InstHunt è una mia personalissima selezione di foto su Instagram che vi proporrò senza nessuna cadenza e tematica. Completamente a caso, come del resto l’ottantapercento dei like che mettete sul social. Per finire qui dentro vi basta non fare fotodimmerda, orribili screenshot di follower che vi hanno messo il like a 56784 fotoe ovviamente seguire @becollateral e me medesimo. Scherzo. Neanche tanto.
“Credo nel rosa” afferma la diva Audrey Hepburn in una delle sue più famose citazioni. Ma cosa significa credere nel rosa? Ovviamente, non si parla di un colore in sè, né della sua essenza o della sua mera estetica, quanto piuttosto del concetto di rosa. In realtà, tutti i colori non sono semplici colori. Ogni tonalità racchiude in sé un potere comunicativo, emozionale e semantico. Ma su tutti, il rosa è quello più controverso e divisivo. Dalla storia travagliata, portatore di ideologie e di dissensi. Capace di creare imbarazzo e capace di esaltare la sensualità. Condannato e amato. Delicato ma audace. Infantile ma anche sensuale.
Come sempre, l’arte, la musica e la moda sono generatori di tendenze e di movimenti, portatori e divulgatori di significati che si impregnano nella cultura popolare. Mai nessun altro colore venne veicolato e sfruttato come il rosa. Per secoli asessuato, utilizzato da maschi e femmine nell’abbigliamento, usato nell’arte come colore delicato e scelto dai più grandi come protagonista, vedi Pablo Picasso nel suo “periodo rosa“. Ma poi, nello scorso secolo, ci fu un’inversione di rotta che condusse il rosa a diventare rappresentante del genere femminile e, di conseguenza, a essere un colore implicitamente “vietato” a quello maschile.
Il consumismo e in particolare le strategie di marketing, portarono a un divisionismo cromatico: per le femmine il rosa, per il maschi l’azzurro. Su tutti gli eventi, fu il lancio della bambola Barbie (verso la fine degli anni ’50) a stabilire in modo ancor più assertivo questa assegnazione con il suo rosa pantone 219. La famosa bambola dai capelli biondi diventa un modello femminile fin dall’infanzia, capace ancora oggi di influenzare le scelte commerciali. Basti pensare al nuovo film di Barbie diretto da Greta Gerwig che è stato in grado di provocare una carenza mondiale della vernice rosa.
Qualche anno prima del lancio di Barbie, fu grazie alla stilista Elsa Schiaparelli e all’invenzione delle tinture chimiche che si affermò il rosa shocking, più acceso e più audace rispetto al rosa “incarnato” utilizzato fino ad allora. Da Barbie in poi, il rosa dilagò. Le donne se ne impossessarono, fino a diventare il colore simbolo delle manifestazioni femministe. Dalla fine del XX secolo però, giungendo fino ad oggi, è in atto un tentativo di slegare il rosa dal genere femminile. Il rosa quindi continua la sua storia travagliata, avviandosi verso una strada più asessuata. Complice numero uno è la moda, che lo utilizza sempre più spesso come un colore no gender. Il più grande esempio è Valentino con la sua Pink PP Collection donna e uomo Autunno Inverno 2022-23. “Non vedi i generi, ma l’autenticità delle persone” dice il direttore creativo Pierpaolo Piccioli.
Anche l’architettura impazzisce per il rosa, contribuendo a una trasposizione semantica del colore. Un esempio è la Muralla Roja (1973) dell’archistar Ricardo Bofill, famosa per essere parte del set di The Hunger Games. Concepito per essere un edificio residenziale con vista mare e situato ad Alicante, la Muralla Roja ha una chiara ispirazione araba e sembra essere uscita dal mondo surrealista. Contrariamente però, il rosa continua ad essere usato in un’ottica femminile e, talvolta, quasi come un desiderio di affermazione femminista. Un esempio è costituito dall’architetta e designer India Mahdavi che nel 2014 realizza gli interni in rosa Hollywood del ristorante londinese Sketch. “Il mio primo desiderio è stato quello di dipingere tutto di rosa” dice Mahdavi, “In quest’atmosfera maschile, ho scelto di affermarmi in questa stanza cubica, introducendo la mia visione: quella del colore e della gentilezza.”
In campo artistico, riportiamo due esempi. Uno più recente mentre l’altro di qualche decennio fa. Nei primi anni duemila fu proprio Franz West a utilizzare il rosa in maniera frequente nelle sue sculture di cartapesta e, oltretutto, in contesti inusuali, considerando il rosa come un “grido alla natura“. Ad esempio, nell’opera “Les Pommes d’Adam” accosta il rosa ad un elemento del tutto maschile come il pomo d’Adamo, spesso scambiato anche per un fallo, creando associazioni ambigue nella mente degli spettatori. Più recentemente invece, uno degli artisti contemporanei che si è più distinto in termini di creatività e di utilizzo di questo colore è Giacomo Cossio con le sue piante interamente ricoperte di vernice rosa.
Cossio concepisce i colori in maniera totalmente agender, senza attribuire un genere al rosa né tanto meno all’azzurro, che utilizza spesso. Quanto piuttosto sceglie i colori che possano contrastare con il verde naturale delle piante, che riemergerà al momento della loro crescita. “La mia più che altro è una fascinazione pop americana, credo che ormai il concetto di associare un colore ad un genere sia uno stereotipo da superare” ci racconta.
Il discorso del rosa necessiterebbe di ulteriori approfondimenti, forse varrebbe la pena analizzare anche il suo lato più oscuro, legato alla morte e agli psicofarmaci. Ma per ora ci fermiamo qui, lasciandovi nel mondo pink molto instagrammabile, che senza dubbio contribuisce a portare il rosa verso un’anima unisex e privo di ogni divisione.
Il mese scorso Banksquiat. Boy and Dog in Stop and Search di Banksy è stata venduta all’asta per oltre 9 milioni di dollari e recentemente il New Yorker ha raccontato un curioso aneddoto riguardante Boy with Hammer – un’opera dello street artist molto famosa – forse una delle poche rimaste pubbliche a New York. Cosa è rimasto dei graffiti di Banksy nella Grande Mela e chi è Andrew Janoff, il nuovo custode di questa opera?
Andrew Janoff vive nell’Uper West Side e per un anno si è scontrato con Zabar’s – un popolarissimo emporio al 2245 di Broadway – per rivendicare il merito come custode dell’opera Boy with Hammer. Janoff è arrivato a modificare l’insegna che recitava “Help Zabar’s save this Banksy” con “Help ANDREW JANOFF save this Banksy” e ad affiggere altri messaggi per i passanti. Per un decennio Zabar’s è stato riconosciuto come custode dell’opera ma Janoff non è d’accordo. L’opera – protetta da un plexiglass – non veniva pulita e controllata adeguatamente dallo staff dell’emporio e così ha iniziato a farlo lui.
Lo stencil risale al 2013, anno in cui Banksy decise di passare tutto il mese di ottobre a New York per una residenza artistica intitolata Better Out Than In. Una vera e propria provocazione nei confronti della scena artistica newyorkese. Ogni giorno, per 31 giorni, Banksy ha rivelato online la posizione di un’opera nei cinque distretti della metropoli americana fra graffiti, installazioni e performance. Un’evento imperdibile per gli appassionati di street art. Ma oggi, cosa è rimasto di quella residenza?
The Sirens of the Lambs, una delle performance realizzata durante la residenza a New York. Courtesy Andrew Gombert | European Pressphoto Agency via The New York Times
Lo street artist ha sempre avuto un legame speciale con New York non facendo mai sentire troppo la sua mancanza per le strade della Grande Mela. D’altro canto, moltissimi degli altri stencil realizzati da Banksy nel corso degli anni sono stati coperti, danneggiati, venduti a collezioni private o all’asta. Solo lo scorso 17 maggio Banksquiat. Boy and Dog in Stop and Search, un’opera di Banksy risalente al 2018, è stata aggiudicata a ben $9.724.500 durante la 20th Century & Contemporary Art Evening Sale da Phillips.
Courtesy Phillips
L’opera in questione è un tributo a Jean-Michel Basquiat, l’artista americano che – insieme a Andy Warhol – riuscì a legittimare come forma d’arte la street art. Ma sono molte le controversie dietro alla vendita delle opere di Banksy anche se ottenere un certificato di autenticità è possibile grazie al Pest Control Office.
Il punto di forza di Banksy è sempre stato quello di essere un genio della self-promotion: la sua volontà (e necessità) di rimanere anonimo, il suo porsi ironicamente nei confronti del mondo dell’arte e il suo atteggiamento anti-establishment lo hanno reso popolarissimo nel corso della sua lunga carriera. Tanto da raggiungere cifre astronomiche in asta e nelle vendite private per la fortuna di art dealers e collezionisti, nessuno di questi in contatto con l’artista.
Si è concluso il 4 giugno il CVTà Street Fest a Civitacampomarano, in provincia di Campobasso. In occasione di questo festival il borgo molisano si è animato con tre giorni di musica, live performance e street art ma non solo. Tantissimi gli ospiti, fra cui Elléna Lourens, Helen Bur e HERA – tre street artist rispettivamente dal Sudafrica, Regno Unito e Germania – insieme a Dan Witz, un vero e proprio caposaldo dell’arte urbana. Il borgo di Civitacampomarano, che ospita questo festival dal 2016, si è trasformato grazie alla street art anche quest’anno. Lo spirito della rigenerazione urbana rimane intatto e – come un museo a cielo aperto – conserva oltre 70 opere realizzate nel corso di questi anni. Alex Senna, Jan Vormann, Add Fuel e molti altri street artist hanno lasciato il segno a Civitacampomarano e ogni opera ha una storia da raccontare e custodire. Come nel caso di Dan Witz che ha scelto le antiche porte del borgo per realizzare uno dei suoi celebri trompe l’oeil.
Le linee e i colori di Elléna Lourens regalano un senso di tranquillità nella cornice di Civitacampomarano, non imponendosi mai sul paesaggio urbano e integrandosi armoniosamente grazie al suo stile minimalista e a una palette monocromatica.
HERA, influenzata dalle storie degli abitanti del piccolo borgo molisano, ha lavorato a Wild Child – un murales che raffigura un gatto dai tratti umani – simbolicamente legato a tutte le persone che scelgono di vivere lontano dalle grandi metropoli.
Street artist itinerante, Helen Bur porta con sè una componente surrealista davvero speciale. Hold – la serie realizzata per CVTà Street Fest – rappresenta il desiderio di riconessione e vicinanza dopo la pandemia intrecciandosi con il ruolo delle relazioni sociali, fondamentale in luogo come Civitacampomarano.
Il CVTà Street Fest, dopo quattro giorni di arte e musica – da non dimenticare il live di Leeroy Thornhill e di DJ Gruff – ha offerto un ricchissimo programma di eventi curati da Alice Pasquini, ambasciatrice della street art italiana nel mondo e direttrice dell’Associazione Culturale CivitArt.
Se osserviamo le opere digitali di Andro Pang ci pervade una sensazione di familiarità. Il suo universo surreale evoca immagini alle quali non siamo estranei e che ci permettono di empatizzare immediatamente con le opere. Andro Pang, artista originario dell’Indonesia, si distingue infatti per la sua capacità di creare immaginari nuovi ma ricchi di riferimenti artistici, fotografici e cinematografici. Dai cipressi di Vincent Van Gogh alle scalinate di The Truman Show, passando per il realismo hopperiano ed elementi presi in prestito dalla corrente surrealista e dadaista. Con un taglio fotografico e un punto di vista voeristico, Pang realizza opere con un forte impatto estetico ma che celano una profondità emotiva.
La coerenza artistica di Andro Pang sta soprattutto nella non-presenza umana. Nessun corpo, nessun volto appare chiaramente nelle sue opere. L’aspetto umano è solo evocato ma non è mai esplicito. La desolazione “metafisica” indubbiamente trasmette emozioni malinconiche e nostalgiche, che tendono verso una sensazione di attesa. Qualcosa potrebbe accadere o qualcosa è già successo. Ogni opera cela un enigma, un mistero da risolvere. Elementi come le scale, le sedie, le porte e le finestre, grazie al loro forte simbolismo conducono lo spettatore all’interno di una sorta di rebus. Ed è così che l’artista crea una connessione con il pubblico, addentrandosi in un immaginario onirico con l’intenzione di esplorare la complessità del subconscio e dei suoi meccanismi.