In occasione della Torino Art Week, torna la fiera d’arte The Others con la sua dodicesima edizione. Ma oggi non vogliamo farvi il classico resoconto dei booth, o della tanto discussa opera che ritrae Giorgia Meloni con un tatuaggio fascista, ma piuttosto porre l’attenzione sui tre progetti vincitori della Open Call per curatori, lanciata ogni anno da The Others. Questa è senza dubbio l’occasione perfetta per scoprire qualcosa di più sulla scena artistica contemporanea emergente che quest’anno – su richiesta della Call for Curators – entra necessariamente in relazione con tre gallerie estere. Stiamo parlando dei progetti Ballad of species a cura di Niccolò Giacomazzi, Grieve with me a cura di Julia Fidder e Fernweh a cura di Caterina Angelucci e Andrea Elia Zanini. Scopriamo meglio di cosa si tratta.

L’esplorazione dei rituali di lutto condivisi
Nel tentativo di opporsi al pensiero normativo causato dal pensiero capitalista e alla privatizzazione del lutto dovuta al Neoliberismo, il progetto di Julia Fidder – Grieve with me – esplora i rituali di lutto condivisi e il lutto comunitario nel mondo di oggi. Il booth – presentato dalla galleria no-profit Oksasenkatu 11 di Helsinki – accoglie le opere di quattro giovani artisti posti in dialogo. Sara Blosseville, Mallaury Scala & Grégoire Schaller e Juliana Irene Smith, attraverso l’uso di diversi media, esplorano le diverse declinazioni del concetto di lutto e delle altrettante manifestazioni materiali e astratte. Le opere di Juliana Irene Smith, dal titolo Rainbow Catharsis, sono quelle che saltano subito all’occhio. Dei grandi e colorati collage tessili sono appesi alla parete. Fotografie, tessuti e scritte si intrecciano per evocare una memoria materiale. L’imperfezione, i difetti e il senso di urgenza riflettono la disperazione dell’artista di espellere, secondo le sue parole, le “cose cattive” dal suo corpo e di riprendersi dal passato. Un esempio è la frase “goodbye fuckers”, accompagnata dall’immagine di un letto insanguinato. In questo caso, il lutto è inteso come un concetto metaforico che si riferisce alla necessità di “seppellire” un passato doloroso.

Le due pareti laterali sono invece occupate da alcuni frame del film EKKRINO realizzato da Mallaury Scala & Grégoire Schaller. Il video è un vero e proprio lungometraggio che riprende una danza ai piedi del sito vulcanico dell’isola di Nisyros, nel Dodecaneso. Il lavoro articola corpo, paesaggio e perdita. Seguiamo le reazioni emotive e danzate di un’anziana donna di fronte ai resti di un giovane uomo appena morto. EKKRINO è un rituale performativo che mira a trasformare il lutto in una fonte di speranza e a fronteggiare i cambiamenti sociali, abbracciando movimenti come quelli femministi, LGBT+, antirazzisti ed ecologisti. Cerca di creare nuove visioni e una storia collettiva migliore in un mondo in costante evoluzione. Infine, al centro del booth si trova un piccolo altarino realizzato dall’artista Sara Blosseville per il proprio cane. In tal senso è evidente come l’artista intenda indagare il concetto di altare, uno strumento di adattamento usato dall’uomo per connettersi con i propri cari defunti o semplicemente per ricordarli e rendergli omaggio.

Rovesciare la centralità dell’uomo in favore della flora e della fauna
Il progetto Ballad of species a cura di Niccolò Giacomazzi ragiona sulle possibilità umane di uscire da una condizione antropocentrica e porre una frattura sulla percezione che l’uomo ha di sé stesso. «Bisogna mettere in discussione la centralità dell’essere umano e inglobarlo in un sistema più inclusivo» si legge sul testo curatoriale. Attraverso i progetti dei tre artisti Greta Maria Gerosa, Roxie Ren e Wang Yuxiang, lo spettatore segue una narrazione poetica che passa da un piano digitale e artificioso – nel caso delle opere video di Gerosa e di Ren -, a uno primordiale, con le gabbie di Yuxiang. Il progetto è presentato in collaborazione con la DOSE Art, una piattaforma di arte contemporanea con base a Los Angeles.

Un viaggio nel tempo e nello spazio
L’ultimo dei tre progetti vincitori – Fernweh a cura di Caterina Angelucci e Andrea Elia Zanini – attrae lo spettatore attraverso un suono che appare familiare. Si tratta di un audio in loop che unisce gli ultimi cinque secondi di diverse colonne sonore cinematografiche, opera dell’artista Friedrich Andreoni. L’atmosfera è malinconico, come in ogni finale che si rispetti. Il suono proviene da un altoparlante posto al centro del booth che, attraverso il suono emesso, richiama l’idea del viaggio in una sequenza continua di finali. L’opera di Andreoni è posta in dialogo con la serie Aleph di Roberto Casti che, come Andreoni, ha ragionato sulla linea poetica lanciata dai due curatori: la riflessione sulla paralisi collettiva e l’idea di fuga espressa dal romanzo Dubliners di James Joyce. Casti propone tre momenti separati in termini di spazio e tempo. Tre elementi urbani fungono da portali verso una dimensione altra, in questo caso verso Tokyo, New York e sulla Thailandia, permettendo all’artista di esplorare il concetto di ubiquità contemporaneo. Dai tre elementi fuoriescono dei suoni che l’artista ha registrato nelle diverse località, successivamente alterandoli fino a ridurli a dei tappeti sonori ambient, annullando i dati spazio-temporali.


The Others Art Fair è aperta fino al 5 novembre presso il Padiglione 3 di Torino Esposizioni