Negli ultimi anni stiamo assistendo a un ritrovato interesse per i funghi. La loro forma è ripresa da artisti, designer e stilisti, e le loro radici – chiamate micelio – vengono usate per sintetizzare nuovi materiali eco-sostenibili. Ma perché sta accadendo tutto ciò, e chi sono i protagonisti di questa nuova tendenza? Nelle prossime righe affronteremo vari discorsi, che vedono il fungo come protagonista di una rivoluzione, sia da un punto di vista iconografico sia da quello risolutivo, nell’ottica di diventare una potenziale e valida risposta ai nostri problemi.

I funghi in effetti sono ovunque, non solo visivamente, nelle arti e nella cultura visiva ma, soprattutto, sui nostri corpi e nel nostro habitat. Sono elementi invisibili da cui dipendiamo per la sopravvivenza. Basti pensare che dai funghi si ricavano i farmaci o che l’intero sottosuolo è costituito da una rete fungina, detta Wood Web Wide, che collega gli alberi tra loro e permette la sopravvivenza del 90% delle piante.
Nell’immaginario comune i funghi sono qualcosa di misterioso, di cui non sappiamo abbastanza e che spesso associamo alla classica figura fiabesca, con il cappello rosso a pois bianchi. Alice in Wonderland di Lewis Carroll è un chiaro esempio della dimensione magica associata ai funghi, che pervade le nostre menti fin dalla tenera età, così come l’arte psichedelica degli anni ’60, scaturita dai viaggi allucinogeni causati, guarda caso, dal fungo parassita della segale, conosciuto con la sigla LSD. Un ulteriore e immediato link visivo è scaturito dalle opere della famosa artista giapponese Yayoi Kusama, che da poco sfocia anche nel mondo della moda, collaborando con il brand di lusso Louis Vuitton.

Ma, si sa, le cose più belle sono anche quelle che nascondono qualche sorpresa. Questi funghi rossi e bianchi – l’amanita muscaria – per quanto bellissimi, sappiamo bene essere i più velenosi e letali. Ecco che allora il “mistero funghi” si infittisce. La loro natura bivalente oscilla da un lato benevolo a uno malefico, costituendo una dicotomia spaventosa e, inoltre, il loro aspetto spesso inospitale e poco attraente, ha causato negli anni una sorta di indifferenza e una poca volontà nell’approfondire la loro conoscenza.
Dal fungo immortale a The Last of Us
In realtà, se guardiamo la storia dell’arte, o in più in generale la storia dell’uomo, notiamo come questo elemento dall’aspetto “alieno” ci abbia da sempre affascinato. È infatti un’iconografia che ricorre spesso nell’arte greca e romana: è presente nei mosaici, nelle sculture, ma anche nelle rappresentazioni bibliche, così come in quelle rinascimentali.


Oggi però, l’attenzione che si sta riservando al fungo è più approfondita, non solo come simbolo ma come elemento in grado di ripensare il mondo. In quest’ottica, la saggistica contemporanea ha contribuito alla presa di coscienza nei confronti di questo elemento, in grado di portare grandi cambiamenti sulla Terra e nel nostro modo di vivere. Il famoso saggio “Il fungo alla fine del mondo” dell’antropologa americana di origini asiatiche Anna Tsing sul fungo matsutake, mette in luce la componente eterna e indistruttibile dei funghi. Essi sono infatti presenti dall’inizio dei tempi e probabilmente lo saranno anche alla fine, crescendo “sulle rovine del capitalismo”, come si legge dal sottotitolo del libro. I funghi matsutake sono in grado di sopravvivere in qualsiasi habitat, persino su terreni radioattivi. Furono infatti i primi organismi a nascere e crescere sul suolo colpito dalle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki che, fatalità, appaiono come nuvole dalla forma fungina.

Ancora di più, in chiave astratta, Merlin Sheldrake ne “L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi” parla di come i funghi modifichino il flusso delle nostre vite. “Mangiano le rocce, generano il terreno, digeriscono le sostanze inquinanti, possono fornire nutrimento alle piante così come ucciderle, sopravvivono nello spazio, inducono allucinazioni, producono cibo e medicine, manipolano il comportamento animale e influenzano la composizione dell’atmosfera terrestre. I funghi sono una chiave per comprendere il pianeta in cui viviamo, ma anche il nostro modo di pensare, sentire e comportarci”.
Se i funghi sono in grado di garantirci la vita, sono anche in grado di togliercela. Proprio su questo “giocano” registi e direttori artistici che scelgono il fungo come protagonista e agente scatenante di situazioni apocalittiche e catastrofiche, come nel caso del videogame e della, successivamente, famosissima serie tv, The Last of Us.

Dai funghi a testa in giù di Höller alle metamorfosi di Anicka Yi
Accade spesso che l’arte rifletta ciò che la cultura di massa propone, cogliendone gli interessi e le perversioni o che, viceversa, la società assorba ciò che l’arte indaga. Lo stesso accade per i funghi, analizzati e proposti dagli artisti in diverse chiavi di lettura. Parlando di contemporaneità, primo su tutti è Carsten Höller (1961) che sceglie proprio il fungo, in particolare il già citato velenoso amanita muscaria, come elemento protagonista delle sue opere (oltre ai suoi famosi scivoli). Iconici sono i suoi “Upside Down Mushroom Room” installati nella sede milanese di Fondazione Prada, o il più recente lavoro “Giant Triple Mushroom” esposto dalla galleria Gagosian di Parigi. Höller è affascinato da questa tipologia di fungo in quanto notoriamente tossico e allucinogeno, oltre per il suo cruciale ruolo nello sviluppo dello sciamanesimo. Inoltre, come già abbiamo spiegato, questa tipologia fungina è presente nel nostro bagaglio immaginario fin da piccoli e, per tanto, è in grado di attivare nello spettatore dei meccanismi sincronici.



Nell’arte visiva il fungo dilaga, da Yayoi Kusama fino ad arrivare anche alla crypto art, come nel caso del collettivo AES+F che nel loro NFT “Psychosis Mushroom Field” raffigurano una serie di tipici funghi da risotto (il cantharellus cibarius) invasi da quelle che appaiono come vagine.
La forma del fungo approda anche nel design, già da tempo influenzato dalla sua particolare struttura, soprattutto nella realizzazione di lampade, come quella prodotta da Artemide “Nessino” disegnata da Giancarlo Mattioli, o come le più recenti sedute di Jonathan Anderson presentate nel giardino di Palazzo Isimbardi a Milano durante la Design Week 2023. Anche alcuni emergenti scelgono questa forma misteriosa come soggetto, un esempio è la giovane Jihyun Kim con le sue ceramiche, che riprendono la forma e le texture del nostro argomento di oggi.




Il fungo, però, non è solo bizzarro e intricato nella sua forma esteriore, ma lo è anche nella sua struttura, diventa infatti qualcosa da disvelare in un’ottica scientifica. In questo senso, l’artista Anicka Yi, con la sua recente esposizione “Metaspore” all’Hangar Bicocca di Milano, si inserisce con delle opere che vedono le spore, i funghi e i batteri protagonisti di una metamorfosi. Questi diversi organismi vengono infatti inseriti tra due lastre di vetro, permettendo la loro vita e dunque la loro evoluzione. In questo modo le opere rivelano la coesistenza e l’evoluzione, affrontando temi quali l’identità e la giustizia sociale.

Edifici che crescono da soli: è possibile con i funghi?
Rimanendo in ambito scientifico, come anticipato, il fungo diventa protagonista di una possibile rivoluzione ecologica ed eco-sostenibile. Da anni siamo alla ricerca di nuovi biomateriali, il più diffuso e famoso è senza dubbio quello ricavato dalla canapa, ma anche il fungo presenta enormi potenzialità.
Dal micelio – per spiegarlo in breve, le “radici” dei funghi – possono essere ricavati tessuti e pellami, mattoni, vetrate, plastiche o addirittura carburanti. Negli ultimi anni numerose aziende hanno iniziato ad utilizzare questo nuovo materiale e a sfruttarlo in diversi modi. A partire dall’architettura che è stata in grado di concepire delle strutture letteralmente vive. Si tratta infatti di edifici che crescono da soli attraverso lo sviluppo di un substrato strutturale che sfrutta il micelio vivo. Il più grande edificio realizzato in questo modo si chiama Hy-Fi ed è una torre dalla forma organica costruito nel 2014 dallo studio di design The Living, esposta al MoMA di New York. I mattoni fungini crescono e si arrampicano su una struttura di supporto, senza consumare alcun tipo di energia ma anzi, in maniera del tutto naturale, senza nemmeno servirsi di manodopera umana.

Questo materiale, grazie alla sua robustezza, può quindi sostituirsi ai mattoni e diventare negli anni a venire un metodo per combattere le problematiche ambientali. Lo sa bene il designer e imprenditore Maurizio Montalti che ha fondato Mogu, un’azienda di bio-fabbricazione industriale che studia un modo per uscire dall’Antropocene (così è chiamata la nostra era geologica). Secondo Montalti il materiale mogu ha qualità tecniche ed emotivo-esperienziali, tali per cui potrebbe sostituire i materiali di origine sintetica a cui siamo abituati ma, in questo senso, è necessario che lo scarto cognitivo venga superato. In parole più semplici, come accade per il legno, che negli anni si trasforma e cambia aspetto, nei materiali organici questo processo è più rapido e visibile, quindi gli oggetti prodotti con questo materiale non possono promettere quell’eternità a cui aspiriamo e alla quale siamo abituati. Per tanto, questo cambiamento necessità un’evoluzione del pensiero che, indubbiamente, fa paura.

Il micelio approda anche nella moda: da Balenciaga a Hermès!
Come conclusione di questo lungo e articolato discorso, che richiederebbe ulteriori approfondimenti, approdiamo sulle passerelle dell’alta moda. Per quanto il fungo – non quello rosso e bello di cui abbiamo tanto parlato – non abbia un aspetto così appetibile, è riuscito ad arrivare anche nelle idee e nelle ambizioni dei più grandi stilisti. Il 2021 infatti fu definito l’anno dei funghi per la moda e, a distanza di due anni, abbiamo assistito a evoluzioni interessanti.
Uno dei primi brand ad accogliere questo nuovo materiale fu Stella McCartney che presentò la discussa borsa Frayme Mylo, realizzata in pelle di micelio. Mylo è anche il nome universale con cui chiamare questo nuovo tessuto, prodotto dall’azienda Bolt Threads, scelto anche da Adidas, Bering, Lulelemon e successivamente anche da Kering, il gruppo con i marchi superlusso come Balenciaga, Bottega Veneta e Saint Laurent. Anche Hermès recentemente ha prodotto una nuova versione della sua borsa Vittoria, fatta però di Sylvania, un’altra tipologia di pelle a base di funghi prodotta dalla startup MycoWorks.

Il fungo ormai è inarrestabile, avanza in tutti i campi e chiede di essere accettato perché, per quanto diffuso, rimane ancora una scelta alternativa e non preferenziale. Non ci resta che aspettare e, come possiamo, incoraggiare questa nuova onda eco-sostenibile e misteriosa.