo e pietanze vengono sezionate in tanti quadrati perfetti che riprendono i colori degli ingredienti, della buccia o della polpa.
Una serie di immagini surrealiste ed attraenti che speriamo diventino molte di più di quante sono ora.

Il cibo pixelato di Yuni Yoshida | Collater.al 1 Il cibo pixelato di Yuni Yoshida | Collater.al 2 Il cibo pixelato di Yuni Yoshida | Collater.al 3

Il cibo pixelato di Yuni Yoshida
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Il cibo pixelato di Yuni Yoshida
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