Il viaggio fotografico di Melchior Tersen in una Parigi che sembra Tokyo
Da Parigi a Tokyo senza soluzione di continuità. Un viaggio fotografico che ci porta alla scoperta della collezione Autunno Inverno 2023 di Edwin, Lost in Paris, Found in Tokyo. Dietro a queste immagini troviamo Melchior Tersen, il fotografo parigino impegnato da anni a ritrarre subculture in modo estremamente realistico e incisivo. Ma scopriamo qualcosa in più su questa campagna.
Il viaggio fotografico realizzato da Melchior Tersen trascende i confini geografici e ambiti culturali specifici. Le influenze sono palpabili e vanno oltre al mondo della moda. Tersen, infatti, si ispira alla cultura pop giapponese trasportandoci in location enigmatiche e affascinanti di Parigi a portandoci nel pieno dello spirito giapponese tipico di Tokyo. Da semplici sensazioni alla cucina, le fotografie del fotografo parigino sono intrise di elementi diversissimi fra loro.
Fra curiosità e rivelazione, siamo invitati a scoprire – a poco a poco – l’ambientazione nascosta immergendoci e vivendo appieno ambiguità e il fascino della varietà di tutti questi elementi. La collezione è disponibile negli store Edwin e online.
Le fotografie del nipote di Mahatma Gandhi, Kanu Gandhi, danno il via al percorso espositivo di una mostra fotografica che illustra l’evoluzione storico-sociale dell’India, dall’Indipendenza a oggi. Si tratta di “India oggi: 17 fotografi dall’Indipendenza ai giorni nostri“, una mostra di oltre cinquecento opere, esposte nelle sale del Magazzino delle Idee di Trieste, fino al 18 febbraio 2024. L’esposizione tratta di anni difficili e offre ben diciassette differenti sguardi su questa tematica. I fotografi sono tutti indiani, appartenenti a epoche diverse. La mostra è così in grado di creare un viaggio attraverso sette decenni di cambiamento, contraddizioni e speranze catturati dall’obiettivo di artisti che hanno fatto della fotografia uno strumento di testimonianza e riflessione.
Khanu Gandhi, Mahatma Gandhi nella zona colpita dai disordini di Noakhali /Mahatma Gandhi in the riot affected area of Noakhali, Novembre/November 1946 Courtesy The Estate of Kanu Gandhi & PHOTOINK
Tutto inizia nel 1947, quando l’India ottiene l’Indipendenza dalla Gran Bretagna. Da quel momento, indù e musulmani iniziano scontri gravissimi che comportano l’esodo degli ultimi verso i due nuovi stati costituiti – il Pakistan e il Bangladesh -, oltre all’assassinio di Gandhi, avvenuto nel 1948. Gli scatti del nipote Kanu testimoniano in modo diretto la disobbedienza civile post-indipendenza. La mostra prosegue poi in ordine cronologico. Attraverso l’obiettivo di Bhupendra Karia, insegnante e teorico, esploriamo l’India rurale del dopoguerra, mentre Pablo Bartholomew ci guida attraverso gli anni ’70, un decennio di entusiasmo e scoperta nelle strade di Delhi, Bombay e Calcutta. Abbracciando gli anni ’80 e ’90, troviamo il lavoro di Ketaki Sheth, che cattura la metamorfosi di Bombay durante il boom edilizio. Successivamente Sheba Chhachhi, attivista femminista, traccia un cambiamento significativo negli anni ’90 con la serie “Seven Lives and Dreams”, rompendo gli schemi del reportage per esplorare il concetto di realtà.
Pablo Bartholomew,Mendicanti Parsi a Fort / Parsi beggars in Fort, c.1980. Courtesy Pablo Bartholomew & PHOTOINKSathyarani, I, Manifestazione contro il Sistema delle doti/Anti Dowry Demonstration, Delhi, 1980. Courtesy Sheba Chhachhi
Troviamo poi il lavoro di Raghu Rai, membro dell’agenzia Magnum, che va gli anni ’60 fino al Duemila, ritraendo il subcontinente indiano con occhio documentaristico. Giunti nel nuovo millennio, è interessante scoprire come la fotografia indiana inizia ad affrontare temi urgenti come i diritti LGBTQ+, con lavori di Sunil Gupta, Anita Khemka, Serena Chopra e Dileep Prakash, che trasformano storie individuali in narrazioni universali. Altri temi crudi sono quelli di Vicky Roy, fuggito di casa a undici anni, che affronta il dramma dei bambini orfani che vivono per strada, mentre Amit Madheshiya ritrae gli spettatori di cinema itineranti, simbolo della parte rurale e tradizionale dell’India contemporanea.
La fotografia del nuovo millennio abbraccia anche questioni ambientali e sociali. Senthil Kumaran Rajendran svela il conflitto tra tigri e umani, Vinit Gupta testimonia le lotte delle popolazioni indigene contro l’industrializzazione, e Ishan Tanka documenta le proteste contro la costruzione di dighe. Soumya Sankar Bose commemora il passato con la ricostruzione del massacro di Marichjhapi nel 1979, mentre Uzma Mohsin esplora le conseguenze della protesta civile nella contemporanea India. La mostra è arricchita da 15 interviste audio-video realizzate in India, offrendo uno sguardo approfondito sulla visione e l’ispirazione di ciascun artista.
Nato e cresciuto tra Genova e Nizza, il fotografo italianoRiccardo Bandiera (1973) si approccia alla fotografia dopo i suoi studi tecnici. Diventato fotografo freelance, Bandiera sviluppa un’estetica delicata che guarda al dettaglio. Anche la fotografia subacquea lo affascina e, talvolta, lo contraddistingue. Una delle sue più apprezzate serie è Trilobiti. Un insieme di dieci fotografie ispirate al genio letterario di Breece Dexter John Pancake. Il libro omonimo è una perla della narrativa americana, pubblicata nel 1983 postuma. La sua vita si concluse in modo tragico e misterioso nel 1978, lasciando dietro di sé un grande vuoto. Attraverso le dieci fotografie, Bandiera cristallizza il presente, catturando l’immobilità e il silenzio come solo i fossili – grande passione di Pancake – estratti dalla Terra possono fare. Queste immagini sono intrappolate in un eterno tempo sospeso, come se appartenessero a un’era geologica. Ogni scatto di Bandiera racconta una storia, un frammento di vita congelato nel tempo, un’ode alla memoria di Pancake.
Mio padre è una nuvola color kaki..
Riccardo Bandiera cattura la bellezza silenziosa del paesaggio marino, ma oltre ciò, riesce a trasmettere un senso di malinconia, un eco dei tormenti interiori che affliggevano Pancake. È come se Bandiera, attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, riuscisse a penetrare l’anima dell’autore americano, donandogli un’eternità attraverso l’arte dell’immortalità visiva.
E’ tutto pronto per un incendioLa pelle del suo collo è quasi troppo bianca nella sera sbiaditaPosso quasi sentire le acque fredde e il solletico che fanno i trilobiti quando striscianoSi allungò,si sentì galleggiare in un oceano di luce azzurra che gorgogliava attorno al suo corpo,si rilassòFuori la pioggia cadeva forte, disegnando petali nel fangoL’amore non è parlareIl sole era annerito dalla neve e la valle si chiuse quieta in quel bisbiglio, quieta come in un’ora di preghiera
Siamo andati al BASE Milano per scoprire i nuovi talenti dell’ottava edizione di PhotoVogue, il festival dedicato alla fotografia di moda portato avanti da Alessia Glaviano, Head of Global PhotoVogue. Se l’anno scorso la domanda è stata Che cosa direbbe Susan Sontag? quella di quest’anno risulta sicuramente in linea coi nostri tempi: What makes us human? Image in the age of A.I.. Un interrogrativo che lascia spazio a molte considerazioni e dubbi sul futuro della fotografia che verranno affrontate a fronte di un simposio lungo tre giorni che vedrà la partecipazione di personalità del calibro di Refik Anadol, Fred Ritchin, Margaret Zhang, Gea Politi e tantissimi altri fotografi, creativi e accademici attivi nel mondo della fotografia. Il percorso espositivo si divide in sei sezioni, What is Beauty?, What is Beauty / A.I., Uncanny Atlas: Image in the Age of A.I., Eternal Loops, Spanish Women: A Contemporary Portrait of Strenght and Beauty e Eye Mama. La nostra intenzione oggi é di mostrarvi le cinque immagini che più ci hanno colpiti: sia vere e proprie fotografie che immagini generate grazie all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.
Yongbin Park, “Girls” dalla sezione What is Beauty
Courtesy Yongbin Park
Angela Suarez, “Reinventing” dalla sezione Spanish Women
Courtesy Angela Suarez
Alexey Chernikov, “One Last Journey” dalla sezione Uncanny Atlas
Courtesy Alexey Chernikov
Nota bene: immagini generale con Intelligenza Artificiale
Sono spensierate, libere, belle, vere e sensuali, le giovani donne immortalate dalla macchina fotografica di Sam Livm. Sam è nato a Manchester ma oggi vive e lavora a New York, città che gli ha permesso di portare avanti le sue due grandi passioni, la regia e la fotografia. Mentre attraverso la prima cerca di dare forma alle sue idee, la seconda, a cui si è avvicinato nel 2012, gli permette di rappresentare il mondo così com’è, quasi in modo documentaristico.
Al centro del suo obiettivo vediamo soprattutto volti e corpi di giovani donne, soggetto perfetto per trasmettere quel senso di libertà che si respira a vent’anni, quando tutto sembra possibile e si gode di ogni attimo della vita.
Con gli anni la sua tecnica è cambiata e si è evoluta e se all’inizio l’unico soggetto del suo lavoro erano le persone che fotografava, pian piano il riflettore si è spostato su di lui, trasformando la macchina fotografica nel mezzo per trasmettere le sue sensazioni, le sue emozioni. Questo cambiamento ha trasformato il suo stile, rendendolo reale, quasi palpabile, ma allo stesso tempo intimo e unico.
Qui sotto trovi i nostri scatti preferiti, per scoprire di più su Sam Livm vai sul suo sito.