Anita Dadà, da sex worker a fotografa e sceneggiatrice erotica 

Anita Dadà, da sex worker a fotografa e sceneggiatrice erotica 

Giorgia Massari · 1 mese fa · Photography

Negli ultimi anni, complice la nascita di social come OnlyFans, il lavoro di sex worker si è ormai ampiamente diffuso e, in qualche modo, è stato normalizzato. Assorbito nel tessuto culturale occidentale e non, fino a diventare qualcosa che quasi passa inosservato. Non ci stupiremmo nello scoprire che la nostra vicina di casa possiede un account OF, per esempio. Quindici anni fa non era così. Facciamo un salto temporale, siamo nell’ormai lontano 2008 e i social network erano appena nati. La versione dell’OnlyFanser di un tempo era la webcam girl. Anita Dadà era una di loro, una delle poche. Abbiamo deciso di incontrarla e di scoprire come da sex worker sia diventata un’artista – anche se a lei non piace definirsi così, nonostante il suo codice ATECO dica il contrario – o meglio, una fotografa, scrittrice e sceneggiatrice erotica. 

Il passaggio dalla webcam alle gallerie

Il passaggio da camgirl a fotografa è stato fluido, quasi spontaneo, ci racconta Anita. «Per attirare l’attenzione di possibili clienti avevo la necessità di realizzare scatti interessanti. Senza neanche saperlo, mi occupavo di parzialismi sessuali, in quanto il mio focus era il dettaglio corporeo, come i piedi per esempio. Il volto non appariva mai nei miei scatti, come per la maggior parte delle camgirls.» Questi scatti, che già in principio avevano uno sguardo artistico e un taglio fotografico molto social, erano associati a un nickname al quanto singolare. «Il mio pseudonimo era Filosofia e questo, insieme ai miei particolari scatti, incuriosiva una nicchia di clienti, quella dei creativi come scrittori e sceneggiatori. Persone con un certo spessore culturale, interessati a questo mio lato artistico.» Da qui, il passaparola tra i creativi e la presenza su piattaforme come Tumblr e Flickr, hanno portato Anita a lasciare lo schermo del computer e ad approdare negli spazi espositivi e nelle case di collezionisti interessati all’erotica. La critica internazionale ha saputo accogliere con entusiasmo il suo lavoro, pubblicandola su importanti magazine e definendo la sua estetica una “erotizzazione del quotidiano“.

Un modello di libertà non cercato

Il successo di Anita Dadà l’ha inevitabilmente resa un modello di libertà femminile, che in realtà lei non ha mai voluto essere. O meglio, la sua intenzione non era di certo quella. Parlando con lei è evidente come Anita sia totalmente a suo agio in questo personaggio. Una ragazza che oggi definiremmo assolutamente una bold type. Incurante delle critiche – che sono state tante – e convinta che «chi è veramente libero non ha bisogno di fare proclami.» Questo ruolo attribuitole non le sta stretto, anzi Anita stessa ci spiega: «Io non lo rinnego, ma non nasco per dire “guardatemi mostro il culo perché sono libera”. Mostro il culo punto e basta. Sono stata di ispirazione per tante donne e questo mi fa molto piacere ma con me non deve esserci moralismo. Soprattutto perché il mio scopo è rappresentare il corpo che desidera altri corpi, il corpo desiderante che vuole essere sessualizzato. Se c’è un messaggio che voglio veicolare è sì la libertà, ma attraverso quello che rappresento. Non sono manifesto di libertà».

L’arrivo nelle librerie e non solo

Come la sua personalità, il processo creativo di Anita Dadà è al quanto singolare. «Le mie fotografie le scrivo, proprio letteralmente.» – ci spiega – «Immagino uno scenario e lo scrivo. Il secondo passaggio avviene all’aperto. Un quarto della mia giornata lo passo a camminare per Roma in cerca di scenari che si avvicinino quanto più possibile a quelli che ho immaginato». Inutile dire che questo approccio testuale ha condotto Anita al mondo della sceneggiatura. Per tanti anni è stata, ed è, produttrice di video clip fetish, sceneggiatrice di porno d’autore e autrice di podcast sul sesso (come quello in uscita con Asia Argento), servendosi dello stesso immaginario delle sue fotografie nelle quali è fortemente presente il concetto di feticismo. Piedi, scarpe, glutei e persino palloncini. Da qui, con la trasposizione dall’immagine alla scrittura, arriviamo poi all’uscita del suo primo libro, intitolato Miss Stress e pubblicato nel 2021 da Fandango.

«Miss Stress è un autofiction.» spiega Anita, «La protagonista è una ragazza che lavora in una galleria d’arte e di notte fa la dominatrice sessuale. Nel romanzo ho usato tutte le rappresentazioni delle mie fotografie. Il feticismo è molto presente. L’estetica della protagonista rispecchia il mio immaginario. È una ragazza acqua e sapone, in tuta e sneakers con accessori di Hello Kitty. La classica misstress con il frustino non mi piace.» Il successo del romanzo ha attirato l’attenzione del noto sceneggiatore Nicola Guaglianone che, per quanto ne sappiamo, renderà il suo Miss Stress un soggetto cinematografico. Insomma, Anita Dadà – intenzionalmente e non – ha contribuito a rendere il sesso un argomento “meno tabù”, aggiungendo un pizzico di tenerezza che, a seconda della sensibilità di chi guarda, può essere colta nei suoi scatti.

Courtesy Anita Dadà

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Photography
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Gabriele Stabile rivela il suo archivio fotografico

Gabriele Stabile rivela il suo archivio fotografico

Collater.al Contributors · 1 mese fa · Photography

Swim till I Sank è la nuova mostra dell’artista fotoreporter Gabriele Stabile che offre uno sguardo inedito sul suo archivio fotografico. Dopo anni di lavoro come fotoreporter in giro per il mondo, partendo dall’Italia fino ad arrivare negli Stati Uniti, in Medio Oriente e in Nord Africa, Stabile ha deciso di ritornare alle sue radici, riappropriandosi delle sue stesse immagini. L’esposizione – aperta fino al 25 novembre presso la galleria Micamera di Milano – presenta una serie di opere uniche, frutto della rielaborazione del suo archivio fotografico.

L’artista offre l’occasione di riflettere sulla natura mutevole della memoria e della percezione. «Non riuscivo più a guardarle così com’erano» – racconta Stabile parlando delle sue fotografie – «andavo in un posto come Gaza o Lampedusa e passavo del tempo negli ospedali, nelle carceri, dove incontravo le persone e instauravo un rapporto con loro in situazioni troppo complesse per essere raccontate appieno in un contesto editoriale. Quando e se pubblicate, le fotografie si inserivano in una narrazione specifica e mantenevano l’attenzione per pochi secondi, mentre nella mia vita quegli incontri avevano un peso enorme.» Per questo motivo, Stabile decide di riportare in vita le immagini che il ciclo delle notizie ha consumato, servendosi della pittura e creando più strati, ottenendo un risultato al quanto personale, intimo e allo stesso tempo dinamico e vitale.

 
 
 
 
 
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5 fotografie di scena (Halloween Edition)

5 fotografie di scena (Halloween Edition)

Anna Frattini · 1 mese fa · Photography

Che differenza c’è fra la fotografia di un film (per interderci, quella dei direttori della fotografia) e la fotografia di scena? Nel primo caso si tratta della creazione di immagini in movimento all’interno di un film mentre nel secondo si tratta di fotografie fisse scattate durante la produzione di un film. La fotografia di scena, nello specifico, richiede competenze diverse alla fotografia di un film in quanto l’obiettivo è quello di catturare immagini statiche che raccontano la storia o catturano l’essenza delle scene, sbirciando ciò che accade dietro le quinte ma non solo. Le fotografie di scena si realizzano prima o dopo le scene, durante la preparazione di determinate sequenze o in altri momenti della produzione e posssono mostrare gli attori nei contesti con gli atteggiamenti simili a quelli che appariranno nel film. Oggi sono proprio queste le immagini che ci interessano e abbiamo deciso di selezionare le nostre cinque fotografie di scena preferite. Tutte tratte da film perfetti da guardare in questa spooky season. Da Frankenstein fino ad American Horror Story.

Frankenstein (1931), diretto da James Whale

film halloween
© 1931 Universal

Nightmare – Dal profondo della notte (1984), diretto da Wes Craven

film halloween
Foto di Melissa Moseley – © 1984 – New Line Cinema Entertainment, Inc.

Dark Shadows (2012), diretto da Tim Burton

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Foto di Peter Mountain – © 2012 Warner Bros. Entertainment Inc.

American Horror Story: Hotel (2015)

Joker (2019), diretto da Todd Phillips

5 fotografie di scena (Halloween Edition)
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Le impressioni di New York di Aleksandr Babarikin

Le impressioni di New York di Aleksandr Babarikin

Tommaso Berra · 1 mese fa · Photography

Da più di un anno Aleksandr Babarikin si è trasferito a New York, di lavoro fa il software engineer ma voleva cercare uno strumento per capire a pieno gli abitanti della città, i suoi ritmi e più in generale il contesto di un mondo molto diverso da quello bielorusso, nazione in cui è nato.
La fotografia per Aleksandr Babarikin è quindi un hobby, le sue impressioni di New York sono molto forti e l’aspetto interessante è nella sua scelta di intendere lo strumento non come una conoscenza approfondita, non come uno studio esaustivo della realtà che lo circonda, piuttosto come una raccolta di sensazioni, come accade nelle prime fasi di qualunque conoscenza.
Il concetto di “impressione” di New York è resa visivamente chiara attraverso le sfumature che uniformano tutta la scena scattata da Babarikin. I soggetti si mischiano con lo sfondo, le ombre della città, i taxi e la scenografia di cemento sono mosse, come instabili e inafferrabili, forse un “impressione” che è già certezza.

Courtesy Aleksandr Babarikin

Le impressioni di New York di Aleksandr Babarikin
Photography
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A Milano c’è una galleria minuscola

A Milano c’è una galleria minuscola

Anna Frattini · 4 settimane fa · Design, Photography

In Corso di Porta Vittoria, nel centro di Milano, c’è una galleria di 7 metri quadri che dedica la sua ricerca alla cultura visiva contemporanea e al mondo del progetto. Il nome è significativo: Small Small Space. Un luogo curioso che si contraddistingue per spazi estremamente ridotti e soluzioni espositive sicuramente fuori dal comune per quanto inedite. Nato quest’anno da un’idea di Michele Foti, le mostre in programma – curate insieme a Layuhl Jang – hanno tutte un respiro internazionale focalizzandosi anche su narrazioni trasversali. Un’altra caratteristica molto curiosa sta nella possibilità di fruire delle mostre sia da fuori che su appuntamento per entrare dentro alla spazio.

L’obiettivo di Small Small Space sta nell’avvicinare (letteralmente) il suo pubblico al mondo della fotografia contemporanea e a tutto ciò che la circonda. Tutto anche con il supporto di una vasta selezione di libri, stampe e oggetti di design, anche grazie alla collaborazione con book-shop, magazine e case editrici . Un luogo ibridoal confine tra galleria e project space – dove si incontrano discipline vicinissime tra loro trovando nella contaminazione uno spazio di ricerca e approfondimento.

Lo spazio ha aperto le porte al pubblico nel maggio 2023 con una mostra dedicata al primo numero di Parklife, una pubblicazione indipendente edita da Continente Editions e a cura di Paola Ristoldo e Alessandro Furchino Capria. Mentre ad ottobre 2023 ha inaugurato Golfi verdi e parquet Panga Panga. Milano San Felice a cura di Elisa Di Nofa e Francesco Paleari. Una vera e propria ricerca sul quartiere di Milano di cui abbiamo già parlato qui. Insomma, uno spazio che ospita progetti interessanti e continuerà a farlo con progetti trasversali fra fotografia, arte, design e moda.

ph. courtesy Federico Torra, Marcello Maranzan, Giacomo Colombo

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