Una mostra sulla vera lingua italiana

Una mostra sulla vera lingua italiana

Tommaso Berra · 2 mesi fa · Design

In Italia il campanilismo è uno degli aspetti culturali più consolidati della penisola, per 1300 chilometri ogni zona rivendica il proprio territorio, le proprie tradizioni e, guai, la propria cucina. In alcune zone vengono rivendicati addirittura i dialetti come vere e proprie lingue, sempre con ragioni storiche interessanti a sostegno. È vero che l’Italia si compone di lingue molto diverse da Nord a Sud, con regole grammaticali separate da quelle dell’italiano nato con Dante e diventata la lingua comune, c’è però un linguaggio universale, con il quale riusciamo a capirci quasi universalmente da Trento a Catania, ovvero quello dei gesti.
Meme per gli stessi italiani e stereotipo sul nostro Paese per gli stranieri, la gestualità è stata da sempre riconosciuta come una lingua comune da dover spiegare all’esterno. Già nel 1832 infatti Canonico Andrea de Jorio pubblica a Napoli un volume di 380 pagine di testo con 19 illustrazioni, poi riprese, prima nel 1958 e poi nel 1963 da Bruno Munari, nel suo Supplemento al dizionario italiano, pensato “per avere una documentazione il più possibile esatta, ad uso degli stranieri che visitano l’Italia”.

Per festeggiare i 60 anni di questo studio, Corraini – editore dell’ultima edizione del supplemento – organizza a Milano presso la Libreria Corraini 121+ di via Savona 17/5 la mostra SUPPLEMENTO AL DIZIONARIO ITALIANO: 60 ANNI DI GESTI, aperta dal 18 aprile fino al 30 maggio 2023.
Sono 50 le foto di altrettanti gesti raccolti da Bruno Munari tra i più significativi di questa lingua alternativa tipicamente italiana.
Dalla richiesta di fare silenzio fino ai più eloquenti gesti per comunicare di aver fame, nel progetto originario le immagini sono affiancate da didascalie in italiano, inglese, francese e tedesco, a giustificare l’intenzione di quella solo apparente bizzarra raccolta di espressività pratica.
Una nuova tappa da mettere nella già fitta agenda di appuntamenti per la Design Week, dedicata al lavoro di Bruno Munari, uno degli artisti che ha meglio rappresentato il design italiano.

Una mostra sulla vera lingua italiana
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60 designer da scoprire con MOVIMENTO

60 designer da scoprire con MOVIMENTO

Tommaso Berra · 2 mesi fa · Design

Tra le realtà più interessanti che si apprestano a mostrare i propri progetti in occasione dell’imminente Milano Design Week c’è MOVIMENTO, un progetto di collectible design che negli spazi di Domingo Communication nel distretto di Porta Venezia presenta Merging and Emerging.
In continuità con la missione di essere un aggregatore di giovani designer, MOVIMENTO esporrà il lavoro di 60 creativi internazionali, alcuni emergenti e altri più affermati, divisi in due location differenti nel cuore di uno dei distretti più dinamici della Milano Design Week. Molti di questi nomi hanno scelto l’appuntamento milanese per esporre progetti inediti, confermando il ruolo di importante vetrina che da anni il Salone del Mobile occupa nel mondo del design mondiale.

MOVIMENTO | Collater.al

Tra gli oggetti esposti grandi classici della progettazione industriale come la sedia o la lampada, ma anche opere di artigianato puro realizzate a mano. L’utilizzo di materiali vari e imprevedibili è uno degli aspetti più interessanti dell’esposizione, a dimostrazione della versatilità del progetti e della componente di innovazione che MOVIMENTO propone in questa occasione.
Oltre all’HQ di Domingo in via Sirtori 25, l’esposizione continuerà al numero 6 della stessa via, nel laboratorio di ricerca della comunicazione e piattaforma per professionisti e creativi che contaminano e stimolano il dialogo tra linguaggi differenti, dal design alla moda e alla tecnologia.

MOVIMENTO | Collater.al
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60 designer da scoprire con MOVIMENTO
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Desacralised: la mostra di design nella chiesa sconsacrata di Corvetto

Desacralised: la mostra di design nella chiesa sconsacrata di Corvetto

Giorgia Massari · 1 mese fa · Design

Uno dei progetti più curiosi di questa Milano Design Week, è senza dubbio la mostra Desacralised, organizzata dalla Galleria Philia e allestita nella Chiesa sconsacrata di San Vittore e 40 martiri, situata a pochi passi dalla fermata della metro Corvetto, al 18 di viale Lucania.
Il passaggio dal caotico viale all’interno della ex chiesa è stupefacente: una musica a tratti ecclesiastica avvolge lo spettatore che viene catapultato in un ambiente in un cui il tempo sembra essersi fermato. Gli oggetti di design selezionati e realizzati appositamente per la mostra, ragionano sul concetto di desacralizzazione, sottraendo l’elemento sacro e lasciando solo l’aspetto funzionale. Più di venti designer, da Rick Owens a Pierre de Valck, da Elsa Foulon a Studio Kare, occupano lo spazio dell’unica navata affrescata con oggetti esclusivamente bianchi, rimandando al marmo e a quei materiali tipicamente utilizzati all’interno delle chiese. L’effetto scaturito è armonioso: il design contemporaneo si sposa con l’ambiente religioso, che lascia gli spettatori senza fiato, inconsciamente portati a restare in un rispettoso silenzio. 

Tra gli oggetti presenti, domina lo spazio il grande lampadario posto al centro “Cascades of light” di Morghen, che riproduce in chiave contemporanea la forma del tipico lampadario a bracci. Altre “fonti luminose” sono qui proposte: dalle tre lampade “a conchiglia” di Elsa Foulon poste sull’altare, al “Ritus Candelabra” di Andrés Monnier che riprende l’impostazione di un candelabro votivo.
Oltre alle lampade, la Galleria Philia propone una selezione di tavoli e sedute, tra cui la “Tomb chair” di Rick Owens e il tavolo treppiedi “She’s Lost Control” di William Guillon. La selezione continua con vasi, come quelli in onice bianca di Lucas Morten, e altri oggetti più caratterizzanti e ambigui come lo specchio “Void floor mirror” di Boldizar Senteski che riflette un’immagine affievolita, a tratti spettrale e l’urna in ceramica “Desacralised trophy” di Willem Van Hooff, posta all’ingresso-uscita per sancire, come in un rituale, l’inizio e la fine della mostra.

Desacralised | Collater.al
Desacralised | Collater.al

Credits fotografici: Andrés Juan Suarez

Desacralised: la mostra di design nella chiesa sconsacrata di Corvetto
Design
Desacralised: la mostra di design nella chiesa sconsacrata di Corvetto
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L’attenzione agli emergenti da Alcova

L’attenzione agli emergenti da Alcova

Giorgia Massari · 1 mese fa · Design

Con la sua quinta edizione, torna Alcova, la piattaforma indipendente dedicata al design ideata da Valentina Ciuffi e Joseph Grima. Uno degli eventi più attesi del Fuori Salone, tanto da diventare un vero e proprio “salone nel salone” con un enorme risonanza mediatica. La riprova del suo successo sono la coda chilometrica fuori dall’Ex Macello di Porta Vittoria, la location scelta per quest’anno, e la grande quantità di designer presenti, oltre a gallerie, istituzioni, brand e progetti di grandi scuole come IED e NABA.
Alcova si distingue per l’attenzione che riserva ai giovani designer emergenti e per la sofisticata selezione di collectible design, il tutto inserito all’interno di un contesto affascinante. Da sempre infatti, Alcova si pone come riattivatore di location in disuso, dall’ex-fabbrica di panettoni Cova all’ex-ospedale militare di Baggio, giungendo quest’anno all’enorme location del vecchio mattatoio di viale Molise, già utilizzato per attività ludico-culturali.

Alcova | Collater.al


La grande planimetria dello spazio abbandonato permette senza dubbio di ospitare una grande quantità di espositori, dislocati nelle diverse aree dello spazio, denominati con terminologie tipiche del luogo, come il “Covo” o il “Mattatoio”.
Vista la grande quantità di “stand” presenti e anche a causa della grande affluenza, l’intera fiera necessita almeno un giorno per essere visitata con la giusta attenzione. Ciò che emerge è l’attenzione riservata al design eco-sostenibile, soprattutto nei confronti dei nuovi materiali, oltre alla grande selezione di arredi e di installazioni dall’effetto wow. Tra le novità del design internazionale, selezioniamo di seguito alcuni dei nostri preferiti.

Avete tempo fino domenica 23 aprile 2023, l’ultimo giorno della Design Week, per visitare Alcova, ricordandovi di registrarvi a questo link

Alcova | Collater.al
Daniele Giannetti
Alcova | Collater.al
Alcova | Collater.al
Jonathan Bocca
Alcova | Collater.al
Sam Henley

Credits fotografici: Andrés Juan Suarez

L’attenzione agli emergenti da Alcova
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L’attenzione agli emergenti da Alcova
L’attenzione agli emergenti da Alcova
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Perché il 2023 è l’anno del collectible design?

Perché il 2023 è l’anno del collectible design?

Giorgia Massari · 1 mese fa · Design

Il Fuorisalone, fratello (forse più popolare) del Salone del Mobile, anche quest’anno è accolto con grande entusiasmo dalla città di Milano, che si anima di eventi ed esposizioni dedicati al design. Se si visitano le gallerie, le istituzioni, gli spazi espositivi e i vari show-room è impossibile non notare i trend che stanno caratterizzando quest’edizione. Tra questi la prevalenza di elementi di arredo “singolari”, termine che qui va inteso in tutte le sue accezioni e che quest’anno ha portato più che mai il collectible design ad essere centrale nella Design Week. Il pezzo unico, artigianale e hand-made, caricato di una forte personalità e dai tratti innovativi, sembra provocare un assottigliamento della linea invisibile che separa il design dall’arte. L’oggetto diventa opera, il designer diventa artista, ed anche anche il linguaggio stesso subisce variazioni. 
Questo cambiamento è in parte trainato dallo spazio che l’evento riserva ai designer emergenti, portatori di innovazione in termini di sperimentazione e di ricerca di nuove soluzioni. A modificarsi è quindi anche quell’idea di “design” più legato alla produzione in serie e al concetto di “design industriale”, ora portato sempre meno verso le fabbriche e sempre di più verso gli atelier e le gallerie d’arte.

collectible design | Collater.al

Vista dalla prospettiva dei giovani designer, i motivi che li spingono a scegliere il collectible design sono da individuare nella disponibilità economica più limitata e, in generale, nella poca reperibilità dei materiali, che li portano a preferire quelli biologici auto-prodotti o quelli recuperati e poi riciclati. L’autoproduzione dei materiali e dell’oggetto stesso implica una svolta artigianale: il designer non progetta più solo il bozzetto (poi consegnato all’azienda per la produzione) ma lavora direttamente sul pezzo, producendolo dalla A alla Z, ottenendo così un esemplare unico.

Con questo non significa che il design industriale non sia ancora il focus centrale della manifestazione. Il Salone del Mobile, così come i grandi brand e le case di moda, propongono principalmente design prodotto su grande scala. Se questi brand hanno ancora la responsabilità di guardare ad una fascia più ampia di pubblico, questa edizione della Design Week ha sottolineato un’attenzione nei confronti dei prodotti unici. Sono soprattutto i cultori del settore, ma anche il pubblico più giovane, ad apprezzare il design artigianale e hand-made, su cui è possibile scommettere, proprio come accade per le opere d’arte degli artisti emergenti. Ecco allora che subentra la questione della riduzione del confine arte-design. Questo argomento divide nettamente gli addetti ai lavori in due fazioni: chi, come Antonella Adriani (vice-preseidente dell’ADI) crede che il design non potrà mai essere considerato un’opera d’arte, perché il design è democratico, inclusivo ed è qualcosa che “non si deve capire ma che dev’essere usato” come afferma Lisa Rosso a Spigola Podcast; mentre c’è chi lo considera sempre di più un’espressione artistica al pari della scultura. Questa seconda fazione non è del tutto da condannare anzi, la sua tesi trova conferma nel linguaggio utilizzato all’interno degli eventi di design di questa settimana. Facendo attenzione, si può notare come la parola “designer” o “progettista” venga spesso sostituita con “artista” o “creatore”, così come il termine “opera” sia preferito a “oggetto” o a “prodotto”. Le esposizioni diventano vere e proprie mostre, paragonabili a quelle d’arte.

Le ragioni che hanno portato il collectible design ad emergere in modo preponderante sono sicuramente tecniche e ambientali, come detto in precedenza, ma è anche preferito dai designer in quanto modo per potersi esprimere artisticamente. Il contatto con il pubblico è più immediato, soprattutto con quello giovane, e l’io creativo ha più spazio per affiorare. Il prodotto realizzato a mano crea più empatia con lo spettatore perché colpisce le sensazioni, piuttosto di quello industriale più freddo e meccanico.

Perché il 2023 è l’anno del collectible design?
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Perché il 2023 è l’anno del collectible design?
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