L’unicità visionaria di Satoshi Kon

L’unicità visionaria di Satoshi Kon

Andrea Tuzio · 6 mesi fa · Art

Quando la fantasia e la realtà si mescolano a tal punto da far sfumare quasi completamente il confine che le divide. 
Se si potesse racchiudere in una frase la poetica del visionario regista, sceneggiatore, illustratore e manga artist giapponese Satoshi Kon, questa è quella che – pur estremamente riduttiva per via del suo sconfinato talento ed estro creativo – più di altre si avvicina alla realtà. 
La sua capacità di plasmare i mondi che lui stesso creava in un modo così peculiare e riconoscibile, lo pone senza nessun dubbio tra i più grandi e decisivi registi di anime di sempre.

Satoshi Kon nasce a Sapporo, sull’isola di Hokkaido, il 12 ottobre del 1963. Studia nella sua città natale diventando compagno di classe e amico intimo del mangaka Seihō Takizawa e, mentre frequenta la Hokkaido Kushiro Koryo High School, Kon si rende conto che la sua aspirazione è quella di diventare un fumettista e di lavorare nel mondo dell’animazione.

Nel 1982 inizia a frequentare il corso di graphic design alla Musashino Art University di Tokyo e, mentre è ancora uno studente, debutta come manga artist con il breve racconto dal titolo Toriko, guadagnandosi le attenzioni di un altro gigante dell’animazione giapponese, Katsuhiro Ōtomo – il papà di Akira per intenderci, al quale Kon tra l’altro contribuirà – che lo vorrà come suo assistente. Questo legame segnerà in modo significativo l’inizio di carriera di Kon.

Terminerà gli studi nel 1987 e nel 1990 scrive il suo primo manga in volume unico, dal titolo Kaikisen, oltre a scrivere la sceneggiatura del live-action di Ōtomo, World Apartment Horror e, l’anno successivo sempre per Ōtomo, lavorerà per la prima volta come direttore artistico e animatore al film Roujin Z, scritto proprio dal leggendario mangaka. 

La svolta della sua carriera però arriva nel 1992, quando lavora scrivendone la sceneggiatura, a Magnetic Rose – il primo episodio dei tre che compongono il film d’animazione Memories, tratto dai manga di Ōtomo. Qui Kon si cimenta per la prima volta con quello che diventerà il tratto distintivo della sua narrazione e della poetica all’interno delle sue opere, la fusione tra realtà e fantasia.  

Alcuni dei suoi capolavori come Perfect Blue (1997), Tokyo Godfathers (2003) e Paprika – Sognando un sogno (2006), rappresentano un unicum nel panorama dell’animazione giapponese e una reference costante per il cinema contemporaneo, ispirando registi del calibro di Darren Aronofsky e Christopher Nolan

Un vero maestro del surrealismo, dell’erraticità del racconto, della fuggevolezza della memoria, della mutevolezza della realtà che mai sembra essere ciò che è, portando lo spettatore a intraprendere un viaggio i cui limiti sono assolutamente sconosciuti, sconfinando nell’onirico e nel fantastico nonostante il realismo sia però sempre molto presente. L’estrema sensibilità che traspare in modo evidente dalle opere di Kon e il suo stile fluido e instabile, compongono un puzzle fatto di genio e consapevolezza, di creatività senza compromessi e visione senza eguali. Si allontana dalla fantascienza estremizzata di Ōtomo per abbracciare tematiche più legate alla tradizione giapponese, come la natura e il mito. Futuro e misteri primordiali si mescolano alla perfezione anche grazie a un tratto pulito e realistico, in controtendenza con quello che l’animazione giapponese aveva espresso tra gli anni ’70 e ’80.

Purtroppo il viaggio terreno di Satoshi Kon è terminato prematuramente il 24 agosto del 2010, a soli 46 anni, per un tumore al pancreas. Queste sono le parole di commiato pubblicate poco di prima di morire sul suo sito, affidate a un post dal titolo eloquente, Sayonara, parlando della sua malattia e del lavoro, che mai porterà a termine, che stava dedicando a quello che sarebbe stato il suo ultimo lungometraggio, intitolato, Yumemiru Kikai
“Pieno di gratitudine per tutto ciò che di buono c’è nel mondo, poso la mia penna. Con permesso”.

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Gender Theory, il progetto fotografico di Rossella Agostini

Gender Theory, il progetto fotografico di Rossella Agostini

Claudia Fuggetti · 6 giorni fa · Photography

“Come vivremmo se non avessimo dei modelli di genere già precostituiti?

È questo il quesito che si pone il progetto Gender Theory della fotografa e filmmaker Rossella Agostini. Dopo essersi laureata in direzione della fotografia presso il Columbia College di Chicago, l’artista ha deciso di focalizzare la sua ricerca sulla celebrazione dell’individuo in quanto tale e il suo rapporto con il mondo circostante.

L’esplorazione delle relazioni interpersonali sono evidenziate da un tipo di estetica che predilige soggetti visibili da lontano collocati in spazi vuoti: insieme alla valorizzazione di bellezze fuori dal comune Rossella crea così una coerenza narrativa. L’artista ha descritto la sua serie fotografica così:

“Gender Theory è una serie fotografica che rifiuta l’idea del binarismo di genere e ne esplora una realtà dove questa non sia una costruzione sociale. Accenna a temi come l’identità e la sessualità e dimostra come il sesso biologico, l’identità di genere e l’espressione di genere non sempre combacino”.

Attraverso un elegante gioco di ruoli, le immagini di Rossella raccontano una storia capace di arrivare immediatamente al pubblico, non è un caso che Gender Theory abbia vinto il London Photo Festival nel 2018.

Visita il sito dell’artista qui.

Gender Theory, il progetto fotografico di Rossella Agostini | Collater.al
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Tutto quello che abbiamo visto al Linecheck

Tutto quello che abbiamo visto al Linecheck

Anna Frattini · 3 giorni fa · Photography

Abbiamo già parlato di Linecheck, l’evento dedicato all’ecosistema musicale italiano e internazionale. Ci siamo andati anche noi e – attraverso la lente di Andrés Juan Suarez – questo è quello che abbiamo visto. Abbiamo respirato aria di novità in un’occasione di incontro e confronto che ci ha permesso di scoprire i nuovi talenti e molte delle nuove tendenze musicali. Insomma, un evento imperdibile nella cornice della Milano Music Week. Le nostre esibizioni preferite sono state quelle di Daniela Pes, 72-HOUR POST FIGHT e Post Nebbia. Quest’anno il tema era #ManyKisses, con la volontà di vedere la musica come un’ecosistema: una comunità poliamorosa che cresce attraverso il dialogo continuo tra i suoi membri, la circolazione di energia ispiratrice e creativa insieme allo scambio fra personalità affermate sulla scena e artistə emergenti. 

ph. Andrés Juan Suarez

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Le donne della notte negli scatti di Carolina Lopez 

Le donne della notte negli scatti di Carolina Lopez 

Giulia Guido · 3 giorni fa · Photography

Ai margini della società globalizzata – quella della sindrome da workaholism – e ai margini del giorno ha sempre vissuto una società che non si è mai posta confini o limiti di alcun tipo. È qui, tra le gente della notte, che dal 2018 al 2021 la fotografa Carolina Lopez ha vagato munita della sua macchina fotografica. 

Carolina Lopez è una giovane fotografa di origini latinoamericane che lavora tra gli Stati Uniti e l’Europa, dove ha preso vita il suo ultimo progetto fotografico “Les Nuits Fauves”. Le donne che popolano la vita notturna di città come Berlino, Praga, Londra, Las Vegas, Parigi e Milano sono le protagoniste dei suoi scatti. 

Con un’estetica super satura e un taglio quasi documentaristico il lavoro di Carolina è un’analisi sulla società consumistica, superficiale ed evidentemente ossessionata dalla moda e dall’estetica. Il flash accecante sella macchina fa luce su alcuni elementi, lasciandone altri totalmente al buio e restituendo quell’aspetto fugace e misterioso della notte. 

Grazie a una campagna di crowdfunding “Les Nuits Fauves” è diventato un libro ed è stato pubblicato dalla casa editrice italiana Selfself Books. Qui sotto potete trovare alcuni scatti del progetto, ma scopritelo per interno sul sito di Carolina Lopez e sul suo profilo Instagram

Le donne della notte negli scatti di Carolina Lopez 
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Le donne della notte negli scatti di Carolina Lopez 
Le donne della notte negli scatti di Carolina Lopez 
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Corpi in libertà, la fotografia di Lucas Cerri

Corpi in libertà, la fotografia di Lucas Cerri

Giulia Guido · 3 ore fa · Photography

Lucas Cerri è un fotografo francese, nato a Cannes, che spazia dalle fotografie di viaggio ai ritratti, ma la vocazione per quest’arte è arrivata quasi per caso. 

Infatti, Lucas nasce come musicista, poi col tempo, oltre a esprimere emozioni, pensieri e sentimenti attraverso note e melodie, ha cominciato a fare anche attraverso le immagini. 

Da allora, che fosse analogica o digitale, la macchina fotografica ha sempre fatto parte delle sue giornate. 

Scorrendo il suo sito e addentrandoci nel suo portfolio possiamo notare fin da subito come Lucas Cerri riesca a spaziare dalla fotografia di viaggio, con cui ci porta in ogni angolo del mondo, dall’Islanda agli Stati Uniti, dal caldo Portogallo alla fredda Norvegia, a ritratti intimi e delicati. 

Tra i suoi lavori il nudo ha un ruolo preponderante e il corpo, con le sue forme e le sue linee, diventa quasi una scultura da catturare in tutta la sua naturalezza. Spesso, i corpi che scatta si trovano immersi nella natura, quasi sovrastati da essa e guardando le fotografie di Lucas Cerri sentiamo quel senso di libertà che proviamo quando ci immergiamo nelle profonde acque del mare, o quando corriamo lungo campi desolati. 

Qui sotto trovi una selezione di scatti, ma per scoprire tutti i lavori di Lucas Cerri visitate il suo sito e seguitelo su Instagram

Corpi in libertà, la fotografia di Lucas Cerri
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Corpi in libertà, la fotografia di Lucas Cerri
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