Ciò che viene nascosto

Ciò che viene nascosto

Giorgia Massari · 2 mesi fa · Photography

Le parole chiave di questo testo, ricorrenti e fondamentali per osservare le fotografie qui di seguito, si possono ritrovare nella fisicità, nell’orientamento sessuale, nel patriarcato e nella nudità. Ciò che questi termini, o meglio, questi macro-argomenti, hanno in comune è la penombra e, in alcuni casi, la totale assenza di luce. Con questi scatti e con questa riflessione, si ha l’intenzione di condurli fuori dal buio al quale spesso sono condannati. Illuminarli dunque, con la speranza che essi possano diventare temi condivisi e assorbiti nel tessuto sociale. Ciò che è vero e facilmente riscontrabile, è la difficoltà di affrontare determinati temi, soprattutto in relazione alla sfera femminile. Il corpo di una donna e come lei stessa si sente a riguardo, così come il suo orientamento sessuale, la sua posizione nella società o il suo stesso corpo nudo, sembrano essere ancora oggi temi disdicevoli o addirittura, in particolar modo in alcune società, proibiti e condannabili. Seppur una fetta della popolazione mondiale si stia muovendo in un’ottica di consapevolezza, accettazione e inclusione, questi temi non vengono mai del tutto sviscerati e trattati con la giusta attenzione. Attraverso la fotografia – e più in generale con l’arte – molte donne si sono espresse a riguardo. Qui sono le fotografe Giulia Frump, Leah DeVun, Rachel Feinstein e Despina Mikonati a parlarci di tutto ciò, con il loro sguardo femminile e intimo. 

Giulia Frump

Quattro fotografe distanti tra loro, in termini stilistici e contenutistici. Lontane geograficamente e anagraficamente, ma che trovano un loro punto di incontro nella volontà di urlare il loro desiderio di libertà al mondo. Osservando i loro scatti, emergono i quattro macro temi sopracitati, accomunati da un senso di liberazione e dalla volontà di rappresentare ciò che per secoli è stato nascosto. In Giulia Frump lo stereotipo del corpo femminile, l’ideale di perfezione del nostro secolo, viene superato da una danza di curve, linee morbide che si «adagiano in un abbraccio di pacificazione», come afferma la stessa fotografa. Lo stesso ricongiungimento con l’essenza del sé trova una particolare forma aurea negli scatti di Despina Mikoniati, che nel suo progetto Epilithic amalgama il corpo femminile con Madre Natura. «Madre Natura è colei che ci fa nascere e ci porta via. È la casa dei nostri corpi. Un luogo sicuro in cui esistere così come siamo», afferma Despina.

Despina Mikoniati

Se da un lato, Frump e Mikoniati indagano l’aspetto corporeo in relazione all’ambiente e al sé, le due fotografe Rachel Feinstein e Leah DeVun pongono la donna in stretto contatto con la sfera sociale che oggi abita. Feinstein affronta il tema universalmente, ragionando sul patriarcato e sullo spazio che le donne occupano nella società odierna. Ancora di più, la fotografa riflette sul modo in cui le donne vengono viste e rappresentate dallo sguardo maschile, facendo un particolare riferimento alla cinematografia degli anni Quaranta e Cinquanta, nel quale la condizione casalinga era particolarmente evidente. In questo senso, Rachel gioca su questi elementi, inserendo nei suoi scatti oggetti legati alla sfera femminile – quali il ferro da stiro, i tacchi, il tacchino arrosto su una tavola imbandita – ed esalta la condizione di reclusione domestica. La sua intenzione è quella di creare un disagio negli occhi di chi guarda, con l’obiettivo «di portare l’attenzione sui piccoli momenti che costituiscono l’esperienza femminile più ampia e di incoraggiare conversazioni che ispirino il cambiamento.»

Rachel Feinstein

Leah DeVun, invece, sceglie di rappresentare un gruppo specifico di donne che da questo tipo di società ha scelto di evadere. Sono i gruppi di donne lesbiche che, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, ma anche oggi, hanno deciso di formare comunità utopiche e rivoluzionarie per portare avanti la liberazione del genere femminile. La ricerca di DeVun è volta a riscoprire queste comunità, taciute e nascoste, che costituiscono luoghi di grande creatività e cultura. «La visibilità è fondamentale per qualsiasi comunità, ma le lesbiche hanno subìto molte cancellazioni storiche e mancanza di rappresentazione» – afferma Leah DeVun, aggiungendo – «non vediamo abbastanza immagini di lesbiche o non conosciamo la storia delle lesbiche. Nelle comuni, le donne fotografe cercavano di contrastare questa invisibilità creando le loro immagini della vita lesbica, e anch’io sto cercando di farlo con il mio lavoro.»

Leah DeVun

Seguendo il fil rouge che unisce le quattro protagoniste di questo testo, si scoprono altrettanti artisti che oggi scelgono di affrontare discorsi considerati ostici e complessi, con l’intenzione di svicerarli fino a ridurli all’osso. Per cucirli, dunque, all’interno del tessuto della normalità, per non considerarli più temi altri, ma parte dell’ordinario flusso sociale.

Despina Mikoniati

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Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Anna Frattini · 2 mesi fa · Photography

Nel mondo della fotografia di moda, dove la perfezione e la giovinezza vengono spesso messe al primo posto, Celine van Heel si distingue come una fotografa che abbraccia l’autenticità e l’unicità. Nata ad Atene e di origine spagnola e olandese, il viaggio di Celine nella fotografia è iniziato solo tre anni fa, ispirata da suo nonno che a 91 anni è anche diventato uno dei suoi soggetti. La sua bravura nel catturare momenti estremi ed esagerati l’ha portata a realizzare immagini che sfidano le norme convenzionali della fotografia di moda per come la conosciamo. Ma come si intrecciano le fotografie di Celine Van Heel con la fotografia di moda?

La magia degli scatti di Celine van Heel sta sicuramente nella sua visione distintiva che celebra individualità e inclusività. Il percorso di Celine nel mondo della fotografia ha preso una svolta a partire dalla sua avventura con “The Spanish King”, un account Instagram dove decide di condividere fotografie che ritraggono suo nonno come modello. Attraverso questo approccio, la fotografa ha iniziato un viaggio alla scoperta della bellezza delle rughe e dell’invecchiamento, dimostrando come l’età non dovrebbe mai essere un fattore limitante, neanche nella fotografia

Gli scatti di Celine non potevano che essere notati da prestigiose riviste come Vogue, GQ e L’Officiel. Queste collaborazioni dimostrano che modelli non convenzionali possono lanciare messaggi altrettanto potenti e ispirare cambiamenti all’interno di un settore così complesso come quello della moda. Celine crede nell’uso della fotografia di moda come strumento utile al cambiamento, incoraggiando l’industria a ridefinire i suoi standard e ad abbracciare la diversità, indipendentemente dall’età o dall’aspetto dei modelli. 

Il processo creativo di Celine Van Heel si intreccia con la fotografia di moda in modo autentico, liberatorio e d’impatto. La sua decisione di presentare suo nonno come modello sfida le nozioni di bellezza ed età all’interno del settore. Attraverso il suo lavoro, incoraggia la moda ad abbracciare diversità e unicità, fornendo agli individui tutti gli strumenti per sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Con il suo audace uso del colore e dell’estro creativo, le immagini di Celine vanno oltre la fotografia di moda convenzionale, trasformandola in una forma d’arte vera e propria.

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Courtesy Celine Van Heel

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda
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Intelligenza Artificiale: nuovi orizzonti e nuove prospettive

Intelligenza Artificiale: nuovi orizzonti e nuove prospettive

Laura Tota · 2 mesi fa · Photography

Negli ultimi anni l’Intelligenza Artificiale ha rivoluzionato in modo intenso moltissimi settori, non ultimo quello della fotografia. L’integrazione dell’AI nella fotografia ha aperto un mondo di possibilità, consentendo ai fotografi di disporre di strumenti potenti non solo per migliorare la loro creatività e produrre immagini straordinarie, argomento più spinoso e dibattuto, ma anche per semplificare i flussi di lavoro. Dai processi di modifica automatizzati al riconoscimento intelligente delle immagini, l’AI sta rimodellando il modo in cui si creano, modificano e condividono le fotografie. I puristi delle immagini diranno che attraverso l’AI ogni immagine, anche la più surreale e svincolata dalla realtà, diventa fattibile, contrariamente a quanto succede con la fotografia che ha bisogno di uno strumento ottico per essere realizzata. Il potenziale di questa nuova tecnologia sta, a mio avviso, nel modo in cui la si percepisce: come un mezzo o come un fine. Una cosa è certa, l’AI sta trasformando il paesaggio fotografico e il futuro della narrazione visiva e ognuno dovrà imparare a conviverci. 

Se si guarda al passato, abbiamo già vissuto altri passaggi epocali molto simili. Con l’ingresso della fotografia, per esempio, la pittura ha potuto svincolarsi dalla sua funzione documentaristica passando il testimone alla nuova pratica. La stessa cosa, è successa con l’introduzione della fotografia digitale e con i software di post-produzione: una minaccia iniziale che ha aperto nuove possibilità per la fotografia (generando anche nuove professionalità) e che ha restituito alla fotografia analogica un’aura di autenticità che rischiava di andare persa (sebbene gli interventi di post produzione fossero possibili anche in camera oscura). L’automatizzazione dei processi di editing, il riconoscimento di pattern negli stili di editing e la loro replica su più immagini attraverso l’AI garantiscono coerenza in una serie di fotografie, consentendo un notevole risparmio di tempo per i fotografi. Inoltre, l’intelligenza artificiale ha dimostrato un grande potenziale nel restauro e nell’upscaling delle immagini. Con l’aiuto di modelli di deep learning, vecchie fotografie danneggiate possono essere preservate consegnando ricordi preziosi per le generazioni a venire.

Inoltre, molti autori si avvalgono dell’AI durante il processo di realizzazione di proprie immagini. L’intelligenza artificiale può infatti analizzare lo stile di un singolo fotografo (a partire dalle sue foto) e suggerire nuovi approcci o composizioni che si allineano con le loro preferenze creative, spingendoli a sperimentare ed evolvere la loro visione artistica. A mio avviso, riservando all’AI una funzione meramente strumentale, si possono aprire scenari produttivi per fotografi che possono semplificare il workflow e migliorare le immagini, senza perdere la peculiarità della propria ricerca. Quello che si rimprovera alle immagini generate tramite AI (quindi tramite un prompt) è una sorta di appiattimento estetico, un’uniformità formale che le rende fin troppo facilmente identificabili, sebbene questa tecnologia stia imparando sempre più velocemente a simulare la realtà (ricordo che quando muoveva i primi passi, l’AI non era assolutamente in grado di ricreare le mani, cosa che adesso le riesce abbastanza bene).

Bisognerebbe educare lo sguardo alla lettura delle immagini, permettere a ognuno di noi di riconoscere un’immagine AI da una scattata. Questo passaggio diventa fondamentale soprattutto nella costruzione della realtà, nella ricerca delle informazioni necessarie a decodificare il Mondo che è sempre più legata alle immagini. Quello che va stabilito, è dunque l’utilizzo e la pratica dello sguardo legato alle AI, tema che andrebbe introdotto addirittura nelle scuole, visto che sempre più viviamo in una società costruita sulle immagini. 

A sostegno di ciò, ad accompagnare il testo trovate dei lavori realizzati attraverso Intelligenza Artificiale da Andrea Baioni, fotografo italiano specializzato in fashion e backstage photography, che da qualche tempo sperimenta sia con Midjourney sia con Stable Diffusion, due dei principali software utilizzati per generare immagini. Il vostro sguardo si perderà cercando di capire se le immagini sono possibili o no, se delle modelle si sono davvero immerse nell’acqua con dei vestiti di Valentino, o addirittura se hanno davvero sfilato in passerella o è stato tutto creato grazie a un codice.  

ph. courtesy Andrea Baioni

Intelligenza Artificiale: nuovi orizzonti e nuove prospettive
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Un viaggio analogico nella vita lenta con Yasmin Hofstetter

Un viaggio analogico nella vita lenta con Yasmin Hofstetter

Anna Frattini · 2 mesi fa · Photography

Yasmin Hofstetter è una fotografa svizzera che si è ritagliata il suo posto nel mondo della fotografia cinematografica. Il suo lavoro ruota intorno alla creazione di uno spazio in cui si possono veder fiorire delicatezza e sensibilità – sfidando al tempo stesso le norme sociali che solitamente vengono accostate alla vita lenta. Un elemento importante della sua fotografia è anche quello della prospettiva femminile che possiamo rintracciare nello stile distintivo di Yasmin. Concentrandosi su autoritratti e soggetti che incarnano interazioni consapevoli con l’ambiente circostante, è chiara la traccia di un occhio femminile.

Scattando esclusivamente su pellicole da 35 mm, Yasmin aggiunge una qualità meditativa al suo processo creativo, assaporando la lentezza che le permette di apprezzare ogni fotografia in modo ancora più intenso. Attraverso il suo lavoro Hofstetter comunica magistralmente le sue emozioni, i suoi pensieri e i suoi desideri, esprimendo il suo mondo interiore attraverso le sue fotografie. Per Yasmin, la fotografia è un potente strumento per costruire la propria realtà onirica, dove esprime liberamente i propri pensieri e desideri. La sua fotografia riflette un dono raro: la fragilità, una caratteristica spesso fraintesa in un mondo che incoraggia la durezza. Al contrario, i lavori di Hofstetter trasmettono un messaggio di gioia e appagamento che derivano dal bisogno di abbracciare una vita dai ritmi lenti.

In Sensitivity, Yasmin sperimenta con elementi naturali come la luce diretta del sole, le ombre, le trame e le piante. L’approccio analogico alla fotografia e il processo sperimentale che abbraccia la costringono a rimanere saldamente radicata al momento presente, trasformando ogni servizio fotografico in un’esperienza meditativa.

In un mondo che spesso si muove a un ritmo incessante, il lavoro di Yasmin serve a ricordare di assaporare i momenti semplici e di abbracciare la vulnerabilità, trovando conforto nei ritmi più lenti della vita. Il suo percorso artistico ci ispira a riconoscere e custodire il potere delle nostre emozioni e a connetterci con ciò che ci circonda.

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Le variazioni di Carla Sutera Sardo

Le variazioni di Carla Sutera Sardo

Anna Frattini · 2 mesi fa · Photography

Classe ‘83, Carla Sutera Sardo si avvicina alla fotografia negli anni dell’università. Dopo l’approccio iniziale alla fotografia segnato dalla sperimentazione con l’autoritratto, si dedica all’osservazione degli aspetti più insoliti e incontaminati della natura siciliana e matura un linguaggio personale. La ricerca di Sutera Sardo si concentra sulla comunicazione tra corpi di donna e paesaggi con l’intento di riportare allo spettatore immagini dal carattere onirico, sospese nel tempo e nello spazio. 

La componente siciliana respira attraverso gli scatti della fotografa che ci apre le porte sulla sua personale visione attraverso la macchina fotografica. In AQVA, i soggetti di Carla Sutera Sardo si immergono rendendo possibile anche all’acqua di diventare strumento. Proprio come la macchina fotografica, alla continua ricerca di nuove combinazioni di luci. 
La nuova condizione di fluidità dei corpi porta nuove combinazioni, spostando il piano di interpretazione dell’immagine da realtà a illusione. Le immagini doppiamente effimere nate dalla dinamica casuale dell’acqua lasciano un senso di mistero, quasi sospese in un momento che non esiste davvero. I corpi risultano deformati, ma il gioco di luci e colori li rende incredibilmente armoniosi.

Scopri di più su Carla Sutera Sardo sul suo Instagram.

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