Nel lavoro di François-Marie Banier, cè sempre un grande attrazione per i suoi soggetti e una certa ansia famelica nello svelare le loro personalità. Forme plastiche che talvolta si deformano in un sorriso, in un ghigno, lasciando indovinare l’intimità di un carattere.
“Come non ho potuto impedirmi di nascere, così non posso impedirmi di scrivere, di disegnare […] una fotografia è una lotta con la verità, con unemozione, una lotta di una frazione di secondo […] la mia pittura non è che me stesso allora tutta la libertà mi è concessa […]fotografare è scrivere per leternità un viso, un corpo.”
Alcune stampe inquinate dalla presenza di parole scritte riecheggiano la scrittura automatica di stampo surrealista, una scrittura con la quale inventa, attraverso la creazione di un linguaggio personale, un mondo composto di parole e immagini, legato alle esperienze del passato e del presente, ideato per ritirarsi da una situazione familiare difficile. Dipinge su foto in bianco e nero e a colori credendo fermamente di non essere lui ad avere lultima parola ma colui che guarda.
“Io non fotografo io prendo. Prendo tutto ciò che c’è da prendere. L’omino, la signora, il cane, il bambino, anche le betoniere. Mi attira il racconto che indovino dietro ogni essere, quella complessità inestricabile dalla quale debbono uscire per esistere”.
Il fotografo, ma anche scrittore, sembra essere attratto, in particolare, dalluniversalità dei sentimenti che siano di dolore, seduzione, degradazione perchè Ognuno è a un centimetro dal perdere la testa, basta guardarlo. Basta prenderlo.
Parigi è la città per eccellenza in cui lautore si muove, ma potrebbe essere ovunque e altrove: il contesto non è fondamentale, è la bellezza il contenuto e il contenitore: La bellezza è laltro. Laltro a tutto tondo. Laltro epurato da qualsiasi cliché, da ogni pregiudizio, spesso intrappolato tra le grinfie duna società che lo comprime e che non riesce a capire.
E non c’é niente da capire