«Termine con cui si identificano particelle di materie plastiche, prodotte direttamente o indirettamente dall’uomo».
Questa è la definizione che si trova sul dizionario sotto la voce “microplastiche”, una parola sconosciuta fino a poco tempo fa e ora diventata di uso quotidiano. La definizione, poi, continua portando dati e citando studi, fino a rivelare la parte più scioccante.
«La loro dispersione nell’ambiente ne consente l’ingresso nella catena trofica, documentato in oltre 180 specie animali, tra cui uccelli, pesci, tartarughe e mammiferi, con un impatto ecotossicologico che arriva a coinvolgere anche la specie umana».
In pratica, studi fatti in tutto il mondo hanno appurato che una gran quantità di specie animali tra cui zooplancton, polpi, vongole, pesci ingeriscono giornalmente microplastiche. Nel momento in cui questi animali diventano preda di altri, le microplastiche finiscono per entrare nella catena alimentare arrivando fino alla cima, fino all’uomo.
Per sensibilizzare il pubblico su questo argomento, lo Sweet Sneak Studio, in collaborazione con lo zoo di Copenhagen e il fotografo Morten Bentzon hanno realizzato The Microplastic Photo Series, un progetto che mostra alcuni degli alimenti in cui è stata accertata la presenza di microplastiche.
La serie fotografica si compone di otto scatti still life in cui alimenti come la birra, il sushi, il miele e l’acqua sono letteralmente fusi con parti di plastica. L’aspetto che più affascina sta nel fatto che nessuno mangerebbe mai i cibi scattati da Morten Bentozon, mentre tutti continuiamo a comprare quelli in cui abbiamo la certezza matematica ci siano microplastiche.