Luogo di transito per eccellenza, la metropolitana rappresenta il punto di convergenza inconsapevole di centinaia di mondi che, nel tempo di un viaggio, condividono uno spazio e un tempo infinitamente limitato rispetto a un’intera esistenza. Eppure, questo microcosmo, soprattutto per chi si sposta in metropolitana quotidianamente, diventa estremamente familiare, un concentrato di ricorrenze, rituali e ritmi spesso vissuti in maniera automatica.
Con la stessa identica luce, negli orari di apertura ogni azione si ripete uguale a se stessa, vittima di un’alienazione interrotta solo da alcuni sguardi attenti, capaci di cogliere la magia (e anche l’ironia) della quotidianità.
Così, l’immagine fotografica diventa il mezzo ideale per catturare la vera essenza della metropolitana, fatta in realtà di centinaia di piccole sfaccettature e momenti di pura poesia o divertimento.
A questa sono dedicati migliaia di post su Instagram, il social che più di tutti consente di condividere con immediatezza la fugacità di un attimo irripetibile e accecante nella monotonia di giornate sempre uguali: nulla come Instagram contribuisce a creare immaginari visuali condivisi di luoghi, eventi o persone.
In questo primo appuntamento, Dialogica vuole porre in dialogo due account Instagram, che trovano il proprio habitat nella metropolitana per eccellenza, quella newyorkese, seppur con due ricerche estremamente differenti.
Subwaycreatures è un profilo seriale in cui l’autore Rick McGuire raccoglie contributi fotografici e video di migliaia di passeggeri capaci di catturare i momenti più divertenti e bizzarri che si verificano in metropolitana. La pagina, attiva dal 2013, è diventata in pochissimo tempo un fenomeno social e rappresenta uno dei collettori più importanti di immagini sulla metropolitana di New York City.
Nessuna attenzione per la composizione, per le inquadrature o i colori: viene così a crearsi una ricerca visiva indipendente che non teme ciò che convenzionalmente viene definito “brutto” e si distacca da una visione predefinita sia dal punto di vista formale che di contenuto.
Reale protagonista di ogni contributo sono infatti unicamente le “creature” (quasi fantastiche) che ogni giorno popolano la metropolitana. Ogni carosello raccoglie immagini e/o video collegati tra loro dallo stesso tema: scrollando il feed, non sarà difficile imbattersi nei migliori e strambi travestimenti incontrati in metropolitana, o in una selezione di cani trasportati in borse o buste di plastica (per legge, sulle metropolitane newyorkesi possono viaggiare solo i “cani da borsetta”).
Di un’estetica totalmente diversa è invece il profilo Subwayhands, progetto ideato e creato dalla fotografa Hannah Ryan che dedica questo account una delle parti più comunicative del nostro corpo: le mani.
Le mani raccontano in modo onesto e sincero i nostri stati d’animo, non mentono e parlano più di quanto possiamo immaginare, ed è per questo che Hannah ha iniziato a fotografarle. Mani che si intrecciano, mani che sfogliano, mani che stringono oggetti, mani guantate, curate o rovinate: ogni mano diventa un mondo, una sineddoche che esplora sentimenti, relazioni, situazioni e storie e diventa il calcio d’inizio per immaginare racconti fantastici.
C’è poesia, cura e omogeneità in questi scatti, realizzati a una distanza abbastanza ravvicinata da suggerire con chiarezza il luogo in cui si è (complice una luce artificiale fredda che non si nasconde, bensì enfatizza la scena), ma non troppo da rompere la magia del momento.
Con discrezione e delicatezza, Hanna fotografa mani singole, coppie o gruppi di mani, senza mai svelare i volti delle persone cui appartengono: l’intento è suggerire storie, raccontare l’universalità della prossemica e la poesia della quotidianità.
Come le mani che reggono il cartello “Will you marry me?” raccontano la storia personale di una proposta di matrimonio (conclusasi con un sì da parte della sposa, come apprendiamo dai commenti al post), così altre più datate testimoniano eventi collettivi epocali, come la protesta #blacklivesmatter o ancora il periodo pandemico durante il quale le mani venivano protette da guanti o altri espedienti per non entrare in contatto con le superfici.
L’occhio del fotografo, che sia un professionista o un amatore, restituisce una cartografia variegata ed eterogenea di un mondo altro che vive sottoterra, lontano dalle regole e distinzioni sociali che regolano il mondo di superficie: tutti questi sguardi, invitano anche noi a guardare con più attenzione i dettagli durante i nostri viaggi.