Nel cuore dell’Egitto, seguendo l’andamento del Nilo, si sviluppa una delle regioni più povere e popolose del Paese. Si chiama Minya – prendendo il nome dal suo capoluogo – e oltre ad essere la casa di oltre 4 milioni di persone accoglie le più grandi cave di calcare egiziane che danno lavoro alla maggior parte degli uomini e degli adolescenti. Lo scenario che offrono le cave di Minya è unico al mondo: sotto al sole cocente e alle alte temperature del deserto del Sahara si staglia un’immensa distesa di pietra bianca che riesce a dare vita a un paesaggio quasi lunare. Affascinato da queso luogo, dai suoi colori e dal suo fascino mortale, il fotografo Nader Saadallah ci ha trascorso un po’ di tempo, immortalando i volti dei minatori e testimoniando le fasi in cui si divide il processo di estrazione.
Innanzitutto bisogna provvedere all’equalizzazione della montagna utilizzando argani e picchi; poi si passa alla modellatura e alla divisione della pietra in blocchi effettuata con una macchina chiamata “El fasalah”; la terza fase prevede l’estrazione attraverso uno specifico macchinario detto “El hashasha; infine, si arriva al riempimento dei veicoli pronti per il trasporto. Ciascuna di queste fasi nasconde insidie e rischi ai quali i minatori egiziani non sono adeguatamente preparati o attrezzati, presupposto che trasforma quotidianamente il loro lavoro in una continua battaglia contro incidenti mortali.
Le fotografie di Nader Saadallah hanno la forza di catturare tutto ciò: la polvere bianca del calcare avvolge inesorabilmente ogni cosa e riempie l’aria, rendendo impossibile vedere il cielo e coprendo la pelle scura dei minatori. Cosa rimane impresso nello spettatore? Gli sguardi, gli occhi dei lavoratori che raccontano ciò che non riusciamo a vedere nelle immagini.
















