Ci sono fotografie che sembrano essere scattate in un prossimo futuro e altre che, sebbene siano state fatte oggi, hanno il sapore dolce-amaro dei ricordi lontani. Gli scatti di Marta Passalacqua sono proprio così.
Classe 1987, Marta è nata a Palermo, dove ha studiato Architettura e si è avvicinata alla fotografia. È proprio la sua amata città a rivivere nei suoi lavori: degli scatti in bianco e nero che ci accompagnano tra le vie e le strade alla scoperta di scorci e di volti che nascondo storie che catturano immediatamente il nostro sguardo.
Ma Marta non è solo questo. Durante il primo lockdown si è dedicata anche a una fotografia più intima, focalizzata sulle donne, sulla loro femminilità e sui loro corpi.
Una selezione di scatti di Marta Passalacqua sarà in mostra per Ph.ocus – About Photography nella sezione “Please, Take Care”. Noi ne abbiamo approfittato per farle qualche domanda e farci raccontare più nel dettaglio alcuni aspetti del suo lavoro.
Non perderti l’intervista qui sotto e per saperne di più non dimenticatevi di seguire Marta su Instagram!

Qual è il primo ricordo che hai legato alla fotografia?
Fin da piccolissima passavo ore a sfogliare gli album fotografici: il cassetto della vetrina dello studio era come uno scrigno. Ricordo pomeriggi invernali e piovosi, seduta a terra con intorno queste pile per lo più gialle: da una parte quelle già “ripassate”, dall’altra quelle ancora da riguardare.

Inoltre mio padre, da giovane, si era cimentato con la fotografia, ovviamente analogica, con tanto di camera oscura imbastita in casa. Ammiravo attonita i ritratti in bianco e nero di mia madre, le facce dei pescatori, le barche, le sagre, gli spettacoli teatrali. Era tutto sospeso, immobile, eterno.
A sei anni e mezzo, durante il battesimo di mio fratello, celebrato in una chiesetta di paese dove villeggiavamo d’estate, mi fecero scattare le mie prime foto “ufficiali”, ricordo ancora l’emozione che provai
Cosa vuoi raccontare con i tuoi scatti?
Negli anni la fotografia è per me diventata, sempre più, una necessità.
Sono sempre stata una buona osservatrice e ho sentito il bisogno di restituire, in qualche modo, la mia visione del mondo, di ciò che mi circonda, quindi, in primis, i miei scatti parlano di me, la realtà attraverso il filtro della mia percezione.
Il mio primo amore è senza dubbio Palermo, la mia città: con le sue strade, i suoi volti, le sue usanze, i suoi mille, piccoli, magici, mondi nascosti.
Ogni soggetto fotografato è un universo a sé, con una storia fatta di paure, sogni, dolori e desideri. Ed è forse questa per me la sfida più grande: riuscire a cogliere e a raccontare un frammento di quell’esistenza.
Spesso le tue fotografie sono in bianco e nero. Cosa ti porta a scegliere questo stile e quali sue caratteristiche apprezzi di più?
Parafrasando una frase che lessi tempo fa, penso che il bianco e nero parli direttamente all’anima. Per me è tutta una questione sentimentale, è lo scatto che me lo chiede. Ha un fortissimo potere evocativo e rimanda immediatamente all’interiorità, un’operazione di sottrazione che permette di concentrarsi sull’essenziale, eliminando la “distrazione” che ogni tanto il colore crea. La cosa stupefacente è che il nostro occhio riesce comunque a percepire il colore mancante: gli occhi azzurri in bianco e nero, ad esempio, risultano ugualmente intensi e folgoranti.
Per Paratissima esporrai nella sezione “Please, Take Care”. Raccontaci gli scatti che saranno presenti.
Sono intimamente legata al progetto che esporrò per Paratissima. Si intitola “questo corpo” e nasce dalla mia profonda esigenza di raccontare il nudo femminile in maniera diversa, eliminando l’aspetto meramente pornografico a cui spesso viene associato quest’ultimo.
Penso che il punto di vista femminile, quello di una donna che fotografa un corpo di donna, possa evidenziare tutta la potenza, il fascino, l’eros, ma anche la fragilità e la delicatezza che esprime la nostra pelle esposta. Ed è proprio questo intimo rapporto tra noi stessi e la nostra carne che merita, senza dubbio, riguardo, attenzione: un “Please, take care” che ha a che fare con la parte più intrinseca e allo stesso materica di noi stessi, “questo corpo”.


C’è un tuo scatto al quale sei più legata? Raccontacelo.
Sono legata a moltissimi miei scatti, ognuno porta con sé il momento, il luogo e, perfino, il mio umore in quell’istante.
Me ne viene in mente uno, realizzato durante la festa per San Giuseppe. In molte città della Sicilia, per questa ricorrenza, si realizzano grandi cataste di legna per strada alle quali si dà fuoco.
É una tradizione antica, che resiste nei quartieri più popolari. Per questa occasione mi recai infatti nel cuore della Kalsa, l’antica cittadella araba di Palermo.

Mi ritrovai di fronte ad una vera e propria catena di montaggio: gli adulti controllavano che il cumulo composto da mobili e assi reggesse in altezza, mentre i più piccoli continuavano a recuperare legname vario prendendolo da chissà dove, una vera e propria processione.
Era ormai buio e le condizioni per scattare davvero scarse, ma ero come ipnotizzata. Mi avvicinai ad un gruppetto di “poco più che bambini” che stavano architettando ulteriori modi per reperire altri oggetti da bruciare: scattai nello stesso istante in cui, infastiditi, si accorsero di me. L’iniziale diffidenza mutò, quasi subito, in curiosità e allegria, facemmo amicizia dopo pochi istanti insomma!
Ma quello scatto, il primo, nonostante sia un po’ “sporco” a causa della poca luce, lo trovo bellissimo ed intenso. Il perfetto esempio del mio amore per la street: quel momento irripetibile e non governabile della realtà che si mostra nella sua versione più potente e priva di filtri.



