Quando la fantasia e la realtà si mescolano a tal punto da far sfumare quasi completamente il confine che le divide.
Se si potesse racchiudere in una frase la poetica del visionario regista, sceneggiatore, illustratore e manga artist giapponese Satoshi Kon, questa è quella che – pur estremamente riduttiva per via del suo sconfinato talento ed estro creativo – più di altre si avvicina alla realtà.
La sua capacità di plasmare i mondi che lui stesso creava in un modo così peculiare e riconoscibile, lo pone senza nessun dubbio tra i più grandi e decisivi registi di anime di sempre.

Satoshi Kon nasce a Sapporo, sull’isola di Hokkaido, il 12 ottobre del 1963. Studia nella sua città natale diventando compagno di classe e amico intimo del mangaka Seihō Takizawa e, mentre frequenta la Hokkaido Kushiro Koryo High School, Kon si rende conto che la sua aspirazione è quella di diventare un fumettista e di lavorare nel mondo dell’animazione.

Nel 1982 inizia a frequentare il corso di graphic design alla Musashino Art University di Tokyo e, mentre è ancora uno studente, debutta come manga artist con il breve racconto dal titolo Toriko, guadagnandosi le attenzioni di un altro gigante dell’animazione giapponese, Katsuhiro Ōtomo – il papà di Akira per intenderci, al quale Kon tra l’altro contribuirà – che lo vorrà come suo assistente. Questo legame segnerà in modo significativo l’inizio di carriera di Kon.

Terminerà gli studi nel 1987 e nel 1990 scrive il suo primo manga in volume unico, dal titolo Kaikisen, oltre a scrivere la sceneggiatura del live-action di Ōtomo, World Apartment Horror e, l’anno successivo sempre per Ōtomo, lavorerà per la prima volta come direttore artistico e animatore al film Roujin Z, scritto proprio dal leggendario mangaka.

La svolta della sua carriera però arriva nel 1992, quando lavora scrivendone la sceneggiatura, a Magnetic Rose – il primo episodio dei tre che compongono il film d’animazione Memories, tratto dai manga di Ōtomo. Qui Kon si cimenta per la prima volta con quello che diventerà il tratto distintivo della sua narrazione e della poetica all’interno delle sue opere, la fusione tra realtà e fantasia.

Alcuni dei suoi capolavori come Perfect Blue (1997), Tokyo Godfathers (2003) e Paprika – Sognando un sogno (2006), rappresentano un unicum nel panorama dell’animazione giapponese e una reference costante per il cinema contemporaneo, ispirando registi del calibro di Darren Aronofsky e Christopher Nolan.
Un vero maestro del surrealismo, dell’erraticità del racconto, della fuggevolezza della memoria, della mutevolezza della realtà che mai sembra essere ciò che è, portando lo spettatore a intraprendere un viaggio i cui limiti sono assolutamente sconosciuti, sconfinando nell’onirico e nel fantastico nonostante il realismo sia però sempre molto presente. L’estrema sensibilità che traspare in modo evidente dalle opere di Kon e il suo stile fluido e instabile, compongono un puzzle fatto di genio e consapevolezza, di creatività senza compromessi e visione senza eguali. Si allontana dalla fantascienza estremizzata di Ōtomo per abbracciare tematiche più legate alla tradizione giapponese, come la natura e il mito. Futuro e misteri primordiali si mescolano alla perfezione anche grazie a un tratto pulito e realistico, in controtendenza con quello che l’animazione giapponese aveva espresso tra gli anni ’70 e ’80.

Purtroppo il viaggio terreno di Satoshi Kon è terminato prematuramente il 24 agosto del 2010, a soli 46 anni, per un tumore al pancreas. Queste sono le parole di commiato pubblicate poco di prima di morire sul suo sito, affidate a un post dal titolo eloquente, Sayonara, parlando della sua malattia e del lavoro, che mai porterà a termine, che stava dedicando a quello che sarebbe stato il suo ultimo lungometraggio, intitolato, Yumemiru Kikai:
“Pieno di gratitudine per tutto ciò che di buono c’è nel mondo, poso la mia penna. Con permesso”.
