Se la fotografia racconta l’arte del passato: Luca Santese per il MARec

Se la fotografia racconta l’arte del passato: Luca Santese per il MARec

Laura Tota · 4 mesi fa · Photography

Da quasi un anno, il Museo dell’Arte Recuperata (MARec) a San Severino Marche, accoglie centinaia di opere letteralmente salvate dai luoghi sacri del territorio marchigiano dopo il devastante sisma del 2016, una “casa temporanea” in cui poter riconsegnare al pubblico opere di arte sacra dal valore inestimabile datate tra il Duecento e il Settecento.
Il contesto da cui queste opere sono state violentemente separate dal terremoto, è restituito attraverso una suddivisione per luogo di origine delle belle stanze del Palazzo Vescovile, ma non solo: a dispetto dell’antichità delle opere esposte, la direttrice del museo Barbara Mastrocola ha fortemente voluto un intervento capace di restituire la potenza delle opere attraverso uno dei linguaggi più contemporanei, ovvero quello della fotografia e del video.
Ad accogliere la sfida, Luca Santese, fotografo e fondatore del collettivo Cesura, e Nicola Patruno, critico della cultura e curatore, attraverso la realizzazione di un documentario di ampio respiro che restituisce un paesaggio collettivamente vissuto, con una narrazione ricca di suggestioni, affetti e parole di chi di quel territorio è parte integrante.
Nel mese di aprile, inoltre, è stata presentata una pubblicazione molto significativa per restituire la missione del museo: non un catalogo, ma un volume che “è un percorso dentro le opere – racconta Barbara Mastrocola – che sintetizza con immagini altamente evocative il senso di questo Museo, cioè quell’anelito di Rinascita che passa anche dal recupero delle opere d’arte, sorprendenti testimonianze dell’antica vivacità, anche economica, dei luoghi che oggi, soprattutto dopo le ferite del sisma, ad una superficiale lettura, ci apparirebbero un po’ emarginati rispetto allo sviluppo che, nelle terre marchigiane, sembra essere avvenuto solo nelle località costiere”.
Abbiamo chiesto a Luca Santese di raccontarci in che modo la fotografia ha contribuito a definire l’identità del MARec.

L’esperienza editoriale non è nuova nella tua pratica, anche se qui ci troviamo di fronte a una pubblicazione ibrida che non è un catalogo, ma neanche una semplice guida. Eppure, la sua capacità di portare il pubblico all’interno del progetto MARec è molto alta, grazie a un equilibrato uso di testi e immagini. Come avete coordinato il lavoro tu, Nicola Patruno e Barbara Mastrocola? Quali sono gli obiettivi della pubblicazione?
Come dici ho iniziato molto giovane con l’editoria indipendente attraverso Cesura, mio collettivo fotografico, e la sua casa editrice indipendente Cesura Publish con la quale mi sono occupato principalmente di libri di fotografia autoriale. Questo catalogo ha trovato una sua identità forte perché porta con sé questa mia esperienza unita alle competenze di Nicola Patruno, curatore e critico della cultura, di Giulia Fumagalli, grafica esperta e sperimentale e Barbara Mastrocola, Direttrice del museo MARec di cui conosce singolarmente tutte le opere e che ha curato, insieme a me e Patruno, il volume fin da principio.

Nel tuo caso, da fotografo di ricerca con una visione estremamente contemporanea, che taglio hai voluto dare alle immagini delle opere ritrovate? In che modo queste opere incredibili, ma appartenenti a un’altra epoca e ad altre ferite/storie sono riuscite a parlarti e come sei riuscito a darne conto?
La Direttrice mi ha concesso il privilegio di poter interpretare fotograficamente le opere del museo lavorando sulla scultura con una luce non scientifica, dal punto di vista della catalogazione, ma drammatica. Luce che ha permesso di esaltare l’espressività delle opere, dando quasi vita ai soggetti. Anche per quanto riguarda la pittura ho potuto lavorare liberamente sulla scelta dei dettagli così da creare quasi dei quadri nei quadri. Lavorare fotograficamente a contatto con la pittura e la scultura medievale è un’esperienza potente che mette il fotografo in relazione intima e di conoscenza profonda con le opere stesse.

Quanto il fatto di aver diretto anche il documentario, e quindi di esserti addentrato maggiormente nel tessuto narrativo/esistenziale del territorio, ha influito sul tuo modo di scattare?
Sicuramente molto perché l’esplorazione del territorio al fine di realizzare questo documentario con Nicola Patruno è stata approfondita e metodica e mi ha permesso di conoscere a fondo lo spirito del luogo che è conservato e vive anche nelle opere, nella loro funzione di culto e di memoria che le lega inscindibilmente agli abitanti.

Nella pubblicazione ci sono molte foto di dettagli, i punti di ripresa sono a volte inusuali, in alcune l’utilizzo della luce è teatrale, quasi a voler drammatizzare i soggetti fotografati: sicuramente una modalità di scatto più autoriale rispetto a quella dei meri cataloghi museali e che pone questa pubblicazione su un livello di lettura diverso. Credi che questa scelta riguardi anche i testi e i contributi degli altri professionisti con cui hai lavorato? A quale pubblico è destinata questa pubblicazione così particolare?
Come dicevo ho potuto interpretare fotograficamente le opere del museo lavorando sulla scultura e la pittura con una luce e delle inquadrature non scientifiche dal punto di vista della catalogazione ma che ne sottolineasse l’espressività. Questo metodo è stato applicato da tutti i professionisti che hanno lavorato a questo progetto e, di conseguenza, su ogni aspetto del lavoro. Abbiamo insieme voluto valorizzare non solo la fondamentale funzione documentale del catalogo ma anche l’aspetto espressivo legato all’interpretazione curatoriale, grafica e fotografica. Un aspetto essenziale al nostro scopo: trasmettere con la maggior forza possibile la forza non solo delle opere ma di tutta la storia che le vivifica e le sorregge, dal salvataggio alla nuova vita.

Se la fotografia racconta l’arte del passato: Luca Santese per il MARec
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Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Giulia Guido · 2 giorni fa · Photography

Quando fotografi americani o europei si spingono nel cuore dell’Africa tornano a casa con scatti bellissimi, ma che spesso non rispecchiano la realtà. Così ci siamo abituati a un volto del continente africano che certamente esiste, ma non è l’unico: pensando a paesi come il Ghana, la Nigeria, il Benin e molti altri ci vengono in mente immagini caratterizzate da colori cupi, poco saturi e legate a storie dall’accezione negativa. Forse è proprio per questo che le fotografie di Derrick Ofosu Boateng ci sorprendono talmente tanto da farci venire il dubbio che siano finte, che siano scattate su un set preparato ad hoc, da un’altra parte del mondo. Invece no. Classe 1999, Derrick Ofosu Boateng è nato in Ghana e oggi vive nella sua capitale, Accra, che qualche anno fa si è trasformata nel suo set personale, sempre pronto per la prossima fotografia. 

Al contrario di molti, che hanno iniziato con corsi in accademie o università, Boateng ha cominciato a scattare solo quando il padre, per supportare la sua passione, gli ha regalato un iPhone, che è diventato immediatamente il mezzo attraverso il quale restituire una visione personale del Ghana. Allontanandosi dall’immaginario comune, le fotografie di Derrick Boateng immortalano la vera anima del suo Paese formata dalle persone che lo vivono. 

Dimenticatevi i grigi perché i suoi scatti sono una vera e propria esplosione di colori, vibranti e iper-saturi, la migliore dimostrazione di quanto la fotografia possa essere pop. 
Quello di Boateng è un punto di vista diverso, e forse il punto di vista di cui avevamo bisogno, su una cultura e una terra troppo legate a una narrazione negativa creata da chi quella terra non la vive tutti i giorni e non la chiama casa.

ph. courtesy Derrick Boateng

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
Photography
Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
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Ciò che viene nascosto

Ciò che viene nascosto

Giorgia Massari · 1 giorno fa · Photography

Le parole chiave di questo testo, ricorrenti e fondamentali per osservare le fotografie qui di seguito, si possono ritrovare nella fisicità, nell’orientamento sessuale, nel patriarcato e nella nudità. Ciò che questi termini, o meglio, questi macro-argomenti, hanno in comune è la penombra e, in alcuni casi, la totale assenza di luce. Con questi scatti e con questa riflessione, si ha l’intenzione di condurli fuori dal buio al quale spesso sono condannati. Illuminarli dunque, con la speranza che essi possano diventare temi condivisi e assorbiti nel tessuto sociale. Ciò che è vero e facilmente riscontrabile, è la difficoltà di affrontare determinati temi, soprattutto in relazione alla sfera femminile. Il corpo di una donna e come lei stessa si sente a riguardo, così come il suo orientamento sessuale, la sua posizione nella società o il suo stesso corpo nudo, sembrano essere ancora oggi temi disdicevoli o addirittura, in particolar modo in alcune società, proibiti e condannabili. Seppur una fetta della popolazione mondiale si stia muovendo in un’ottica di consapevolezza, accettazione e inclusione, questi temi non vengono mai del tutto sviscerati e trattati con la giusta attenzione. Attraverso la fotografia – e più in generale con l’arte – molte donne si sono espresse a riguardo. Qui sono le fotografe Giulia Frump, Leah DeVun, Rachel Feinstein e Despina Mikonati a parlarci di tutto ciò, con il loro sguardo femminile e intimo. 

Giulia Frump

Quattro fotografe distanti tra loro, in termini stilistici e contenutistici. Lontane geograficamente e anagraficamente, ma che trovano un loro punto di incontro nella volontà di urlare il loro desiderio di libertà al mondo. Osservando i loro scatti, emergono i quattro macro temi sopracitati, accomunati da un senso di liberazione e dalla volontà di rappresentare ciò che per secoli è stato nascosto. In Giulia Frump lo stereotipo del corpo femminile, l’ideale di perfezione del nostro secolo, viene superato da una danza di curve, linee morbide che si «adagiano in un abbraccio di pacificazione», come afferma la stessa fotografa. Lo stesso ricongiungimento con l’essenza del sé trova una particolare forma aurea negli scatti di Despina Mikoniati, che nel suo progetto Epilithic amalgama il corpo femminile con Madre Natura. «Madre Natura è colei che ci fa nascere e ci porta via. È la casa dei nostri corpi. Un luogo sicuro in cui esistere così come siamo», afferma Despina.

Despina Mikoniati

Se da un lato, Frump e Mikoniati indagano l’aspetto corporeo in relazione all’ambiente e al sé, le due fotografe Rachel Feinstein e Leah DeVun pongono la donna in stretto contatto con la sfera sociale che oggi abita. Feinstein affronta il tema universalmente, ragionando sul patriarcato e sullo spazio che le donne occupano nella società odierna. Ancora di più, la fotografa riflette sul modo in cui le donne vengono viste e rappresentate dallo sguardo maschile, facendo un particolare riferimento alla cinematografia degli anni Quaranta e Cinquanta, nel quale la condizione casalinga era particolarmente evidente. In questo senso, Rachel gioca su questi elementi, inserendo nei suoi scatti oggetti legati alla sfera femminile – quali il ferro da stiro, i tacchi, il tacchino arrosto su una tavola imbandita – ed esalta la condizione di reclusione domestica. La sua intenzione è quella di creare un disagio negli occhi di chi guarda, con l’obiettivo «di portare l’attenzione sui piccoli momenti che costituiscono l’esperienza femminile più ampia e di incoraggiare conversazioni che ispirino il cambiamento.»

Rachel Feinstein

Leah DeVun, invece, sceglie di rappresentare un gruppo specifico di donne che da questo tipo di società ha scelto di evadere. Sono i gruppi di donne lesbiche che, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, ma anche oggi, hanno deciso di formare comunità utopiche e rivoluzionarie per portare avanti la liberazione del genere femminile. La ricerca di DeVun è volta a riscoprire queste comunità, taciute e nascoste, che costituiscono luoghi di grande creatività e cultura. «La visibilità è fondamentale per qualsiasi comunità, ma le lesbiche hanno subìto molte cancellazioni storiche e mancanza di rappresentazione» – afferma Leah DeVun, aggiungendo – «non vediamo abbastanza immagini di lesbiche o non conosciamo la storia delle lesbiche. Nelle comuni, le donne fotografe cercavano di contrastare questa invisibilità creando le loro immagini della vita lesbica, e anch’io sto cercando di farlo con il mio lavoro.»

Leah DeVun

Seguendo il fil rouge che unisce le quattro protagoniste di questo testo, si scoprono altrettanti artisti che oggi scelgono di affrontare discorsi considerati ostici e complessi, con l’intenzione di svicerarli fino a ridurli all’osso. Per cucirli, dunque, all’interno del tessuto della normalità, per non considerarli più temi altri, ma parte dell’ordinario flusso sociale.

Despina Mikoniati

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Ciò che viene nascosto
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Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Anna Frattini · 6 ore fa · Photography

Nel mondo della fotografia di moda, dove la perfezione e la giovinezza vengono spesso messe al primo posto, Celine van Heel si distingue come una fotografa che abbraccia l’autenticità e l’unicità. Nata ad Atene e di origine spagnola e olandese, il viaggio di Celine nella fotografia è iniziato solo tre anni fa, ispirata da suo nonno che a 91 anni è anche diventato uno dei suoi soggetti. La sua bravura nel catturare momenti estremi ed esagerati l’ha portata a realizzare immagini che sfidano le norme convenzionali della fotografia di moda per come la conosciamo. Ma come si intrecciano le fotografie di Celine Van Heel con la fotografia di moda?

La magia degli scatti di Celine van Heel sta sicuramente nella sua visione distintiva che celebra individualità e inclusività. Il percorso di Celine nel mondo della fotografia ha preso una svolta a partire dalla sua avventura con “The Spanish King”, un account Instagram dove decide di condividere fotografie che ritraggono suo nonno come modello. Attraverso questo approccio, la fotografa ha iniziato un viaggio alla scoperta della bellezza delle rughe e dell’invecchiamento, dimostrando come l’età non dovrebbe mai essere un fattore limitante, neanche nella fotografia

Gli scatti di Celine non potevano che essere notati da prestigiose riviste come Vogue, GQ e L’Officiel. Queste collaborazioni dimostrano che modelli non convenzionali possono lanciare messaggi altrettanto potenti e ispirare cambiamenti all’interno di un settore così complesso come quello della moda. Celine crede nell’uso della fotografia di moda come strumento utile al cambiamento, incoraggiando l’industria a ridefinire i suoi standard e ad abbracciare la diversità, indipendentemente dall’età o dall’aspetto dei modelli. 

Il processo creativo di Celine Van Heel si intreccia con la fotografia di moda in modo autentico, liberatorio e d’impatto. La sua decisione di presentare suo nonno come modello sfida le nozioni di bellezza ed età all’interno del settore. Attraverso il suo lavoro, incoraggia la moda ad abbracciare diversità e unicità, fornendo agli individui tutti gli strumenti per sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Con il suo audace uso del colore e dell’estro creativo, le immagini di Celine vanno oltre la fotografia di moda convenzionale, trasformandola in una forma d’arte vera e propria.

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Courtesy Celine Van Heel

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda
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Cinque foto scattate al momento giusto

Cinque foto scattate al momento giusto

Collater.al Contributors · 5 giorni fa · Photography

Il tempismo è tutto. Lo sanno bene i fotografi street che passano ore ad aspettare il momento giusto per realizzare uno scatto sensazionale. Per creare una composizione che agli occhi del pubblico potrebbe sembrare “fortunata” e casuale. In realtà, dietro questi scatti c’è uno straordinario sincronismo tra occhio, mente e macchina fotografica. Oggi abbiamo selezionato cinque scatti per esplorare l’abilità di questi fotografi, testimoniando come abbiano saputo cogliere istanti fugaci che trasformano una semplice immagine in una storia senza tempo.

#1 Lorenzo Catena

© Lorenzo Catena

#2 Dimpy Bhalotia

© Dimpy Bhalotia

#3 Giuseppe Scianna

© Giuseppe Scianna

#4 Federico Verzi

© Federico Verzi

#5 Andrea Torrei

© Andrea Torrei

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Giuseppe Scianna
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Andrea Torrei

Selezione di Andrés Juan Suarez

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