Game of Thrones 8: l’analisi completa del secondo episodio “A Knight of the Seven Kingdoms”

Game of Thrones 8: l’analisi completa del secondo episodio “A Knight of the Seven Kingdoms”

Giulia Guido · 4 anni fa · Art

So che avete ancora i fazzoletti in mano e che anche voi state pensando che dopo tutti questi abbracci e questi momenti collettivi dalla prossima puntata dovremmo dire addio ad alcuni dei nostri eroi preferiti, ma per ora iniziamo a guardare più attentamente il secondo episodio, intitolato “A Knight of the Seven Kingdoms”, dell’ottava stagione di Game of Thrones.

Innanzi tutto bisogna notare che è la prima volta che siamo davanti a un episodio interamente ambientato in un luogo solo, a Grande Inverno, il che ci dà un senso di protezione, di casa. Ma andiamo avanti…

La sigla

Ormai, dopo sette stagioni abbiamo capito che la sigla è di fondamentale importanza. In questo secondo episodio notiamo solo due piccole differenze rispetto al primo. Innanzitutto, Last Hearth, il castello di Casa Umber in cui, nella scorsa puntata, abbiamo ritrovato Tormund e Beric, lo vediamo circondato da piastrelle color ghiaccio, segno che gli Estranei sono arrivati fin lì. 

Poi, spostandosi verso Grande Inverno, vediamo la roccaforte degli Stark pronta per la battaglia, con tanto di trincee che circondano tutto il Castello. 

game of thrones 8 a night of the seven kingdoms | Collater.al 3
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Jaime e Brienne 

Veri protagonisti di questa puntata sono proprio Jaime Lannister e Brienne di Tarth e sono tre le scene fondamentali che dobbiamo analizzare più accuratamente. 

La prima è quella iniziale con cui si apre la puntata, Jaime è davanti a Daenerys, Jon, Sansa e tutti glia altri ed è chiamato a spiegare la sua decisione di abbandonare Cersei e unirsi alla causa di Grande Inverno. Il personaggio è forse uno dei pochi che ha avuto un drastico cambiamento rispetto all’inizio della serie. Ve lo ricordate quando arrivò per la prima volta nel Castello degli Stark?! Ora vediamo un Jaime profondamente pentito e la sua unica risposta alla madre dei draghi, ovvero “Perché questa volta va oltre la lealtà. Si tratta di sopravvivenza.” ricorda le parole che Brienne gli disse a Dragonpit “Oh, al diavolo la lealtà. Questo va oltre le casate, l’onoro e i giuramenti”. 

Nonostante ciò, Daenerys non sembra ancora convinta, ma per fortuna a schierarsi con lo sterminatore di Re è proprio Brienne, che riesce a persuadere Sansa. 

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Il pentimento di Jaime arriva a tal punto da chiedere umilmente perdono anche a Bran, altro personaggio che è completamente distante dal piccolo bambino della prima stagione.

La seconda scena importante è quando, fuori dalle mura, Jaime e Brienne parlano e ognuno ha in mano la propria spada. Ricordiamo quindi che le due spade furono forgiate fondendo Ghiaccio, ovvero quella di acciaio di Valyria di Ned Stark, quando gli venne prelevata dopo essere stato arrestato ad Approdo del Re. 

Le due spade, volute da Tywin Lannister vennero date in dono una a Jaime, che poi a sua volta la diede a Brienne, e l’altra a Re Joffrey che, dopo la sua morte, venne presa proprio dallo sterminatore di Re. 

Così, con Jaime e Brienne insieme a Grande Inverno, è come se Ghiaccio fosse tornata a casa. 

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La terza e, forse più importante, è quella da cui prende il nome il titolo dell’episodio, ovvero quella della nomina a cavaliere di Brienne da parte di Jaime. 

Questa scena fa riferimento a un altro libro di George R.R. Martin “Tales of Dunk and Egg” in cui il protagonista è Ser Duncan l’Alto, racchiuso in un volume con altre tre novelle intitolato, per l’appunto A Knight of the Seven Kingdoms. Lo stesso scrittore ha confermato che Ser Duncun è un antenato della stessa Brienne che, con questa cerimonia che è riuscita a farci venire la pelle d’oca, è finalmente diventata a tutti gli effetto un cavaliere. 

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Arya e Gendry

Arriva poi uno dei momenti più attesi e che ha diviso maggiormente il pubblico. 

La storia tra la piccola di casa Stark e Gendry ha finalmente un punto culminate. È proprio questa scena d’amore che ha diviso i fan, tra chi non vedeva l’ora e chi, invece, continua a pensare che il personaggio di Arya non avesse bisogno di un uomo, che non doveva abbandonarsi così ai sentimenti. 

Questa loro relazione ci fa subito pensare a una delle scene su cui si basa l’intera serie, ovvero quella della puntata pilota in cui Ned e Robert, nella cripta, parlano e il Re ricorda al suo amico Stark che lui hanno un figlio e una figlia da unire. All’epoca il riferimento era palese a Joffrey e Sansa, oggi tutti noi pensiamo che possano essere Gendry e Arya. 

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Riferimenti

Come nella prima puntata, anche in questa continuano i riferimenti. 

Il primo riguarda Tyrion che ripropone esattamente la stessa frase detta nella prima stagione “I always pictured myself dying in my bed, at the age of 80 with a belly full of wine and girl’s mouth around my cock”. A rimarcare il fatto che è una frase già sentita vediamo Jaime finirla al suo posto. 

Un altro palese riferimento è la piccola bambina che si presenta davanti a Ser Davos e Gilly a chiedere del cibo e che sembra essere pronta per la battaglia. La piccola ha una cicatrice che copre metà del volto e non può non ricordarci la principessa Shireen Baratheon. 

Non è un caso che in questa scena ci siano proprio Ser Davos e Gilly. Fu proprio la figlia di Stannis a insegnare ai due a leggere. 

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Jenny’s Song

Uno dei momenti più toccanti è quando Podrick, davanti al fuoco in compagnia di Jaime, Tyrion, Ser Davos, Tormund e Brienne, intona le note di una canzone che sembra arrivare in tutte le stanze di Grande Inverno. 

La canzone, reintitolata Jenny of Oldstone, non è la prima volta che compare nella serie e noi vi mettiamo qui il testo completo della versione di Podrick: 

“High in the halls of the kings who are gone
The ones she had lost and the ones she had found
And the ones who had loved her the most
The ones who’d been gone for so very long
She couldn’t remember their names
“They spun her around on the damp old stones
Spun away all her sorrow and pain
And she never wanted to leave
Never wanted to leave (x5)”

Durante i titoli di coda poi, Jenny Of Oldstone torna nella versione cantata da Florence and the Machine

Per il resto la puntata è una collezione di momenti collettivi, come se ci preparassero a dare l’addio finale ai personaggi. Dopo aver discusso i piani di guerra ognuno si prepara a suo modo, con le persone care al proprio fianco.

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La puntata si chiude con l’arrivo dell’Esercito dei Morti a Grande Inverno che interrompe Jon e daenerys proprio nel momento in cui lui le rivela la sua vera identità.

Non ci resta che aspettare.

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Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi

Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi

Giorgia Massari · 6 ore fa · Photography

Perché sentiamo di appartenere ad alcuni luoghi e non ad altri? Si interroga la fotografa danese Lise Johansson (1985). Da questa riflessione parte la sua ricerca, basata sull’analisi del rapporto tra l’uomo e l’ambiente che abita. Molto spesso le nostre case rappresentano ciò che siamo, sono il riflesso della nostra anima e del nostro carattere. Minimal o barocche, total white o colorate, ricche di oggetti oppure asettiche; in ogni caso, costruiamo ambienti su misura per noi, in cui sentirci a nostro agio e che diano forma alla nostra persona. Ma quando usciamo fuori casa e ci troviamo a rapportarci con altri ambienti, come il luogo di lavoro, uno studio medico o la casa di un nostro amico, entrano in gioco fattori esterni che non possiamo controllare e con cui siamo costretti a interfacciarci. Lise Johansson ragiona su queste dinamiche inconsapevoli che regolano la psicologia inconscia.

Nella serie intitolata I’m not here, la fotografa realizza una serie di autoscatti all’interno di un ospedale abbandonato. L’ambiente è asettico e di una desolazione inquietante in cui il bianco domina inesorabile. La luce del giorno entra dalle finestre, talvolta in contrasto con quella artificiale, accentuando la potenza cromatica del bianco, evidenziato ancor di più dalla carnagione lattiginosa della fotografa e dal suo abito lungo candido, tipico dei pazienti ospedalieri.
Il rapporto tra il soggetto e l’ambiente non risulta essere rilassato. Si percepisce una tensione malinconica, tipica dei soggetti rinchiusi all’interno di un luogo. La figura sembra quasi vagare come uno spettro, il suo volto non è mai visibile a causa dell’inquadratura fotografica e, negli altri casi, è nascosto dentro o dietro un oggetto – come un lavandino o uno specchio. Questo particolare consente alla donna di essere presente nello spazio ma allo stesso tempo di non abitarlo, come se la sua mente provasse a evadere in altre direzioni, cercando una via di fuga. Così come il soggetto, anche l’ambiente è vulnerabile, fermo in un limbo e sottoposto a trasformazioni. Il luogo esiste, come la donna, ma sono entità dimenticate, senza status e completamente svuotati di un’anima.

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Diego Dominici e il velo di Maya

Diego Dominici e il velo di Maya

Giorgia Massari · 4 giorni fa · Photography

Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografo Diego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serie Atman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.


Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità.
L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.

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Diego Dominici e il velo di Maya
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Tommaso Berra · 4 giorni fa · Photography

Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a Cecilie Mengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani.
Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana.
Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.

Cecilie Mengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Cecilie Mengel | Collater.al
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Isabella Ståhl è tornata a Nord

Isabella Ståhl è tornata a Nord

Tommaso Berra · 5 giorni fa · Photography

Isabella Ståhl è una fotografa svedese che si è trovata a riscoprire i paesaggi della propria infanzia dopo aver viaggiato in tutto il mondo, partendo da Stoccolma fino a New York, Parigi e Berlino. Il Nord rappresenta il punto cardinale dal quale si è spostata inizialmente, tornando poi una volta affinata la propria maturità artistica, che le ha permesso di guardare sotto una nuova luce i paesaggi rurali e malinconici della propria infanzia.
Nelle foto di Isabella Ståhl a dominare è la natura con i suoi vasti campi e gli animali selvatici e selvaggi avvolti nella nebbia, che nasconde anche tutto il resto del paesaggio come una coperta bianca. La straordinaria solitudine delle composizioni e la malinconia che entra dritta negli occhi degli spettatori sono due tra le caratteristiche principali del lavoro di Ståhl, fotografa affermata che nel corso della sua carriera artistica ha collaborato con alcuni dei più importanti brand ed editori internazionali. La sua capacità non è solamente quella di saper costruire una storia dietro ai momenti che sceglie di scattare, ma anche restituire come delle sensazioni fisiche di calore, freddezza, dei brividi che rendono protagonisti tutti coloro che si fermano a guardare le fotografie.

Isabella Ståhl è stata recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Isabella Ståhl | Collater.al
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