GORE-TEX presenta al Fuorisalone: REFRACTIONS

GORE-TEX presenta al Fuorisalone: REFRACTIONS

Claire Lescot · 5 anni fa · Art

GORE-TEX presenta REFRACTIONS, un’installazione che celebra le diverse partnership del marchio e che vuole essere metafora del potenziale illimitato della creatività. Come la rifrazione divide la luce in colori, allo stesso modo da questo materiale unico si possono irradiare infinite collaborazioni.

Per l’occasione viene presentato anche GORE-TEX INFINIUM: un nuovo prodotto frutto dell’avanzamento della tecnologia Gore adatto per una linea d’abbigliamento Outdoor in grado di mantenere un alto grado di isolamento termico ma che sia al contempo comodo ed elegante.

Abbiamo fatto qualche domanda a Jorg Haas (fondatore dell’agenzia creativa di berlino BEINGHUNTED) e Borre Akkersdijk (innovatore nel campo tessile e fondatore di BYBORRE) in occasione del round table svolto al Superstudio di via tortona nel quale hanno partecipato anche: Benedikt Schlichting (GORE) e Giovanni Pagnotta (ingegnere/designer).

Jorg Haas

Qual è stata l’evoluzione e che futuro vedi per BEINGHUNTED?

Dopo aver passato lungo tempo nel mondo dello skating, dei graffiti e dello streetwear, nel 1999 ho avuto l’idea di aprire il sito Beinghunted. Inizialmente era destinato ad un gruppo ristretto di persone: amanti del design, della musica, delle sneakers, ma la voce si è sparsa portando un grande seguito. Nel ’99 avere un sito era davvero costoso per questo la finalizzazione è avvenuta solo nel 2001. Più tardi ho inziato a vendere in piattaforma i primi prodotti ed il passo sucessivo è stato aprire un negozio fisico a Berlino dove distribuivo brand come : Supreme, Nike Adidas Acronym ed altri giapponesi.

Dopo 10 anni di retail ho deciso di cambiare e di sfruttare il mio bagaglio di conoscenze ed esperienze per poter trattare i brand ad un livello superiore. Così è nata l’agenzia Beinghunted che si occupa di consulenza ed altri servizi; abbiamo anche una galleria d’arte.

Qual è la tua relazione con l’arte ed il design?

È tutto connesso e sono molto interessato ad entrambi. Credo che l’arte un tempo sia stata quello che il design è oggi, basti pensare ai dipinti che venivano commissionati per le chiese.
Nella mia galleria offro spazio ad artisti innovativi, non solo quindi su piattaforma digitale ma anche fisica.

C’è qualcuno in particolare con cui vorresti collaborare?

In questo momento sono molto interessato alla realtà virtuale e vorrei collaborare con artisti che se ne occupano. Ad ogni modo il mio sguardo è sempre attento su tutto ciò che riguarda moda, arte e design, soprattuto tengo d’occhio il mercato asiatico perchè continuano a reinterpretare in maniera davvero interessante ciò che hanno imparato negli ultimi 10 anni.

Di cosa ti occupi per GORE-TEX?

GORE ha alle spalle una lunga storia di collaborazioni ed è sempre alla ricerca di nuovi partner. Io mi occupo della traduzione dello spirito del marchio ai brand, designer o sperimentatori che vogliono entrare in contratto con questa realtà. Due diversi brand che vogliono collaborare hanno bisogno di settare le rispettive mentalità, noi come agenzia riusciamo esattamente a capire le due lingue per cercare di farle dialogare. La nuova sfida che ho con loro è trovare ambiti interdisciplinari rispetto a 20 anni fa.

A cosa non scende a compromessi GORE?

Sicuramente alla performance del prodotto. Noi cerchiamo di spingerli fuori dalla comfort zone per fare qualcosa di sempre più innovativo, rispettando però questo punto fermo.

Borre Akkersdijk

Per cosa è conosciuto maggiormente il marchio BYBORRE?

È conosciuto per i nostri rivoluzionari materiali 3D ottenuti adattando delle macchine per la produzione e cucitura di materassi. Il nostro scopo era quello di rendere i vestiti più funzionali attraverso l’integrazione di nuove tecnologie. Come nel BB Suit nel quale cheap, batterie e sensori cuciti all’interno lo fanno diventare una piattaforma connessa indossabile o con Cold Plasma un sistema attraverso il quale siamo in grado di ripulire l’aria dall’inquinamento grazie agli abiti che indossiamo tutti i giorni.

Perché hai deciso di integrare la tecnologia nei tuoi tessuti?

Perché fondamentalmente sono un curioso ed amante della ricerca e sperimentazione

Cosa consigli ad un giovane designer che vuole percorrere la tua stessa strada?

Se vuoi fare qualcosa, qualsiasi essa sia, falla senza paura. Se fai un prodotto che davvero rappresenta ciò che sei e lo senti nel cuore magari ci puoi mettere tanto, anche anni (come ci abbiamo messo noi) ma poi riesci a dargli vita. E ricorda che non è importante seguire l’hype.

Come sei entrato in contatto con GORE-TEX?

Siamo entrati in contatto con GORE-TEX per poter incorporare la loro tecnologia nei nostri tessuti. Il marchio è conosciuto a livello mondiale per la propria impermeabilità ed abbiamo pensato fosse interessante poter proteggere i nostri sensori attraverso il loro know-how tecnico mantenendo il nostro design e comfort. Il dialogo iniziato non riguarda solo gli aspetti del materiale ma anche quello della costruzione.

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Isabella Ståhl è tornata a Nord

Isabella Ståhl è tornata a Nord

Tommaso Berra · 3 giorni fa · Photography

Isabella Ståhl è una fotografa svedese che si è trovata a riscoprire i paesaggi della propria infanzia dopo aver viaggiato in tutto il mondo, partendo da Stoccolma fino a New York, Parigi e Berlino. Il Nord rappresenta il punto cardinale dal quale si è spostata inizialmente, tornando poi una volta affinata la propria maturità artistica, che le ha permesso di guardare sotto una nuova luce i paesaggi rurali e malinconici della propria infanzia.
Nelle foto di Isabella Ståhl a dominare è la natura con i suoi vasti campi e gli animali selvatici e selvaggi avvolti nella nebbia, che nasconde anche tutto il resto del paesaggio come una coperta bianca. La straordinaria solitudine delle composizioni e la malinconia che entra dritta negli occhi degli spettatori sono due tra le caratteristiche principali del lavoro di Ståhl, fotografa affermata che nel corso della sua carriera artistica ha collaborato con alcuni dei più importanti brand ed editori internazionali. La sua capacità non è solamente quella di saper costruire una storia dietro ai momenti che sceglie di scattare, ma anche restituire come delle sensazioni fisiche di calore, freddezza, dei brividi che rendono protagonisti tutti coloro che si fermano a guardare le fotografie.

Isabella Ståhl è stata recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Isabella Ståhl | Collater.al
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Isabella Ståhl è tornata a Nord
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Tommaso Berra · 2 giorni fa · Photography

Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a Cecilie Mengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani.
Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana.
Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.

Cecilie Mengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Cecilie Mengel | Collater.al
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
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Diego Dominici e il velo di Maya

Diego Dominici e il velo di Maya

Giorgia Massari · 2 giorni fa · Photography

Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografo Diego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serie Atman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.


Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità.
L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.

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Diego Dominici e il velo di Maya
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Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale

Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale

Laura Tota · 5 giorni fa · Photography

Il 21 marzo, in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, dialogica vuole indagare la capacità delle immagini di contribuire, attraverso un’azione di alfabetizzazione visuale interculturale, all’abbattimento dei preconcetti legati ai fenomeni della migrazione o della diversità culturale.
Da quando a cavallo degli anni ’60 e ’70 Gordon Parks ha iniziato a raccontare con dignità e sensibilità la povertà, l’ingiustizia sociale e l’emarginazione vissute dagli afroamericani negli Stati Uniti, una nuova modalità narrativa ha affiancato il fotogiornalismo d’assalto, contribuendo a delineare una nuova iconografia capace di restituire una visione de-colonizzata, più realistica e meno stereotipata della figura del migrante o, più in generale, delle comunità nere. All’approccio puramente documentaristico le nuove generazioni di autori che lavorano con le immagini preferiscono un’indagine che si focalizzi più sul territorio in cui vivono, ricorrendo a linguaggi più ricercati o che approfondiscono le implicazioni sociali del fenomeno della migrazione.

Il lavoro “Nowhere Near” dell’autrice Alisa Martynova si concentra proprio sulla necessità di restituire un’identità peculiare all’erroneamente monolitica visione del migrante. Alisa ricorre a metafore e similitudini per raccontare le testimonianze di giovani migranti, intervistati in Italia (e non solo) nell’arco di oltre tre anni. I gruppi di migranti, protagonisti di viaggi estenuanti, vengono metaforicamente paragonati a costellazioni di stelle fuggitive, ovvero corpi celesti intrappolati sul confine dei buchi neri, una sorta di limbo da cui possono sottrarsi sono grazie a uno scontro tra due buchi neri: un evento eccezionale che proietta le stelle lontane da un equilibrio precario per raggiungere destinazioni non note.

Così, il Sogno di una vita migliore, del raggiungimento di un Eldorado a lungo immaginato, ma mai realmente visualizzato, viene poeticamente reso attraverso scatti realizzati in notturna in cui la luce svela per qualche secondo ciò che è nascosto, mostrando tessuti e vestiti iconograficamente legati alla cultura afro/orientale, ma catturati in luoghi altri, in cui spesso è presente quel mare attraversato coraggiosamente per raggiungere una vita migliore, o il bosco/foresta in cui nascondersi per diventare fantasmi in terra straniera.

Un cortocircuito visivo che ribadisce l’insistere di una cultura altra in un territorio sconosciuto, ma che accende una riflessione sul mondo interiore dei migranti con l’intento di suscitare reazioni in chi guarda e sottolineare l’individualità e peculiarità di ogni soggetto ritratto, portatore di storie, vissuti e racconti unici e irripetibili.

Sul pericolo di un appiattimento culturale delle comunità di colore si concentra anche il progetto “Black skin white algorithms” dell’autrice di origini angolane Alice Marcelino. Alice, il cui lavoro esplora la dimensione dell’appartenenza a partire dai concetti di cultura, tradizione, migrazione e identità, denuncia le anomalie presenti nelle tecnologie di rilevamento facciale nel momento in cui queste interagiscono con soggetti di pelle nera. Essendo principalmente programmate dall’uomo occidentale per rilevare pelle chiara, queste tecnologie non individuano in maniera ugualmente accurata le tonalità di pelle più scura, restituendo visioni sommarie o approssimative dei soggetti riconosciuti.

L’idea di inferiorità viene perpetrata quindi non solo in pregiudizi sociali inconsci, ma è alimentata anche dalle tecnologie, programmate da mani bianche occidentali, con una conseguente fornitura di potenziali false dichiarazioni. A sottolineare questo livellamento, Alice sostituisce la foto segnaletica dei soggetti con l’equivalente traduzione in codice ASCII (un set di caratteri standard compreso da tutti i computer) – che ne riduce l’identità a un risultato binario, privo di significato e complessità: la lettura del volto viene così annullata totalmente e resa illeggibile sia dall’uomo che dal sistema di riconoscimento facciale.

Alisa Martynova | Collater.al
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Alice Marcelino | Collater.al
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Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale
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Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale
Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale
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