David Chipperfield realizzerà un nuovo palazzetto a Milano

David Chipperfield realizzerà un nuovo palazzetto a Milano

Tommaso Berra · 1 anno fa · Design

A meno di un mese dalla fine delle Olimpiadi invernali di Pechino, è già ora di pensare alla prossima edizione, che si terrà nel 2026 a Milano e Cortina. In vista della cerimonia di inaugurazione, nel capoluogo lombardo si stanno costruendo gli impianti che ospiteranno alcune delle discipline, uno di questi porterà la firma dello studio fondato dall’archistar David Chipperfield, insieme allo studio di ingegneri Arup.
Il palazzetto, che ospiterà durante i giochi i tornei di hockey, si chiamerà Arena Santa Giulia, dal nome del quartiere nel quale sorgerà l’impianto, circondato da edifici residenziali e commerciali, ma anche da un parco e una piazza da 10000 mq.

David Chipperfield | Collater.al

La pianta ellittica dell’edificio prende ispirazione dagli anfiteatri romani, mentre tre cerchi con schermi a led all’esterno permetteranno di presentare gli eventi sportivi e i concerti che il palazzetto prevede di ospitare una volta conclusa l’Olimpiade.
L’Arena Santa Giulia ospiterà 12000 spettatori seduti e altri 4000 potranno assistere agli eventi in piedi. Il pubblico potrà accedere all’impianto grazie a un’ampia scalinata, fiancheggiata da un’area verde. Tutto il sito terrà conto della sostenibilità energetica, gli impianti fotovoltaici all’esterno infatti permetteranno di soddisfare autonomamente il fabbisogno del palazzetto.
Il progetto, presentato da David Chipperfield attraverso i primi render pubblicati negli scorsi giorni, ha un aspetto monumentale ed elegante, lo stile e l’approccio alla progettazione è in linea con un altro grande impianto sportivo che sorgerà a Milano nei prossimi anni, ovvero il nuovo stadio di Milan e Inter, progettato da Populous.

David Chipperfield | Collater.al
David Chipperfield | Collater.al
David Chipperfield | Collater.al
David Chipperfield | Collater.al
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Lupo Horiokami in mostra a Contemporary Cluster analizza il concetto di separazione

Lupo Horiokami in mostra a Contemporary Cluster analizza il concetto di separazione

Giulia Guido · 1 anno fa · Design

Proprio quando pensiamo che sia già stato fatto tutto e di aver già visto tutto arriva qualcuno con un’idea tanto semplice quanto geniale. Nel 2016 il gallerista Giacomo Guidi e l’architetto Giorgia Cerulli hanno dato vita a Contemporary Cluster, uno spazio basato sul concetto di contaminazione. 

Si tratta di un luogo messo completamente a disposizione di più artisti esponenti di differenti discipline, che ne occupano i diversi ambienti, trasformandolo in un luogo in cui trovare effettivamente una reale rappresentazione della scena artistica contemporanea. 

Nato all’interno di Palazzo Cavallerini Lazzaroni a Roma, lo scorso anno Contemporary Cluster si è trasferito e ha inaugurato la sua nuova sede all’interno dello stupendo Palazzo Brancaccio in Via Merulana 248. Ad oggi il palazzo è diviso in 4 spazi principali: Tube, Gallery, Apartamento e Cave, inaugurato qualche mese fa.

È proprio all’interno dell’immenso open space di Cave, e grazie alla collaborazione con Ginnika e Drago Publisher, che dal 17 marzo al 9 aprile Lupo Horiokami presenterà “Cerimony of Separation”

Classe 1979, Lupo Horiokami si è approcciato da adolescente al mondo dell’arte attraverso il disegno, per poi continuare aprendo un proprio studio di tatuaggi e collaborando con tattoo artist provenienti da tutto il mondo. Dopo vent’anni nel mondo del tatuaggio ha cominciato a interessarsi al design e all’architettura, iniziando a progettare e realizzare oggetti e sculture caratterizzati da minimalismo e pulizia delle forme. 

“Cerimony of Separation” sarà la sua prima mostra di design nella quale l’artista presenterà una collezione attraverso la quale viene analizzato il concetto, ma anche il momento, di separazione tra le persone. Il percorso creato da Lupo Horiokami con le sue opere accompagnerà lo spettatore in un viaggio che terminerà con la dimostrazione di come la bellezza e la potenza della cerimonia riescano ad alleviare il dolore causato dalla separazione. 

Il mondo e le culture in cui “Cerimony of Separation” affonda le radici sono lontani dalla nostra, proprio per questo abbiamo chiesto allo stesso Lupo Horiokami di raccontarci come è nata l’idea della mostra, a cosa si è ispirato, ma non solo. 

Qual è il tuo background? Come hai cominciato il tuo percorso artistico?

Il mio percorso arriva dal disegno e dal tatuaggio. Credo che la passione per le arti visive sia la base di tutto, un imprinting  che molte persone sviluppano in tenera età. Il primo approccio con il disegno è stato nel 1993, quando ho cominciato ad appassionarmi alla cultura di strada, dal hip hop al writing, e ho cominciato a studiare i “graffiti” sentendo il disegno come mezzo di comunicazione. Pur essendo molto giovane sentivo già la carica comunicativa di certe espressioni artistiche.

Nel 1998 ho cominciato a interessarmi al mondo del tatuaggio: il mio interesse è nato proprio perché sentivo una grande attrazione per molti disegni che vedevo tatuati. La mia curiosità è tuttora la base della mia crescita artistica e anche la ragione che mi permette di non stancarmi mai del mio lavoro.

Mi sono buttato talmente tanto a capofitto nel disegnare e studiare la cultura del tatuaggio tradizionale e moderno che dopo essermi tatuato ho deciso di intraprendere la carriera di tatuatore.

Ho studiato il tatuaggio come artista e ancor prima come artigiano, ho capito che la cosa che mi dava più soddisfazione era il processo creativo di un artigiano con una spinta emotiva che solo l’arte può trasmettere. Alla fine ho lavorato e studiato per 23 anni cercando di trasmettere e comunicare la mia visione di tatuaggio e di bellezza, ho fatto molte cose diverse e provato svariati stili prima di trovare la mia strada, anche se la cultura giapponese è sempre stato il filo conduttore. Negli anni ho studiato tutto quello che fa parte della cultura giapponese, dalla religione alla calligrafia, dal design alla moda, dal folclore alla cultura generale.
Il mio background è fatto veramente da mille cose e da tutte le esperienze che ho avuto nel lavoro e nei viaggi, ogni singola esperienza ha dato vita a mille stimoli per altrettante idee e progetti. Ora dopo aver affinato i miei gusti sto cercando di portare avanti dei progetti non solo legati all’arte del tatuaggio ma a un discorso più ampio sulla comunicazione e sulla potenzialità che abbiamo di creare per comunicare la propria visione del mondo.

Quali sono le tue fonti di ispirazione? Ci sono culture, paesi o artisti che segui e ritroviamo nella tua arte?

Le mie fonti di ispirazione sono molteplici, come ho spiegato prima attingo da ogni cosa mi susciti interesse. Credo che l’ispirazione vera derivi da una sorta di sogno onirico, un qualcosa che è perennemente avvolto da nuvole, ma in una mattina di sole si palesa chiaro e limpido davanti a te rendendoti cosciente di qualcosa che è sempre stato lì ma non riuscivi a vedere.
Ad ogni modo, il design giapponese e tutto quello che riguarda una sorta di minimalismo è sempre stato nelle mie corde, ho cominciato ad apprezzare la moda e l’architettura e studiare il Decò e l’arte del ‘900, e da lì in poi tutto il brutalismo francese e tedesco, Le Corbusier, Ludwig Mies van der Rohe, le correnti del futurismo italiano, Filippo Tommaso Marinetti, Giacomo Balla, fino ad arrivare a Carlo Scarpa, a qui sono particolarmente affezionato visto che è mio concittadino.

Lupo Horiokami

“Ceremony of Separation” , che esporrai a Contemporary Cluster, è la tua prima collezione di design. Come e perché ti sei avvicinato a questa disciplina?

Sì, finalmente è arrivato il momento di ritagliarmi uno spazio nella stupenda ambientazione di Palazzo Brancaccio a Roma. Io e Contemporary Cluster abbiamo lavorato su questo evento e li ringrazio pubblicamente per il loro supporto: c’è stata subito sintonia, molte delle cose che volevo esprimere sono state capite subito del curatore Giacomo Guidi.

Mi sono avvicinato a questa disciplina attraverso la voglia di creare non solo disegni ma anche oggetti reali da poter toccare e apprezzare attraverso il tempo che passa.

La mia voglia di creatività e la mia passione per l’artigianato e l’arte hanno portato a compimento il progetto di studiare la realizzazione di ogni  pezzo della mostra, essendo non solo  disegnatore di ogni pezzo ma anche parte fondamentale di ogni progetto, avvalendomi di collaboratori e artigiani della mia zona che mi hanno supportato con tutta la loro energia e professionalità.

Lupo Horiokami

Qual è l’idea di base di “Ceremony of Separation”? Che ruolo hanno i materiali e le forme che scegli e selezioni?

Il concetto di base  di “Ceremony of Separation” è un concetto molto emotivo, legato all’impermanenza della vita stessa. La mia esperienza in Giappone mi ha portato a scoprire una visione non permanente della vita, che inevitabilmente passa e si consuma come una candela. Quando vediamo qualcuno allontanarsi prima che sparisca per sempre cominciamo ad elaborare un processo di separazione lungo e tortuoso: dopo una perdita importante inevitabilmente entriamo in una sorta di cerimonia di separazione. 
Questo concetto è stato elaborato dopo un lutto.
I materiali che uso possono essere nobili, ma non sono particolarmente legato al lusso dei materiali ma al loro valore naturale, con tutti i loro pro e contro. Il filo conduttore tra di loro è il segno del tempo e la loro imperfezione di base, il concetto è prettamente wabi sabi, un concetto buddista fondata sull’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione delle cose. Tale visione, talvolta descritta come “bellezza imperfetta, non permanente e incompleta”. Questo concetto è presente in ogni lavoro che faccio, una sorta di visione minimalista che mi permette di esprimere un’estetica legata a materiali imperfetti che subiscono la lenta erosione del tempo e del passare dei giorni, ma dal lato opposto sognano una vita eterna attraverso la loro durezza e pesantezza: marmo, legno massello e bronzo portano avanti una sorta di lotta contro l’inevitabile passare del tempo.
Questo è il concetto di separazione che attraverso un ciclo naturale a cui non ci possiamo sottrarre. Con questa collezione sto cercando di far trasparire concetti come questo, che rimangono del tutto personali e molteplici e interpretabili sotto altre forme di pensiero. 

Lupo Horiokami in mostra a Contemporary Cluster analizza il concetto di separazione
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Lupo Horiokami in mostra a Contemporary Cluster analizza il concetto di separazione
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Le sneaker piene di cose di Louis Sarowsky 

Le sneaker piene di cose di Louis Sarowsky 

Giulia Guido · 1 anno fa · Design

Louis Sarowsky, conosciuto anche come Luker Lou, è uno skateboarder e artista americano, del Massachusetts. Il suo lavoro di artista e scultore ruota attorno al mondo street e l’utilizzo di materiali riciclati. 

Louis Sarowsky ha cominciato lavorando sull’oggetto a lui più vicino e conosciuto: la tavola da skateboard. Utilizzando suole di scarpe, carte di credito non più valide e decine di altri oggetti inutilizzati, l’artista ha cominciato a proporre tavole alternative, da appendere al muro come opere d’arte. 

La sua sperimentazione è passata in poco tempo dagli skateboard a un altro oggetto simbolo della street culture, le sneaker. Da un po’ di tempo a questa parte Louis si diverte a utilizzare la resina per fare calchi perfetti di alcuni dei modelli più iconici. Una volta terminato il calco, l’artista lo riempie con le cose più disparate: dal cibo a scarti di gomma, dalle tessere della metropolitana ad action figure. 

Noi abbiamo selezionato quelle più strane, ma vi invitiamo a scoprire il profilo Instagram di Louis Sarowsky per scoprire tutti i modelli e anche tutte le altre sculture. 

Louis Sarowsky
Louis Sarowsky
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Louis Sarowsky
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Guida ai makeup candidati agli Oscar 2022

Guida ai makeup candidati agli Oscar 2022

Tommaso Berra · 1 anno fa · Art, Design

In attesa di scoprire tutti i vincitori delle statuette 2022, Collater.al ha chiesto alla makeup coach Nina Viola Maggiorani di analizzare tutti e cinque i film candidati in questa edizione, partendo da un singolo personaggio. Da Jared Leto a Emma Stone, da Dune a Cruella, Nina Viola ha segnalato alcune curiosità dei makeup candidati e del motivo per cui sono i migliori visti a Hollywood nell’ultimo anno.

HOUSE OF GUCCI – JARED LETO

È Göran Lundström, assistito da un’italianissima Federica Castelli, a realizzare i makeup di Jared Leto, abituato a calarsi nella parte sfruttando modificazioni corporee o indossando protesi (vedi: Suicide Squad, Mr. Nobody e Dallas Buyers Club). Era impossibile ricreare una copia del tutto identica di Paolo Gucci e in questi casi capita di restare imbrigliati nell’idea di creare un manufatto artistico, che dunque appaia solo bellissimo, quando invece la verosimiglianza si ottiene meglio attraverso i difetti.
In questo makeup i pezzi di silicone per modificare il naso, la zona del collo e della mandibola/guance sono otto in totale e hanno uno spessore dovuto al fatto che la fisionomia di Leto è più geometrica e per arrotondarla verso Paolo Gucci hanno dovuto creare protesi massicce.

La calotta è fatta in tre pezzi, non la procedura standard ma l’unico metodo possibile non potendo inizialmente fare affidamento sulla presenza dell’attore per il test e vista anche la quantità di capelli di Leto che rendevano la testa enorme. Anna Carin ha scelto l’opzione che si usa anche per la calotta su attrici con capelli molto lunghi: infilarli nei vestiti, coprendo la parte che esce con la parrucca e con un pezzo di silicone che simula il retro del collo direttamente attaccato alla calotta.
Ovviamente in questa pellicola nessun altro attore indossa makeup prostetico, quindi c’era la concreta possibilità che Leto potesse risultare strano, o ridicolo. La scelta è stata davvero azzardata e, per quanto Paolo Gucci non sia volto familiare, il risultato quasi parodistico mi ha leggermente infastidita.
 

make-up | Collater.al

DUNE – STELLAN SKARSGÅRD

L’head del makeup department, Donald Mowat, è il mio vincitore. Avendo già collaborato con Villeneuve e lavorato su progetti dal sapore più noir come Nocturnal Animals, Blade Runner 2049, 007: Skyfall e Millenium, non avevo dubbi che sarebbe stato in grado di rendere omaggio a un’atmosfera complessa come quella di Dune e, per farlo, si è avvalso nuovamente, come già per Millenium, degli artisti svedesi Love Larson e Eva Von Bahr e del loro studio The Makeup Designer.
Le ispirazioni sono state la struttura ossea del gorilla, la mimica di Marlon Brando e i colori del Doctor Moreau

make-up | Collater.al

La trasformazione richiedeva sette ore per ogni applicazione. Che partiva dal silicone su volto collo e mani, per un totale di nove pezzi. Skarsgaard indossava la tuta refrigerante che occorre sempre in queste circostanze e subito dopo un’altra struttura imbottita con pads che replicava la forma dei muscoli e delle zone dell’adipe, infine la pelle, creata con una schiuma di lattice. Il risultato è stato impeccabile, la tuta grazie a un primo strato di imbottitura e alla pelle prostetica in foam latex, assorbiva il pigmento, ottenendo un effetto vischioso e molto simile a quello di una torba, utile a rendere il personaggio ancora più mostruoso.
Paul e la madre Rebecca invece hanno uno sviluppo estetico inverso durante il film, Paul matura e lo si vede nella durezza dei tratti, sicuramente enfatizzati dalle ombre del makeup, mentre Rebecca si libera delle costrizioni di Casa Atreides e appare ringiovanita. Una scelta stilistica coerente con la trama
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THE EYES OF TAMMY FAYE – JESSICA CHASTAIN

La head of makeup Linda Dowds collabora con Jessica Chastain dal 2011 ed è affiancata dal professionista degli FX Justin Raleigh, il quale ha dichiarato che il totale dei set di prosthetics per tutta la durata delle riprese si aggira intorno ai 90 pezzi.
Il makeup occhi sono stati il primo step di applicazione, seguito dal prosthetics, poi perfezionate nel blending con la base della Dowds e infine parrucche, abiti e per ultime le unghie. Anche la scelta dei prodotti usati non è scontata, non i soliti adoperati per la pelle nuda, avendo la Chastain numerose protesi.

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La pellicola attraversa circa quattro decadi, quindi era importante sviluppare il makeup seguendo anche i trend e la moda delle varie epoche. Per le scene dagli anni ’60 a inizio ‘80 vengono utilizzate protesi alle guance leggere, un piccolo blender per il mento e un piccolo nose lift. Dal 1985 guance intere, collo, un chin blender diverso e più tondo, con l’aggiunta del labbro superiore alla protesi lift per il naso. Per gli anni ’90 è inserito all’interno del makeup anche l’originale tattoo per sopracciglia e il contorno labbra della vera Tammy Faye, che è particolarmente difficile da rendere con il makeup. Credo che siano state cucite delle sopracciglia più rade e corte e trasparenti all’interno della protesi e che siano poi state coperte con un tratto di matita che ricordasse l’inchiostro del tattoo

Lo sviluppo cromatico segue la parabola discendente del personaggio, si parte con colori molto soft, che poi si incupiscono e seguono anche le ciglia, che piano piano diventano più cariche di mascara, incrostato con effetto ragno sulle ciglia finte, che sancisce poi la caduta finale dell’impero di Tammy Faye. Quello che trovo interessante di questa pellicola è lo scarso ricorso ai software di invecchiamento e al blurring delle luci per il ringiovanimento. L’Oscar sarebbe più che meritato.

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CRUELLA – EMMA STONE

Il makeup per Cruella è l’unico che, al di là di eventuali ferite e lividi per le parti action, non presenta prosthetics. Nadia Stacey, porta all’interno della pellicola la sua ispirazione al barocco e al Rococò Dior di Galliano, che vediamo nella scena finale, quando Cruella ha il suo confronto con la Baronessa (non dimentichiamoci che sono suoi i makeup per La Favorita).
Ci sono riferimenti alla Union Jack e agli smokey eyes di Camden Town, la protagonista necessita di questo makeup ancora di più rispetto agli outfit, è così che passa da essere Estella a Cruella.
La maschera del ballo è composta da due strutture in resina leggera con incastonate pietre e piume, attaccate nella zona delle occhiaie, mentre il resto è composto dagli stessi applique, ma incollati direttamente alla pelle di Emma Stone.
Difficile da notare in pellicola, ma se date un’occhiata ai close up noterete che il volto è cosparso di polvere bianca, più simile dunque alle abitudini cosmetiche del 1700 che alla nostra cipria.

make-up | Collater.al

L’impianto del makeup occhi si sviluppa tutto in orizzontale e verso l’esterno, per rendere lo sguardo più intenso e cattivo, una sfida vista la struttura ossea di Emma Stone, molto delicata e dagli occhi rotondi.
I look di Cruella hanno avuto la sfortuna di uscire in un momento in cui il mondo del makeup era fiaccato e impigrito dalla pandemia e quindi non hanno avuto l’outcome che si meritavano o che hanno avuto quelli di Euphoria, che provengono dalla stessa radice stilistica, ma si evolvono con meno ampiezza.

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COMING 2 AMERICA – EDDIE MURPHY

Questa pellicola non è solo un sequel delle vicende del primo film, ma è anche un passaggio di testimone tra un grande artista degli FX e il suo successore. È provvidenziale che il sequel sia affidato a Mike Marino, allievo di Rick Baker.
Ovviamente il personaggio più complicato è quello di Saul, un ebreo bianco, che quindi ha fisionomia caucasica e fototipo opposto rispetto a Eddie Murphy. La maschera è realizzata in silicone, l’applicazione inizia con il retro del cranio (fortunatamente Murphy ha i capelli rasati) che viene poi unito con solventi alla parte del petto e del collo. Poi si passa al volto, vengono applicati naso e labbro superiore in un pezzo unico e successivamente guance e zigomi arrivando fino alle tempie
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Le macchie e la texture della pelle sono realizzate a pennello con quelli che in gergo si chiamano skin illustrator, ovvero quelle shade fondamentali da avere per poter ricreare le discromie naturali della pelle. Fortuna di Mike Marino è stata anche quella di collaborare con un attore abituato ai prosthetics, aiutato dalle tecniche di regia che si sono affinate. I personaggi sono stati inseriti in motion control, con una definizione dell’immagine molto più alta rispetto al primo film.
Marino – che comunque ha alle spalle Birdman, Il Cigno Nero e dopo si è cimentato col nuovo Batman – non ha deluso, anche grazie a Carla Farmer e Stacey Morris dell’hair department.

make-up | Collater.al
Guida ai makeup candidati agli Oscar 2022
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Guida ai makeup candidati agli Oscar 2022
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All for the Gram – VHS Revolution

All for the Gram – VHS Revolution

Giulia Guido · 1 anno fa · Art

Se siete di quei nostalgici che non appena guardano una scena di un film cult degli anni ’90 hanno già i lacrimoni agli occhi allora quello che state per scoprire potrà scombussolarvi, e non poco.
Il profilo seriale di questo appuntamento di All for the Gram è VHS Revolution

Nel feed di VHS Revolution troverete un’infinita carrellata di quei vecchi televisori col tubo catodico e in ogni post mostreranno una scena di un film che per chi è nato tra gli anni ’80 e ’90 è stato una tappa fondamentale dell’infanzia o dell’adolescenza. 

Da Space Jam a Harry Potter, fino a Ghostbuster, sembra che nel profilo non manchi neanche un film. Noi abbiamo selezionato i nostri preferiti, ma visitate il profilo per non perderne neanche uno. 

All for the Gram – VHS Revolution
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