Aesthetic.al / Evelyn Bencicova – Alien observer

Aesthetic.al / Evelyn Bencicova – Alien observer

Collater.al Contributors · 8 anni fa · Photography

Prendete i canoni del bello, la visione culturalmente e comunemente accettata. Prendeteli, e buttatela via. Aesthetic.al diventa qui, quasi un ossimoro.

Ho voluto iniziare questa rubrica con un’artista che amo particolarmente, perché riesce a descrivere alla perfezione quanto la “Bellezza” sia un fattore estremamente soggettivo, che parte da un concetto che va ben oltre “la visione culturalmente e comunemente accettata”: il gusto personale. Quella di Evelyn Bencicova, infatti, è un’estetica diversa, aliena, che non si pone al di sopra di quella comune perché, semplicemente, non fa parte della nostra epoca.

Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista

È quasi futuro? Evelyn è un’aliena, un’aliena che “guarda un mondo che non è il nostro” ma a volte, attraverso un suo scatto, attraverso le meravigliose, bizzarre, creature che immortala… ce ne regala una perfetta visione. Così approdiamo in un pianeta nuovo, fatto di atmosfere gelide, cliniche, popolate da corpi diafani, surreali, che giocano con il sacro e il profano. Finiamo per incantarci davanti alle sue creature imperfette, che proprio nell’imperfezione trovano la loro forza, la loro personale e disarmante “bellezza”.

Così osserviamo il corpo nudo che non ha più sesso, non ha più età, non ha più status… è inerme, è malleabile, è extraterrestre. Diventa una composizione architettonica quando si plasma agli altri, soggetti che diventano unico soggetto. Rimane in primo piano all’interno di un ambiente impermeabile, clinico, dove la stessa Evelyn confessa: ”Something happened, but nobody knows what exactly.”

Ciò che amo delle foto di Evelyn è proprio questo: l’eterno bilanciarsi tra reale e surreale, tra classico e avanguardista, tra segreto dell’inconscio e cruda rappresentazione della realtà.

“L’artista trasforma in opera d’arte la concezione sensibile della sua esperienza.” E.L.K

Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista

Evelyn, ti ho definita come “un’artista aliena”. Ti senti così? Come autodefiniresti il tuo approccio alla fotografia?

Le mie fotografie spesso non sono inserite nella realtà di tutti i giorni ma, in un certo senso, a volte finiscono per rifletterla. Forse si tratta di una illusione, ma un’illusione basata sulla verità.

“A beautiful picture is not enough for me anymore” hai detto in una passata intervista, la prima cosa che si può notare nei tuoi lavori è,infatti, un forte concetto di fondo, capace di generare emozioni ma, soprattutto, capace di stravolgere del tutto i canoni riguardanti la classica concezione di “bellezza”. La domanda sorge spontanea: cosa cerchi di trasmettere attraverso le tue forme, per così dire, anticonvenzionali?

– If eyes were made for seeing than beauty is its own excuse of being.- La bellezza è eterna nella sua esistenza e transitoria nella sua forma. Credo che la sua idea, come dici tu, sia molto soggettiva.
In quell’intervista dissi che un forte impatto estetico dell’immagine deve sempre venir accompagnato da forte concetto di fondo, devono lavorare assieme per la buona costruzione di un’opera. Io cerco di creare qualcosa che possa venir capito da chiunque voglia andare oltre l’apparenza.

Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista

Le nostre origini sono fondamentali, la base immutabile della persona che siamo. Ciò nonostante, viaggiare e conoscere nuove culture comporta l’aprire la mente a nuovi stimoli, che finiscono inevitabilmente per influenzare ciò che creiamo. In che modo le tue origini e i tuoi successivi scambi culturali, hanno influenzato ciò che fai?

Lo scambio culturale è una parte importante del mio lavoro e della mia visione estetica. Viaggiamo per conoscere altre culture, per farci influenzare da queste, ma, quando siamo all’estero, diventiamo allo stesso tempo molto più consapevoli delle nostre origini. A volte, è necessario prendere questa distanza al fine di osservare la realtà quotidiana con un nuovo interesse.
Sono cresciuta in Slovacchia dove alla gente molto spesso sceglie di dimenticare il proprio passato. In molti imitano l’estetica estera in materia di arte, moda e stile di vita (a parer mio, una scelta che raramente risulta essere di successo). Ho deciso di rompere questa tendenza facendomi ispirare totalmente dalla nostra vera storia, che purtroppo sembra essere poco attraente per la maggior parte giovani del mio paese. Esiste una bella citazione che dice: “Se non onoriamo il nostro passato rischiamo di perdere il nostro futuro. Se distruggiamo le nostre radici non possiamo crescere.”

“La creazione può essere dolorosa. Devi sentirla dentro di te. Quell’emozione è pura ispirazione.” Da dove trai la tua ispirazione, cosa riesce a stimolarti?

Tutto mi ispira quando ho occhi e mente ben aperti. Non basta guardare le cose, per vederle davvero. Il mondo può sembrare un posto vuoto per persone vuote, ma non è così. Credo che qualsiasi cosa possa diventare interessante se sacrifichiamo l’attenzione che serve per apprendere quello che è il vero fulcro. Se dovessi dare una risposta più specifica, ammiro molto i film di Andrzej Zulawski, la musica di Philip Glass, i dipinti di Egon Schiele e Theodore Gericault.

Come descriveresti il tuo approccio alla fotografia in tre parole?

Comunicazione, fascino, dipendenza.

Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista

Dai vita ad immagini che parlano e si raccontano, molto distanti dalle classiche foto patinate appartenenti al mondo della moda. Eppure, ho notato che hai avuto modo di lavorare anche per questo settore. Qual è il tuo rapporto con la moda? Come riesci a mantenere il tuo stile pur dovendoti, in un certo senso, “adattare” alle loro regole?

“Fashion” è un qualcosa da seguire, e io non ho intenzione di seguire la massa. Non ci credo. Sto realizzando sempre di più che è fondamentale scegliere il tipo di contenuto, ne deriverà l’effetto che il mio lavoro avrà nell’osservatore. È una grande responsabilità.
Detto ciò, la moda, anche se marginalmente, continua ad influenzare la mia estetica.
In futuro mi piacerebbe approcciarmi a qualcosa di molto più importante e interessante della sola bellezza ritratta.

Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista

Una delle caratteristiche delle tue immagini che amo di più è il saper rendere l’anticonvenzionale, a volte il vero e proprio difetto, come un qualcosa capace di generare emozioni, di far sussultare l’osservatore… così la donna in stampelle diventa una statua neoclassica, quella grassa un’avanguardia post Botero. In questo senso, cosa rappresenta per te l’imperfezione?

Hai centrato nel segno. Preferisco infatti l’estetica e la personalità insolita, non convenzionale. Mi piace catturare ciò che non può venir dimenticato facilmente. L’imperfezione è vita. Crea la diversità e la varietà nel mondo. Devo comunque ammettere che la mia idea di bellezza, o gusto personale, sotto vari aspetti non coincide con i canoni tradizionali. Considero tutte le mie modelle bellissime, e non le scelgo per le loro imperfezioni, ma per il loro look e carattere unico e stimolante.

L’atmosfera che crei, seppur si discosti molto dalla realtà, ha ben poco della fotografia onirica e sognante: è cruda, gelida, clinica. Queste caratteristiche sono presenti in ogni tuo lavoro, quasi fossero il tuo segno distintivo. Come mai hai scelto questo tipo di rappresentazione?

La location riflette in qualche modo un mood che viene inevitabilmente trasferito nella foto, per questo motivo impiego molto tempo per trovare il posto perfetto dove imbastire la scena. Appena lo vedo, lo riconosco immediatamente. Oltre ai parametri tecnici la cosa più importante è sentire l’energia di quello spazio. Voglio dire, è pura emozione, sai che qualcosa è accaduto proprio lì, ma non sai cosa. Tutto ciò alimenta la mia immaginazione più che mai.

Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista

Ecce Homo. Il nudo. I protagonisti, spogliandosi di ogni artificio, perdono la loro identità di singoli per plasmarsi agli altri, generando strutture umane malleabili, indefinite, intersecate, mentre tutto attorno è invece vuoto e asettico. Qual è l’obiettivo, l’emozione predominante che volevi scatenare nell’osservatore?

Questo progetto riguarda il concetto di “umanità”, semplificato nelle sue forme più basiche. Questa è la mia personale visione, che non mi aspetto sia quella giusta per tutti. Mi piace riflettere sull’idea che, nel momento in cui guardi una foto, sei qualcuno che sta guardando se stesso. Quindi vorrei rispondere: mi piacerebbe che le persone guardino se stesse attraverso le mie foto.

Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista
Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista

In ICON, i tuoi soggetti si rivelano quasi sempre singolarmente, diventando protagonisti assoluti dell’ambiente e dello scatto.
In questo progetto si può immaginare quanto dev’essere forte il tuo legame con loro.
Immagino sia molto difficile sceglierli e, ancor più arduo, trasmettere loro l’idea che hai in testa…

Nel progetto ICON ho voluto ritrarre donne sante e caratteristici personaggi della Bibbia. Facendolo, ho voluto comparare l’iconografia sacra con quella contemporanea per vedere cos’è cambiato nel nostro immaginario, con il passare degli eventi. In progetti come questo, dove il focus è su una persona, hai la possibilità di creare molta più intimità ed empatia, una buona connessione con i miei soggetti è cruciale. Ho bisogno di modelle e modelli davvero presenti, soprattutto mentalmente. L’emozione dev’essere lì, nella stanza, se poi voglio vederla nella foto. Il mio lavoro è principalmente una forte collaborazione.

Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista
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Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista
Aesthetic.al - Evelyn Bencicova - Intervista
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L’ultimo progetto, Asymptote, si discosta un po’ dagli altri, pur rimanendo fedele alla tua visione fotografica. Sono curiosa…

È una collaborazione con un mio caro amico, Adam Csoka Keller (come molti dei miei lavori). Questo progetto mira a connettere la nostra storia nazionale con la fotografia, il video e altre forme d’arte. Il progetto include molta ricerca e lavoro giornalistico, quindi per entrambi è una sfida: cerchiamo di plasmare contenuti storici e formali con la nostra visione estetica.

Riflettevo su questo: dato che, solitamente, ogni progetto viene generato da un’idea nata nella mente dell’artista, tutto questo processo finisce per raccontare l’identità di chi sta dietro l’obiettivo. Come se rappresentasse poi, in qualche modo, una sua autobiografia. In cosa, le tue foto, ti raccontano?

L’idea che ho in testa non nasce mai finita, precisa. È sempre un qualcosa che si sviluppa durante il lavoro. A volte ci vuole un po’ di tempo prima che io capisca a pieno la connessione tra il mio lavoro e il mio stato in quel momento. Ogni mio progetto è, in un certo senso, un autoritratto. Raccoglie i miei pensieri e li traduce in una “fotografia interna”. Il risultato finale è sempre diverso dalla mia visione originale, anche se dovessi programmare la scena nei minimi dettagli. Durante il set mi piace avere completa libertà, il giusto spazio per lasciar correre la mia creatività. So quello che voglio, ma il come arrivarci può cambiare o trasformarsi.

Ultima domanda, forse quella più difficile… Ho parlato di una visione quasi “avanguardista” della fotografia… ma se dovessimo parlare di te, come vedi Evelyn nel futuro?

Non riesco a vederla chiaramente. In questo momento della mia vita cerco di seguire la mia visione estetica e le mie idee, ma nulla è così sicuro. So di certo che voglio crescere. Voglio andare più in alto e allo stesso tempo più a fondo. Spero di non smettere mai di cercare ciò che non è ordinario e facile da trovare. Tutto risiede nell’andare oltre, nell’andare a fondo.

ENG VERSION

Take all beauty standards, its culturally and socially accepted meaning. Take them and throw them away. Aesthetic.al here it’s just quite an oxymoron.

I started this column with an artist I really like, because of her ability to perfectly describe how beauty is a subjective quality, starting from a conception that goes over its “culturally and socially accepted meaning”:the individual taste. Hers, is a different aesthetic vision indeed, alien, which doesn’t consider itself to be above the common vision because, simply, it doesn’t belong to our time.

Is it a bit of future? Evelyn is an alien, an alien “looking at a world which doesn’t belong to us”, but sometimes, through her shots, through the wonderful, strange, creatures she captures… she gives us a perfect vision.
So we reach a new world, made of cold atmospheres, clinics, populated by, surreal, pale bodies, playing with the Sacred and Profane.
We end up charmed before her imperfect creatures, finding strongness just in their imperfections, their personal and disarming beauty.

So we see a naked body with no gender, no age, no more status…it’s unarmed, shapeable, extraterrestrial. It becomes an architectural composition when it shapes into others entities becoming one creature.

An impermeable, clinic, ambient remains on the forefront of our minds where Evelyn says: “Something happened, but nobody know what exactly”.??What I really like of Evelyn pics is this: the eternal balance between real and unreal, classic and avantgarde, secret of unconscious and raw representation of reality.

Evelyn, I have defined you as an alien, who delights us with her representation of a surreal reality. Do you feel so? How you can define your approach to photography?

My pictures are often not imbedded in everyday reality but often they reflect it in a way. It may be an illusion but it is based on truth.

“A beautiful picture is not enough for me anymore” you said in a past interview,
In fact the first thing I notice in your work is a strong underlying concept, that is capable of generating emotions completely distorting the classical conception of beauty imposed by society. The question is: what do you want to communicate? What is, in your opinion, the beauty? It exists or not?

If eyes were made for seeing than beauty is its own excuse of being.-
Beauty is divine. It cannot be measured or explained.
Beauty is eternal in its existence and transient in its form. It has been redefined so many times and still doesn’t lose either meaning or importance.
My idea of beauty is very subjective.
In the interview I was speaking about my belief that strong visual aesthetics and powerful concept can work together rather than against each other. I’m trying to create something valuable for everybody and than understandable for anybody who is willing and able to go deeper.

Our origins, our culture, inevitably end up influencing all our activities. How, your origins, have influenced yours?

Cultural exchange is important part of my work and aesthetic. We are traveling in order to get to know other influences but in fact we are also becoming much more aware of our own origin and culture while being abroad. You need to get this kind of distance and outside perspective in order to observe everyday reality with new active interest. In this point I moved from passive acceptance to analyzing and searching for the reasons behind. I grew up in Slovakia where people often like to forget their past and rather accept ideals, which are not their own. This effort to cope with leading trends and imitate foreign aesthetics in the matter of art, fashion or lifestyle is rarely natural or successful. I decided to break this and to be inspired by our real history, which seemed to be so unattractive for most of young people from Slovakia. One beautiful quote is telling us: If we do not honor our past we lose the future. If we destroy our roots we cannot grow.

“Creation can be painful. You need to feel it inside of you. The feeling is the inspiration.” What ispire you?

Everything inspires me as long as I have my eyes and mind opened. It is not enough to look at the things in order to truly see them. World can seem to be an empty place for empty person but it is not. I believe that anything can be interesting if you sacrifice enough attention needed to get to know and understand the topic.
If you prefer more specific answer I admire movies of Andrzej Zulawski, music of Philip Glass, paintings by Egon Schiele or Theodore Gericault.

How would you describe your approach to photography in three words? 

Communication. Fascination. Addiction.

You generate images that tell people something, very far from the classic glossy photos from the world of fashion. Yet, I’ve noticed that you’ve got to work for that sector. What is your relationship with fashion? Is it difficult to maintain your style even if you have to accept “their rules”?

It depends on a definition of the word. “Fashion” is about following and I don’t want to follow and present something I don’t believe in. I’m realizing more and more that it is a responsibility to choose, what kind of content I will deliver with my work and how it can affect the viewer. On one side I like to create an illusion with all its beauty concentrated in one particular moment. On the other side the idea of putting the clothes or another product on the first place is not so suitable and challenging for me but fashion is still strongly influencing my aesthetics.
In the future I would love to deal with more important and interesting than picturing just beauty, if nothing more is behind it. That would be too easy.

One of the peculiarities of your images that I love the most is the strong concept behind, capable of generating emotions, shock the viewer, so the woman (women) on crutches almost becomes a statue and the fat woman a vanguard post Botero. What is, for you, the imperfection?

I prefer unusual, looks and personalities. I like to capture something what you cannot be forgotten so easily.
Imperfection is life. It creates diversity and variety of the world.
It has to be admitted that also I have a certain idea of beauty, which can be called taste even if it doesn’t fit traditional norms in many aspects. I consider all my models beautiful and didn’t choose them because of their imperfections but because of their unique look and/or character.

The atmosphere you create, even if it’s far from reality, it’s also not so close to the classic dreamy photography: it is raw, cold, almost clinical. These features are present in all your works, as if they were your hallmark. Why did you choose this type of representation?

It depends on a project. In ECCE HOMO I was searching for cold public spaces where people don’t behave like individuals anymore. For ASYMPTOTE I’m using places from socialistic era with real history. It is truth that a location is somehow representing certain state of mind, mood or atmosphere of the photo. I’m spending a lot of time with scouting for the right place where to imbed the idea and build a scene. If it is the right place I usually know it immediately. Besides few technical parameters the most important is to feel the energy of the space. I mean this feeling, that something happened there but you are never sure what was it. It usually activates my imagination more than anything else.

I firmly believe that each picture is generated from a precise idea born in the mind of the artist, then, in a sense, ends up telling the identity of those behind it. How your photos tells something about you?

The idea in my head is never born finished. Instead of precise idea it is just AN IDEA that develops in the process. I need to go through certain progress myself and sometimes it may take a while until I can fully understand connection between incurred work and my current state of mind or existence. Every work is an auto portrait in a way. It embodies my thoughts and thus creates something like my inner picture. Final result always differs from original vision even if I create the whole scene and plan a lot of details before. On set I like to have a freedom, which provides space for creativity and accident. I know what I want, but the way how to reach it can change and transform during the shooting.

“ECCE HOMO” The nude. Protagonists, stripping himself of all artifice, lose their individual identity to mold itself to the other, creating human structures malleable, indefinite, intersected, while all around is rather empty. What is the goal, the predominant emotion you wanted to trigger in the observer?

This project is about humanity, simplified to its most basic gestures and forms. This is my goal or explanation, which doesn’t need to be the right one for everybody. I actually like to play with the idea that every time you are looking on the pictures you are somehow looking at yourself. So I would answer: I want people to look at themselves through my photos.

ICON. Your subjects are revealed, almost always individually, and become the protagonists and main actors of the picture. In this project we see how strong your bond with them, I guess it’s very difficult to choose them and, even more difficult, transmit them the idea in your head. Tell me something about this.

In project ICON I wanted to portray female saints and strong characters from the bible. By doing so I’m trying to compare religious iconography with contemporary and see what changed in our imagery through the history.
In projects like this, when the focus is on a person there comes the possibility to create much more intimate atmosphere then during huge, precisely staged scenes. Good communication and connection between us is crucial. I need models to be really mentally present. The feeling must be there, in the room if I want to see it on the photo. I prefer to work with people, whom I know so I can be sure that they understand the project and their role in it. My work is always collaboration!

The latest project, “ASYMPTOTE ” differs a bit from others while is remaining close to your photographic vision. I’m curious…

It is collaboration with my close friend Adam Csoka Keller (as many of my works). This project is connecting our national history with photography, video and other art forms through which we are communicating this theme with wider audience. It includes a lot of research and journalist work so for both of us it is a challenge to process more serious, academic content and combine it with our visual aesthetics.

How do you see yourself in the future? What is the picture you have in mind if you close your eyes?

I know that I want to grow. I want to go higher and deeper. I hope to never stop believing in what I do and searching for what cannot be really found.

Aesthetic.al / Evelyn Bencicova – Alien observer
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Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Giulia Guido · 2 giorni fa · Photography

Quando fotografi americani o europei si spingono nel cuore dell’Africa tornano a casa con scatti bellissimi, ma che spesso non rispecchiano la realtà. Così ci siamo abituati a un volto del continente africano che certamente esiste, ma non è l’unico: pensando a paesi come il Ghana, la Nigeria, il Benin e molti altri ci vengono in mente immagini caratterizzate da colori cupi, poco saturi e legate a storie dall’accezione negativa. Forse è proprio per questo che le fotografie di Derrick Ofosu Boateng ci sorprendono talmente tanto da farci venire il dubbio che siano finte, che siano scattate su un set preparato ad hoc, da un’altra parte del mondo. Invece no. Classe 1999, Derrick Ofosu Boateng è nato in Ghana e oggi vive nella sua capitale, Accra, che qualche anno fa si è trasformata nel suo set personale, sempre pronto per la prossima fotografia. 

Al contrario di molti, che hanno iniziato con corsi in accademie o università, Boateng ha cominciato a scattare solo quando il padre, per supportare la sua passione, gli ha regalato un iPhone, che è diventato immediatamente il mezzo attraverso il quale restituire una visione personale del Ghana. Allontanandosi dall’immaginario comune, le fotografie di Derrick Boateng immortalano la vera anima del suo Paese formata dalle persone che lo vivono. 

Dimenticatevi i grigi perché i suoi scatti sono una vera e propria esplosione di colori, vibranti e iper-saturi, la migliore dimostrazione di quanto la fotografia possa essere pop. 
Quello di Boateng è un punto di vista diverso, e forse il punto di vista di cui avevamo bisogno, su una cultura e una terra troppo legate a una narrazione negativa creata da chi quella terra non la vive tutti i giorni e non la chiama casa.

ph. courtesy Derrick Boateng

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
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Ciò che viene nascosto

Ciò che viene nascosto

Giorgia Massari · 1 giorno fa · Photography

Le parole chiave di questo testo, ricorrenti e fondamentali per osservare le fotografie qui di seguito, si possono ritrovare nella fisicità, nell’orientamento sessuale, nel patriarcato e nella nudità. Ciò che questi termini, o meglio, questi macro-argomenti, hanno in comune è la penombra e, in alcuni casi, la totale assenza di luce. Con questi scatti e con questa riflessione, si ha l’intenzione di condurli fuori dal buio al quale spesso sono condannati. Illuminarli dunque, con la speranza che essi possano diventare temi condivisi e assorbiti nel tessuto sociale. Ciò che è vero e facilmente riscontrabile, è la difficoltà di affrontare determinati temi, soprattutto in relazione alla sfera femminile. Il corpo di una donna e come lei stessa si sente a riguardo, così come il suo orientamento sessuale, la sua posizione nella società o il suo stesso corpo nudo, sembrano essere ancora oggi temi disdicevoli o addirittura, in particolar modo in alcune società, proibiti e condannabili. Seppur una fetta della popolazione mondiale si stia muovendo in un’ottica di consapevolezza, accettazione e inclusione, questi temi non vengono mai del tutto sviscerati e trattati con la giusta attenzione. Attraverso la fotografia – e più in generale con l’arte – molte donne si sono espresse a riguardo. Qui sono le fotografe Giulia Frump, Leah DeVun, Rachel Feinstein e Despina Mikonati a parlarci di tutto ciò, con il loro sguardo femminile e intimo. 

Giulia Frump

Quattro fotografe distanti tra loro, in termini stilistici e contenutistici. Lontane geograficamente e anagraficamente, ma che trovano un loro punto di incontro nella volontà di urlare il loro desiderio di libertà al mondo. Osservando i loro scatti, emergono i quattro macro temi sopracitati, accomunati da un senso di liberazione e dalla volontà di rappresentare ciò che per secoli è stato nascosto. In Giulia Frump lo stereotipo del corpo femminile, l’ideale di perfezione del nostro secolo, viene superato da una danza di curve, linee morbide che si «adagiano in un abbraccio di pacificazione», come afferma la stessa fotografa. Lo stesso ricongiungimento con l’essenza del sé trova una particolare forma aurea negli scatti di Despina Mikoniati, che nel suo progetto Epilithic amalgama il corpo femminile con Madre Natura. «Madre Natura è colei che ci fa nascere e ci porta via. È la casa dei nostri corpi. Un luogo sicuro in cui esistere così come siamo», afferma Despina.

Despina Mikoniati

Se da un lato, Frump e Mikoniati indagano l’aspetto corporeo in relazione all’ambiente e al sé, le due fotografe Rachel Feinstein e Leah DeVun pongono la donna in stretto contatto con la sfera sociale che oggi abita. Feinstein affronta il tema universalmente, ragionando sul patriarcato e sullo spazio che le donne occupano nella società odierna. Ancora di più, la fotografa riflette sul modo in cui le donne vengono viste e rappresentate dallo sguardo maschile, facendo un particolare riferimento alla cinematografia degli anni Quaranta e Cinquanta, nel quale la condizione casalinga era particolarmente evidente. In questo senso, Rachel gioca su questi elementi, inserendo nei suoi scatti oggetti legati alla sfera femminile – quali il ferro da stiro, i tacchi, il tacchino arrosto su una tavola imbandita – ed esalta la condizione di reclusione domestica. La sua intenzione è quella di creare un disagio negli occhi di chi guarda, con l’obiettivo «di portare l’attenzione sui piccoli momenti che costituiscono l’esperienza femminile più ampia e di incoraggiare conversazioni che ispirino il cambiamento.»

Rachel Feinstein

Leah DeVun, invece, sceglie di rappresentare un gruppo specifico di donne che da questo tipo di società ha scelto di evadere. Sono i gruppi di donne lesbiche che, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, ma anche oggi, hanno deciso di formare comunità utopiche e rivoluzionarie per portare avanti la liberazione del genere femminile. La ricerca di DeVun è volta a riscoprire queste comunità, taciute e nascoste, che costituiscono luoghi di grande creatività e cultura. «La visibilità è fondamentale per qualsiasi comunità, ma le lesbiche hanno subìto molte cancellazioni storiche e mancanza di rappresentazione» – afferma Leah DeVun, aggiungendo – «non vediamo abbastanza immagini di lesbiche o non conosciamo la storia delle lesbiche. Nelle comuni, le donne fotografe cercavano di contrastare questa invisibilità creando le loro immagini della vita lesbica, e anch’io sto cercando di farlo con il mio lavoro.»

Leah DeVun

Seguendo il fil rouge che unisce le quattro protagoniste di questo testo, si scoprono altrettanti artisti che oggi scelgono di affrontare discorsi considerati ostici e complessi, con l’intenzione di svicerarli fino a ridurli all’osso. Per cucirli, dunque, all’interno del tessuto della normalità, per non considerarli più temi altri, ma parte dell’ordinario flusso sociale.

Despina Mikoniati

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Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Anna Frattini · 9 ore fa · Photography

Nel mondo della fotografia di moda, dove la perfezione e la giovinezza vengono spesso messe al primo posto, Celine van Heel si distingue come una fotografa che abbraccia l’autenticità e l’unicità. Nata ad Atene e di origine spagnola e olandese, il viaggio di Celine nella fotografia è iniziato solo tre anni fa, ispirata da suo nonno che a 91 anni è anche diventato uno dei suoi soggetti. La sua bravura nel catturare momenti estremi ed esagerati l’ha portata a realizzare immagini che sfidano le norme convenzionali della fotografia di moda per come la conosciamo. Ma come si intrecciano le fotografie di Celine Van Heel con la fotografia di moda?

La magia degli scatti di Celine van Heel sta sicuramente nella sua visione distintiva che celebra individualità e inclusività. Il percorso di Celine nel mondo della fotografia ha preso una svolta a partire dalla sua avventura con “The Spanish King”, un account Instagram dove decide di condividere fotografie che ritraggono suo nonno come modello. Attraverso questo approccio, la fotografa ha iniziato un viaggio alla scoperta della bellezza delle rughe e dell’invecchiamento, dimostrando come l’età non dovrebbe mai essere un fattore limitante, neanche nella fotografia

Gli scatti di Celine non potevano che essere notati da prestigiose riviste come Vogue, GQ e L’Officiel. Queste collaborazioni dimostrano che modelli non convenzionali possono lanciare messaggi altrettanto potenti e ispirare cambiamenti all’interno di un settore così complesso come quello della moda. Celine crede nell’uso della fotografia di moda come strumento utile al cambiamento, incoraggiando l’industria a ridefinire i suoi standard e ad abbracciare la diversità, indipendentemente dall’età o dall’aspetto dei modelli. 

Il processo creativo di Celine Van Heel si intreccia con la fotografia di moda in modo autentico, liberatorio e d’impatto. La sua decisione di presentare suo nonno come modello sfida le nozioni di bellezza ed età all’interno del settore. Attraverso il suo lavoro, incoraggia la moda ad abbracciare diversità e unicità, fornendo agli individui tutti gli strumenti per sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Con il suo audace uso del colore e dell’estro creativo, le immagini di Celine vanno oltre la fotografia di moda convenzionale, trasformandola in una forma d’arte vera e propria.

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Courtesy Celine Van Heel

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Cinque foto scattate al momento giusto

Cinque foto scattate al momento giusto

Collater.al Contributors · 5 giorni fa · Photography

Il tempismo è tutto. Lo sanno bene i fotografi street che passano ore ad aspettare il momento giusto per realizzare uno scatto sensazionale. Per creare una composizione che agli occhi del pubblico potrebbe sembrare “fortunata” e casuale. In realtà, dietro questi scatti c’è uno straordinario sincronismo tra occhio, mente e macchina fotografica. Oggi abbiamo selezionato cinque scatti per esplorare l’abilità di questi fotografi, testimoniando come abbiano saputo cogliere istanti fugaci che trasformano una semplice immagine in una storia senza tempo.

#1 Lorenzo Catena

© Lorenzo Catena

#2 Dimpy Bhalotia

© Dimpy Bhalotia

#3 Giuseppe Scianna

© Giuseppe Scianna

#4 Federico Verzi

© Federico Verzi

#5 Andrea Torrei

© Andrea Torrei

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Giuseppe Scianna
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Selezione di Andrés Juan Suarez

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Cinque foto scattate al momento giusto
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