Negli ultimi anni, complice la nascita di social come OnlyFans, il lavoro di sex worker si è ormai ampiamente diffuso e, in qualche modo, è stato normalizzato. Assorbito nel tessuto culturale occidentale e non, fino a diventare qualcosa che quasi passa inosservato. Non ci stupiremmo nello scoprire che la nostra vicina di casa possiede un account OF, per esempio. Quindici anni fa non era così. Facciamo un salto temporale, siamo nell’ormai lontano 2008 e i social network erano appena nati. La versione dell’OnlyFanser di un tempo era la webcam girl. Anita Dadà era una di loro, una delle poche. Abbiamo deciso di incontrarla e di scoprire come da sex worker sia diventata un’artista – anche se a lei non piace definirsi così, nonostante il suo codice ATECO dica il contrario – o meglio, una fotografa, scrittrice e sceneggiatrice erotica.

Il passaggio dalla webcam alle gallerie
Il passaggio da camgirl a fotografa è stato fluido, quasi spontaneo, ci racconta Anita. «Per attirare l’attenzione di possibili clienti avevo la necessità di realizzare scatti interessanti. Senza neanche saperlo, mi occupavo di parzialismi sessuali, in quanto il mio focus era il dettaglio corporeo, come i piedi per esempio. Il volto non appariva mai nei miei scatti, come per la maggior parte delle camgirls.» Questi scatti, che già in principio avevano uno sguardo artistico e un taglio fotografico molto social, erano associati a un nickname al quanto singolare. «Il mio pseudonimo era Filosofia e questo, insieme ai miei particolari scatti, incuriosiva una nicchia di clienti, quella dei creativi come scrittori e sceneggiatori. Persone con un certo spessore culturale, interessati a questo mio lato artistico.» Da qui, il passaparola tra i creativi e la presenza su piattaforme come Tumblr e Flickr, hanno portato Anita a lasciare lo schermo del computer e ad approdare negli spazi espositivi e nelle case di collezionisti interessati all’erotica. La critica internazionale ha saputo accogliere con entusiasmo il suo lavoro, pubblicandola su importanti magazine e definendo la sua estetica una “erotizzazione del quotidiano“.

Un modello di libertà non cercato
Il successo di Anita Dadà l’ha inevitabilmente resa un modello di libertà femminile, che in realtà lei non ha mai voluto essere. O meglio, la sua intenzione non era di certo quella. Parlando con lei è evidente come Anita sia totalmente a suo agio in questo personaggio. Una ragazza che oggi definiremmo assolutamente una bold type. Incurante delle critiche – che sono state tante – e convinta che «chi è veramente libero non ha bisogno di fare proclami.» Questo ruolo attribuitole non le sta stretto, anzi Anita stessa ci spiega: «Io non lo rinnego, ma non nasco per dire “guardatemi mostro il culo perché sono libera”. Mostro il culo punto e basta. Sono stata di ispirazione per tante donne e questo mi fa molto piacere ma con me non deve esserci moralismo. Soprattutto perché il mio scopo è rappresentare il corpo che desidera altri corpi, il corpo desiderante che vuole essere sessualizzato. Se c’è un messaggio che voglio veicolare è sì la libertà, ma attraverso quello che rappresento. Non sono manifesto di libertà».

L’arrivo nelle librerie e non solo
Come la sua personalità, il processo creativo di Anita Dadà è al quanto singolare. «Le mie fotografie le scrivo, proprio letteralmente.» – ci spiega – «Immagino uno scenario e lo scrivo. Il secondo passaggio avviene all’aperto. Un quarto della mia giornata lo passo a camminare per Roma in cerca di scenari che si avvicinino quanto più possibile a quelli che ho immaginato». Inutile dire che questo approccio testuale ha condotto Anita al mondo della sceneggiatura. Per tanti anni è stata, ed è, produttrice di video clip fetish, sceneggiatrice di porno d’autore e autrice di podcast sul sesso (come quello in uscita con Asia Argento), servendosi dello stesso immaginario delle sue fotografie nelle quali è fortemente presente il concetto di feticismo. Piedi, scarpe, glutei e persino palloncini. Da qui, con la trasposizione dall’immagine alla scrittura, arriviamo poi all’uscita del suo primo libro, intitolato Miss Stress e pubblicato nel 2021 da Fandango.

«Miss Stress è un autofiction.» spiega Anita, «La protagonista è una ragazza che lavora in una galleria d’arte e di notte fa la dominatrice sessuale. Nel romanzo ho usato tutte le rappresentazioni delle mie fotografie. Il feticismo è molto presente. L’estetica della protagonista rispecchia il mio immaginario. È una ragazza acqua e sapone, in tuta e sneakers con accessori di Hello Kitty. La classica misstress con il frustino non mi piace.» Il successo del romanzo ha attirato l’attenzione del noto sceneggiatore Nicola Guaglianone che, per quanto ne sappiamo, renderà il suo Miss Stress un soggetto cinematografico. Insomma, Anita Dadà – intenzionalmente e non – ha contribuito a rendere il sesso un argomento “meno tabù”, aggiungendo un pizzico di tenerezza che, a seconda della sensibilità di chi guarda, può essere colta nei suoi scatti.











Courtesy Anita Dadà