L’imprevedibilità e l’imperfezione della fotografia analogica nella fase di stampa 

L’imprevedibilità e l’imperfezione della fotografia analogica nella fase di stampa 

Laura Tota · 3 settimane fa · Photography

Sebbene si parli sempre più di immagini create artificialmente, la fotografia analogica vive una vera e propria rinascita. Ma come differisce rispetto a quella digitale? Come si approccia un fotografo alla pellicola e come si affronta il suo processo di stampa? Ne abbiamo parlato con Mariano Doronzo, fotografo e un poeta italiano con base in Inghilterra dal 2013. 

La sua ricerca fotografica inizia con la documentazione del suo viaggio personale all’interno del paesaggio e della cultura britannica con una vecchia macchina analogica. Allo stesso tempo, si specializza nell’utilizzo della camera oscura, dallo sviluppo del negativo alla stampa tradizionale in camera oscura.
 Nel 2021, uno dei suoi lavori è selezionato dalla Magnum Photos per una mentorship a lungo termine con Matt Black e Susan Meiselas. Attualmente sta lavorando alla realizzazione del suo primo libro fotografico.

Scattare in analogico, quindi su pellicola, è sicuramente un modo molto peculiare di approcciarsi al mondo della fotografia. Nonostante lo sviluppo della fotografia digitale, la pellicola sembra resistere e anzi vivere una nuova giovinezza. Da autore, come motivi questa sua estrema vivacità?

fotografia analogica

È una questione di percezione, paragonabile a quello che è successo nella musica con il ritorno dei vinili. In generale, una foto digitale è più nitida, più definita e contiene più informazioni di una foto analogica, ma da molti sarà ritenuta fredda e asettica. Impressa su rullino, un’immagine conterrà meno informazioni, eppure quasi sicuramente le verrà attribuito un maggiore valore a livello emotivo. Questo accade, in primis, perché si ha a che fare con un oggetto concreto che si può toccare con mano.

In secondo luogo, la fotografia analogica non ha la stessa immediatezza del digitale. Il processo è più lungo e complesso e si è più limitati. Gli scatti non si sprecano inutilmente (soprattutto considerando il costo attuale dei rullini) e il tempo dedicato a ogni singola immagine fa sì che ogni scatto abbia un’importanza maggiore. Cosa è successo in tutto questo? Ci siamo complicati terribilmente la vita per poter ritrovare un certo senso di conquista e riuscire ad apprezzare il risultato.

C’è chi giustifica il revival analogico anche col fattore nostalgia per una questione puramente estetica. Io credo che abbia a che fare molto di più con una reazione alla maniacale ricerca della perfezione estetica (e non solo) che regna nella nostra società. L’errore, l’imprevedibilità e l’imperfezione ci ricordano invece che siamo umani, che bisogna evitare di essere schiacciati dalle aspettative di un obiettivo finale, ma soprattutto che dobbiamo imparare a godere dell’intero processo, lasciando che la vita faccia il proprio corso.

Sappiamo come spesso, di norma, nel momento in cui si voglia stampare una foto, la sua forma tangibile venga già formalizzata nella mente del fotografo: secondo te, cambia l’approccio alla stampa dall’analogico al digitale?

Idealmente, ogni fotografo – qualsiasi tecnologia utilizzi – dovrebbe avere ben in mente il risultato finale desiderato, che si tratti di una foto da stampare o da pubblicare online. La correzione a posteriori, a volte, può essere complicata e non sempre garantisce di poter ottenere quello che si è immaginato. Nella fotografia analogica anche la stampa è un processo più lungo e complicato, molto costoso e ogni cambio di parametro (persino il semplice cambio di contrasto) richiede una prova di stampa per visualizzare il risultato. Perciò si cerca di facilitare le cose intervenendo già al momento dello scatto e dello sviluppo (ad esempio utilizzando tecniche particolari come “tirare” la pellicola) in modo da minimizzare gli interventi in fase di stampa in camera oscura.

Si ritiene che (forse erroneamente) che rispetto alla fotografia digitale (e la relativa postproduzione) lo scatto in analogico permetta meno creatività o modifiche dopo lo scattto: è un preconcetto o no?

È decisamente un preconcetto! La post-produzione è sempre esistita. Un esempio (non l’unico) è quello di una foto del Partito Comunista dell’URSS nel 1934, da cui Stalin fece rimuovere uno dei membri perché in seguito considerato nemico dello stato. Si dice che col passare del tempo, sospettando di tradimento, Stalin fece rimuovere, uno dopo l’altro, anche gli altri membri del partito fino ad essere l’unico e solo membro a comparire in foto.

La camera oscura è un po’ la stanza delle meraviglie per chi stampa le proprie foto: quali sono gli strumenti imprescindibili per ottenere delle stampe ottimali? E soprattutto, quanto si può sbagliare e riprovare a stampare la stessa foto da pellicola?

Le stampe ottimali non esistono. Tutto dipende dai gusti e dalla visione personale ovvero da come si vuole rappresentare il concept di un progetto attraverso un particolare tipo o modo di stampare. Che feeling voglio trasmettere con le mie foto? È questa la domanda che cerco di chiedermi ogni volta che stampo. E ogni volta mi ritrovo a produrre stampe completamente diverse, anche da uno stesso negativo, semplicemente perché ogni giorno abbiamo uno stato d’animo diverso. Non esiste stampa giusta o sbagliata, ma diversi modi di vedere una foto.

fotografia analogica

Puoi spiegarci brevemente il processo di stampa in camera oscura? Quali consigli ti senti di dare a chi vuole costruire una sua piccola camera oscura?

Diamo per scontato di aver già sviluppato un rullino, stampato il provino a contatto (posizionando appunto i negativi sulla carta fotografica) e scelto il negativo da stampare con relativo crop. Inseriamo il negativo nell’ingranditore e ci accertiamo che la sua proiezione, sul piano dove andremo a posizionare la carta fotografica, è delle dimensioni prestabilite e perfettamente a fuoco. A questo punto, partendo da un contrasto neutro, dobbiamo calcolare il corretto tempo di esposizione per cui la foto appare come desideriamo. Per fare questo dobbiamo tagliare un foglio di carta fotografica in cinque strisce di egual misura ed esporre ciascuna di essa per un tempo diverso ad esempio 2, 4, 8, 16, 32 secondi. Sviluppiamo le strisce immergendole insieme prima nella chimica di sviluppo, poi nel bagno stop per arrestare lo sviluppo e infine nel fixer per stabilizzare l’immagine. Se una delle strisce apparirà esattamente come immaginiamo la foto allora possiamo esporre direttamente l’intero foglio al tempo corrispondente per poi immergerlo nelle tre diverse chimiche. Quindi si procede al lavaggio della stampa e infine si appende ad asciugare. Il mio consiglio è di cominciare a stampare, anche nel bagno di casa, con il minimo della strumentazione e in piccole dimensioni, almeno per far pratica con le basi. Una volta perfezionata la propria tecnica, sarà poi molto più semplice e meno dispendioso saper gestire spazi più grandi e attrezzati come quelli di un laboratorio professionale.

Nel caso ci si rivolga a laboratori professionali, quali sono i criteri di scelta principali per vedere un risultato ottimale di stampa?

La maggior parte dei laboratori professionali riesce a garantire in genere delle buone stampe. Per avere delle stampe ottimali io sceglierei in base allo stampatore che predilige uno stile più simile al look che vogliamo dare alle nostre stampe in modo che risuonino con i nostri gusti. Simile alla scelta degli studi di registrazione nella musica, benché la tecnologia garantisca una buona qualità di suono, sceglieremo lo studio affine al nostro genere per dare al nostro album un sound che rispecchi la nostra visione artistica.

fotografia analogica

Ascolta: Spigola Ep. 6 – Emanuele Ferrari

L’imprevedibilità e l’imperfezione della fotografia analogica nella fase di stampa 
Photography
L’imprevedibilità e l’imperfezione della fotografia analogica nella fase di stampa 
L’imprevedibilità e l’imperfezione della fotografia analogica nella fase di stampa 
1 · 8
2 · 8
3 · 8
4 · 8
5 · 8
6 · 8
7 · 8
8 · 8
Com’è andato il MI AMI 2023

Com’è andato il MI AMI 2023

Anna Frattini · 4 giorni fa · Art

Siamo stati alla diciassettesima edizione del MI AMI all’Idroscalo di Milano fra veterani del festival e nuovi arrivati insieme a molte sorprese. L’appuntamento di quest’anno è stato lanciato come una vera e propria caccia la tesoro per l’unitissima community del festival. Il MI AMI rivendica anche quest’anno la propria vocazione come motore di cose nuove, accelleratore di incontri ed esperienze.

Una line-up infinita e costellata di artisti appartenenti a generi diversissimi fra cui i Verdena, L’Officina della Camomilla ma anche Ginevra con il suo pop elettronico. Imperdibili le performance di Lovegang126, Giuse The Lizia e Drast venerdì e Coez, Nayt e Mecna insieme ai Coma Cose e Fulminacci nella giornata di sabato insieme a Rondodasosa, per la sua prima data italiana dopo le controversie. Ci sono stati anche degli ospiti a sorpesa fra cui gli Ex Otago la prima sera, Willie Peyote sul palco con Fulminacci e Coez e Frah Quintale sul palco Dr. Martens.

Per altri scatti dal MI AMI qui il loro profilo Instagram.

Ph. courtesy Andrés Juan Suarez

Com’è andato il MI AMI 2023
Art
Com’è andato il MI AMI 2023
Com’è andato il MI AMI 2023
1 · 10
2 · 10
3 · 10
4 · 10
5 · 10
6 · 10
7 · 10
8 · 10
9 · 10
10 · 10
Richie Culver: il cinismo è arte?

Richie Culver: il cinismo è arte?

Giorgia Massari · 4 giorni fa · Art

Con soli 8 euro in tasca, il giovane diciassettenne Richie Culver lascia la sua casa a Hull, un paese nel Nord dell’Inghilterra, per inseguire la sua ragazza dell’epoca a Londra. Da qui ha inizio la sua carriera da artista, mosso dall’amore e senza alcuni studi artistici alle spalle.
Culver inizia a fare arte tra le strade e poi, inaspettatamente, la sua opera “Have you ever really loved anyone?”, un collage con un ritaglio di Jesse Owens, venne esposta alla Tate Modern di Londra durante una mostra collettiva. Richie Culver ora ha 44 anni ed espone le sue opere in tutto il mondo, riscuotendo grande successo grazie soprattutto alle sue frasi schiette e crude, scritte su tela

Richie Culver | Collater.al

La sua poetica ruvida proviene dal suo passato e le frasi sono spesso auto-biografiche. Richie Culver nasce da una famiglia di classe operaia, in un ambiente disilluso che influisce in modo preponderante sui suoi pensieri e di conseguenza sulla sua arte. Dalle sue frasi è evidente la sua lotta nei confronti del sistema di classi e della mascolinità contemporanea.
Le sue frasi ciniche conservano un umorismo oscuro e diventano universalmente comprensibili. Con la loro semplicità e attingendo dai luoghi comuni, fortemente combattuti dall’artista, le frasi di Culver sono in grado di comunicare con qualsiasi persona, di ogni provenienza e classe sociale. 

Richie Culver | Collater.al

Tra ironia e cinismo, Richie Culver si schiera contro la tecnologia e in particolare contro il mondo dei social. Emblematica è l’opera controversa “Did U Cum Yet?”, una delle sue classiche scritte a spray su tela, che diventò immediatamente virale su Instagram. In quanto l’opera stessa è una critica all’uso smoderato dei social, in cui l’artista paragona l’atto della masturbazione al bisogno di nutrire il proprio ego postando la propria arte su Instagram, Culver decide di distruggere l’opera originale. Realizza però un libro che contiene tutti gli screenshot dei commenti in risposta al pezzo, per lo più critiche.

Richie Culver | Collater.al

Oggi Richie Culver è un artista eclettico. La sua pratica spazia dalla pittura, alla scultura, alla fotografia e alla performance digitale. Attualmente la sua carriera è rivolta in particolare alla musica. I suoi pezzi audio diventano una continuazione dei suoi dipinti, oscillando tra musica e poesia.  

Courtesy Richie Culver

Richie Culver: il cinismo è arte?
Art
Richie Culver: il cinismo è arte?
Richie Culver: il cinismo è arte?
1 · 14
2 · 14
3 · 14
4 · 14
5 · 14
6 · 14
7 · 14
8 · 14
9 · 14
10 · 14
11 · 14
12 · 14
13 · 14
14 · 14
Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor

Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor

Anna Frattini · 3 giorni fa · Art

Jason deCaires Taylor è uno scultore, ambientalista e fotografo professionista impegnato nella costruzione di musei e parchi di sculture subacquei. I temi trattati da Taylor riguardando l’emergenza climatica, l’attivismo ambientale e la capacità rigenerativa della natura.

Rimanendo sott’acqua, le sculture dell’artista si trasformano e con il passare del tempo forniscono un nuovo habitat per la fauna e la flora marina. Il tutto realizzato con cemento durevole, in grado di fornire una piattaforma stabile che consente ai coralli di attaccarsi e crescere. L’unicità di queste sculture subacque si concentra sul rapporto fra arte e ambiente che si interseca con questioni sociali, come la preoccupante condizione dell’ecosistema marino destinata a ripercuotersi sulla vita dell’uomo. L’intenzione di Taylor è di far riflettere gli spettatori su queste tematiche, offrendo un punto di vista diverso per un futuro migliore anche sott’acqua.

La prima scultura di Taylor, Il Corrispondente Perduto – realizzata in collaborazione con un biologo marino e un centro di immersioni locale – è stata posizionata al largo delle coste di Grenada, in Giamaica, un’area distrutta dall’uragano Ivan. La scultura si è rapidamente trasformata e col tempo vi sono stati aggiunti altri elementi, ben 26 alla fine. Così è nato primo parco di sculture sommerso al mondo. Da questo momento in poi, i progetti di Taylor sono diventati sempre più ampi fino al giardino sommerso di Lanzarote. Dal 2009 i siti subacquei realizzati dall’artista sono quasi una ventina in giro per il mondo e i visitatori oltre mezzo milione.

Il Museo Atlántico di Lanzarote, a circa trecento metri dalla costa e a dodici metri di profondità, ospita un’esposizione di oltre 250 statue che raffigurano, a grandezza naturale, alcuni abitanti dell’isola selezionati da James deCaires Taylor, ormai pioniere di questa nuova frontiera ambientalista nel mondo dell’arte.

Per scoprire gli altri progetti di Jason deCaires Taylor puoi visitare il suo profilo Instagram.

Ph. courtesy Jason deCaires Taylor

Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor
Art
Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor
Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor
1 · 6
2 · 6
3 · 6
4 · 6
5 · 6
6 · 6
La urban culture secondo Lugosis

La urban culture secondo Lugosis

Anna Frattini · 3 giorni fa · Art

Luca Lugosis – a.k.a. Lugosis – è un tatuatore, street artist e artista italiano che ha collaborato con brand del calibro di Dr. Martens, Market, Nike e molti altri. La sua poliedricità rielabora la urban culture in una chiave strettamente personale, legatissima alla scena milanese.

Ora attivo su Berlino, viaggia per il mondo alla ricerca di nuovi stimoli e ispirazioni. D’altro canto, Milano rimane un luogo molto importante per Lugosis, partendo dalle suggestioni metropolitane fino alla community che si è costruito con il tempo.

I personaggi ideati da Lugosis si muovono con agilità fra tatuaggi, illustrazioni e graffiti e raccontano i suoi pensieri e la sua percezione del mondo. Fra personaggi strampalati e weirdos, la poetica di Lugosis ricompensa l’anti-convenzionale senza pregiudizi. In definitiva, la cultura suburbana e l’estetica dei cartoon millennial sono di grande ispirazione per l’artista.

Ora, ripercorriamo alcune delle collaborazioni più interessanti dell’artista. Da quella per Nike con t-shirt e felpe dove Lugosis reinventa il classico logo a quella più grafica con Dr. Martens, portata avanti insieme a Strato. Anche per Carhartt i due artisti hanno collaborato insieme nel 2021 nello store del brand a Weil am Rhein in Germania, il tutto curato da Colab Gallery.

Ph. courtesy Lugosis, Colab Gallery, Dr. Martens, Nike

Per tutti gli altri progetti di Lugosis qui il suo profilo Instagram.

La urban culture secondo Lugosis
Art
La urban culture secondo Lugosis
La urban culture secondo Lugosis
1 · 7
2 · 7
3 · 7
4 · 7
5 · 7
6 · 7
7 · 7
Altri articoli che consigliamo