Non solo touchdown, tutti gli spot e i trailer dell’ultimo Super Bowl

Non solo touchdown, tutti gli spot e i trailer dell’ultimo Super Bowl

Giulia Guido · 4 anni fa · Art

Ha avuto luogo ieri sera, al Mercedes-Benz Stadium di Atlanta, la 53ª edizione del Super Bowl che ha visto i New England Patriots vincere sui Los Angeles Rams con un risultato di 13-3, il più basso nell’intera storia dei Super Bowl.
Essendo uno degli eventi sportivi più importanti dell’anno l’attenzione mediatica attorno ad esso è sempre molto alta, motivo per cui brand e aziende combattono per accaparrarsi gli intervalli pubblicitari e alla fine il risultato della partita finisce in secondo piano e i veri protagonisti diventano gli spot e i trailer trasmessi durante la serata.

Di Pepsi e Stella Artois ve ne abbiamo già parlato, qui vi presentiamo gli altri assolutamente imperdibili.

NFL (National Football League)

Il divertente spot della National Football League vuole rispondere a una sola domanda: I più grandi e più competitivi giocatori della NFL si sono riuniti per il Gala per la centesima stagione, cosa potrà mai andare storto? Noi sappiamo che Tom Brady si è tolto tutti i suoi anelli per entrare nella mischia.

 

Burger King

Nessuno sa resistere a un Whooper, il panino preferito in America, neanche Andy Warhol. Nello spot di Burger King l’artista si gusta in tutta tranquillità il suo panino, dimostrando che alcune cose non passano mai di moda.

 

Pampers

Pampers celebra lo speciale rapporto che i bambini hanno con i loro papà e per farlo ne ha chiamati due d’eccezione. I pannolini sembrano non avere segreti per John Legend e Adam Levine, che cambiano i loro figli remixando la canzone Stinky Booty Duty.

https://youtu.be/S9A9Uw9e2p8

 

Amazon

Il colosso delle vendite online ha assoldato una serie di volti noti, tra cui Harrison Ford, Forest Whitaker, Ilana Glazer, Abbi Jacobson e i gemelli della Nasa Mark e Scott Kelly, per lo spot Not everything makes the cut (non tutto ha successo). Il video scherza sui problemi che si possono riscontrare utilizzando Alexa, l’assistente di Amazon, con degli esempi che fanno morir dal ridere.

https://youtu.be/8y-1h_C8ad8

 

Michelob Ultra

La mania dell’ASMR ha invaso anche la serata del Super Bowl, a far rilassare gli oltre 70 mila spettatori è stata la voce di Zoë Kravitz, inspirata dalla leggerezza della birra organica Michelon Ultra.

https://youtu.be/HKlq-j0v0nw

 

Washington Post

Il Washington Post, uno dei quotidiani più diffusi e letti in America, prende al balzo l’occasione per mandare un messaggio forte, giusto e (nell’America di Trump) necessario: Democracy Dies in Darkness. Ogni giorno centinaia di reporter e giornalisti rischiano la vita per riuscire a far chiarezza su ciò che succede nel mondo, per far sì che ognuno sappia e conosca la verità, perché sapere ci rende più forti, sapere ci aiuta a decidere, sapere ci rende liberi.

 

Game of Thrones X Bud Light

Nello spot della birra Bud Light piombiamo direttamente nel mondo di Game Of Thrones. Riprendendo una scena della serie, il cavaliere che veste i colori della birra sfida a duello la Montagna, perdendo miseramente, ma ciò non servirà a salvarlo dalle fiamme del drago che arriva a incenerire tutto, ricordando che la stagione finale di GoT sta arrivando.

 

Captain Marvel e Avengers: Endgame

A un evento del genere non potevano mancare gli eroi Marvel. La serata è stata, infatti, animata dai nuovi trailer degli attesissimi Captain Marvel e Avengers: Endgame, che usciranno nelle sale rispettivamente l’8 marzo e il 24 aprile 2019.

 

Toy Story 4

Finalmente scopriamo qualcosa di più anche su quello che si prospetta essere il film d’animazione dell’anno, che uscirà al cinema il 21 giugno in America e il 27 giugno in Italia, Toy Story 4.

 

The Handmaid’s Tale

Passando dal cinema alla tv, Hulu ha rilasciato il trailer della terza stagione di The Handmaid’s Tale, la serie fenomeno che ha appassionato migliaia di spettatori. Io, personalmente, non vedo l’ora di una rivolta da parte delle Ancelle.

 

Hulu ha anche prodotto uno spot che ha svelato il nome del creativo dietro al profilo Instagram @world_record_egg e il motivo della creazione di questo account. In un breve spot di trenta secondi dal titolo The Reveal vediamo l’uovo rompersi perché troppo sotto pressione. L’intero progetto firmato Chris Godfrey, un creativo di 29 anni, è stato realizzato per sensibilizzare il popolo di internet sui problemi mentali causati dall’abuso e dalla pressione che i social network possono causare.

 

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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Tommaso Berra · 5 giorni fa · Photography

Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a Cecilie Mengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani.
Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana.
Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.

Cecilie Mengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Cecilie Mengel | Collater.al
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
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Diego Dominici e il velo di Maya

Diego Dominici e il velo di Maya

Giorgia Massari · 4 giorni fa · Photography

Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografo Diego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serie Atman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.


Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità.
L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.

Diego Dominici | Collater.al
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6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith

6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith

Tommaso Berra · 2 giorni fa · Photography

È stato prima un grande insegnante, educatore e saggista, poi anche un grande fotografo, che ha legato la propria carriera al ritratto e più avanti al mondo della moda. Nel corso della sua carriera di Rodney Smith (1947-2016) ha rappresentato scene meticolosamente costruite, umoristiche, paradossali, romantiche e divertenti, che verranno ora raccolte in un volume intitolato “Rodney Smith: A Leap of Faith“, contenente oltre duecento fotografie – alcune inedite – appena acquisite dal J. Paul Getty Museum.
Il progetto e l’acquisizione di Getty ripercorrono una traiettoria creativa che ha fatto della fantasia e dell’eleganza un vero filone fotografico. Gli spettatori sono invitati ad attivare un confronto con il surrealista René Magritte, il pittore che per temi e soggetti si avvicina maggiormente a Rodney Smith, mentre il curatore del Getty Museum Paul Martineau descrive Smith: “…come Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, le sue fotografie ci conducono nella tana del coniglio in un luogo fantastico che è appena fuori dalla nostra portata ma destinato a ispirarci a essere versioni migliori di noi stessi”.

Collater.al ha selezionato sei tra le più belle fotografie di Rodney Smith: A Leap of Faith, l’impressione è quella di avere davanti frame di un film fantastico o scene di un grande musical in costume, con i protagonisti che si trovano a ballare e baciarsi sopra il tetto di un taxi giallo di New York.

Rodney Smith | Collater.al
Figure 1 Twins in the Tree, Snedens Landing, New York, 1999 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 41 Self-Portrait with Leslie, Siena, Italy, 1990 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 86 A.J. Chasing Airplane, Orange County Airport, New York, 1998 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 110 Reed Leaping Over Rooftop, New York, New York, 2007 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 115 Wessel Looking Over the Balcony, Paris, France, 2007 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 126 Edythe and Andrew Kissing on Top of Taxis, New York, New York, 2008 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith
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Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi

Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi

Giorgia Massari · 13 ore fa · Photography

Perché sentiamo di appartenere ad alcuni luoghi e non ad altri? Si interroga la fotografa danese Lise Johansson (1985). Da questa riflessione parte la sua ricerca, basata sull’analisi del rapporto tra l’uomo e l’ambiente che abita. Molto spesso le nostre case rappresentano ciò che siamo, sono il riflesso della nostra anima e del nostro carattere. Minimal o barocche, total white o colorate, ricche di oggetti oppure asettiche; in ogni caso, costruiamo ambienti su misura per noi, in cui sentirci a nostro agio e che diano forma alla nostra persona. Ma quando usciamo fuori casa e ci troviamo a rapportarci con altri ambienti, come il luogo di lavoro, uno studio medico o la casa di un nostro amico, entrano in gioco fattori esterni che non possiamo controllare e con cui siamo costretti a interfacciarci. Lise Johansson ragiona su queste dinamiche inconsapevoli che regolano la psicologia inconscia.

Nella serie intitolata I’m not here, la fotografa realizza una serie di autoscatti all’interno di un ospedale abbandonato. L’ambiente è asettico e di una desolazione inquietante in cui il bianco domina inesorabile. La luce del giorno entra dalle finestre, talvolta in contrasto con quella artificiale, accentuando la potenza cromatica del bianco, evidenziato ancor di più dalla carnagione lattiginosa della fotografa e dal suo abito lungo candido, tipico dei pazienti ospedalieri.
Il rapporto tra il soggetto e l’ambiente non risulta essere rilassato. Si percepisce una tensione malinconica, tipica dei soggetti rinchiusi all’interno di un luogo. La figura sembra quasi vagare come uno spettro, il suo volto non è mai visibile a causa dell’inquadratura fotografica e, negli altri casi, è nascosto dentro o dietro un oggetto – come un lavandino o uno specchio. Questo particolare consente alla donna di essere presente nello spazio ma allo stesso tempo di non abitarlo, come se la sua mente provasse a evadere in altre direzioni, cercando una via di fuga. Così come il soggetto, anche l’ambiente è vulnerabile, fermo in un limbo e sottoposto a trasformazioni. Il luogo esiste, come la donna, ma sono entità dimenticate, senza status e completamente svuotati di un’anima.

Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi
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