«Ogni fotografia è una finzione con pretese di verità. Nonostante tutto ciò che ci è stato inculcato, tutto ciò in cui crediamo, la fotografia mente sempre; mente istintivamente, mente perché la sua natura non le permette di fare nient’altro» afferma il fotografo, docente e scrittore spagnolo Joan Fontcuberta. In quanto interprete della fotografia contemporanea, nei suoi saggi la definisce con il termine post-fotografia, riferendosi in particolare alla fotografia della seconda rivoluzione digitale, dell’era dei social network, del virtuale, di internet e, in particolare, dell’onnipresenza delle immagini. Ciò che viene indagato è più che altro il cambiamento che la post-fotografia ha portato. In primis, la fotografia diventa a disposizione di tutti e, di conseguenza, vi è un’epocale trasmutazione dal punto di vista dell’utilizzo. In secondo luogo, cambia, o meglio muta, il rapporto della fotografia con la verità. Stando a quanto afferma Fontcuberta, la fotografia non è mai stata sincera. Fin dall’invenzione di questo medium, «la fotografia è sempre stata un bacio di Giuda» perché tradisce la realtà costantemente. Il semplice punto di vista del fotografo rende l’immagine soggettiva piuttosto che oggettiva. Ma oggi, l’equazione “fotografia = realtà” è ancor più vacillante a causa dell’avvento di numerosi strumenti che permettono la manipolazione delle immagini e, più recentemente, dell’introduzione dell’Intelligenza Artificiale, in grado di generare qualsiasi tipo di rappresentazione grazie a un semplice comando umano.

Se da una parte, siamo sempre stati abituati a pensare che la fotografia sia la forma di rappresentazione della realtà più fedele, dall’altra il dubbio si insinua sempre. Che sia uno scatto documentaristico, paesaggistico o ritrattistico, non potremmo mai affermare con certezza che ciò che i nostri occhi osservano sia effettivamente concreto. L’equivoco è dietro l’angolo. Il sentimento di diffidenza di fronte a un’immagine diventa la normalità. Quanto più un’immagine è sensazionale, esteticamente perfetta, colorata e grandiosa, tanto più siamo pervasi dal dubbio «sarà reale?». Dunque, siamo indotti a pensare che la fotografia prometta la realtà, ma non è mai stata la sua prerogativa. Da questo punto di vista si potrebbe pensare che sia la più grande forma di inganno, capace di generare disillusione e allo stesso tempo di provocare stupore, ma il solo fatto che tra il mezzo e il soggetto ci sia una componente umana e soggettiva provoca in automatico un’alterazione dell’oggettività. La componente creativa si inserisce in questo processo, così come la libertà di esprimere concetti ed emozioni individuali, spostando la fotografia sul piano artistico. «La fotografia inizia come mezzo informativo e si trasforma in un’opera che la gente va a vedere alla ricerca di valori estetici ed emotivi, come un modo per partecipare a un’esperienza artistica» continua Joan Fontcuberta. In questo senso, è utile analizzare uno degli artisti contemporanei emergenti che rappresentano al meglio i concetti qui indagati.

Andro Pang, artista di origini indonesiane, si inserisce perfettamente all’interno di questo discorso così complicato e ancora nuovo. Osservando le sue opere, l’occhio restituisce alla mente uno stimolo, che quest’ultima percepisce come reale. In un primo momento non vi sono dubbi: si tratta di una fotografia. Analizzando con attenzione le immagini, la loro luce perfetta e i piccoli dettagli a tratti surreali, l’equivoco si insinua. Potrebbe essere un errore di valutazione? Effettivamente è così. Andro Pang realizza opere in digitale servendosi di un taglio fotografico, di riferimenti cinematografici e di suggestioni artistiche. Dai cipressi di Vincent Van Gogh alle scale di The Truman Show, passando per il realismo hopperiano ed elementi presi in prestito dalla corrente surrealista e dadaista. Le sue opere sono capaci di generare nello spettatore un senso di familiarità, evocando immagini alle quali non è estraneo e che gli permettono di empatizzare immediatamente con le opere. Andro Pang è strettamente legato alla fotografia. La sua carriera artistica inizia come fotografo ma, a causa della pandemia e alla conseguente impossibilità di uscire dalle mura domestiche, trova una soluzione per la sua arte. Non potendo scattare all’esterno, Andro Pang si dedica al massimo all’arte digitale, creando immagini che mescolano realtà e fantasia. Il confine tra realtà e finzione vacilla. Giunti a questo punto, ricorre nuovamente la domanda «è forse questa una forma di inganno?». Una risposta chiara, definita e universale risulta impossibile ma, senza dubbio, è possibile trovare una spiegazione nel cambiamento. Citando ancora il fotografo Fontcuberta: «lI digitale inaugura un nuovo spazio fra reale e virtuale dove si installa un nuovo modo di creare comunità». Cambiano dunque le modalità di creazione, la finzione diventa una forma di manifestazione artistica e non resta che aspettare di vedere cosa succederà al termine di questo decennio.





