Ok, faccio una breve introduzione, anche se temo questo finirà col rendermi insopportabile a parecchi di voi: con le dovute eccezioni, a me i manga hanno sempre strarotto i coglioni. Con le dovute eccezioni. Non parlo degli anime, mi masturbo davanti alle produzioni della Madhouse, Studio 4°C Co. Ltd., amo lo Studio Ghibli e ovviamente sono figlio di una generazione cresciuta a Ken il Guerriero, Mazinga, Devilman, Carletto, Voltron, Starzinger e mecha vari. Ma la cultura manga da cosplayer no. No.
Con le dovute eccezioni.
Ci sono infatti artisti il cui stile è profondamente influenzato dalla tecnica e dallo stile giapponese, che ci sono cresciuti e lo hanno divorato. Artisti che sanno reinventarlo, mescolarlo, spremerlo e arricchirlo. Mi vengono in mente Jamie Hewlett, Alessandro Barbucci e Barbara Canepa, i francesi Bill, Gobi e Fabien Mense. Mi viene in mente Shan Jiang.
Shan Jiang è un illustratore e graphic designer cinese di Shanghai che lavora nel Regno Unito dal 2005, prima come senior creative per lo studio ILoveDust e adesso come partner della design company Shotopop.
I suoi lavori sono intrisi di influenze manga, frullate però con eleganza alchemica alla meticolosità della pittura cinese e all’Ukiyo-e, a tavolozze di colori esasperati che sembrano strizzati da metropoli inquinate, a un immaginario che profuma di fumetto francese, fantascienza alla Metal Urlant e underground anglosassone.
Ogni cosa nei suoi lavori si addensa guidata da corrispondenze immaginarie, la città e i suoi conflitti, la cultura e la tradizione orientale, tecnologia attuale e fantastica, biciclette e arti marziali.
E poi, tutto il colore che c’è dietro ogni cosa.