Il Festival delle Capanne da Villa Medici

Il Festival delle Capanne da Villa Medici

Giorgia Massari · 4 mesi fa · Design

Nel contesto della Villa Medici di Roma e nei suoi meravigliosi giardini, torna con la sua seconda edizione il Festival des Cabanes, organizzato dall’Académie de France e visitabile fino al 1 ottobre 2023. Quest’anno sono sette i progetti site-specific realizzati appositamente dai collettivi di architetti e studi di designer ArchiSculpteurs, Atelier CRAFT, Atelier Poem, Aurel Design Urbain, Nelson Wilmotte Architectes, offset e orizzontale.

Festival des Cabanes | Collater.al

Le opere esplorano il concetto di effimero e di struttura non-struttura con uno sguardo ambientalista, attraverso l’utopia della capanna. Tutti i materiali sono infatti riciclati o fanno parte di un approccio ecologico, inserendosi perfettamente nel contesto del giardino, che ospiterà le opere per i prossimi cinque mesi. 

Il concetto di capanna è qualcosa di arcaico, che appartiene all’uomo da millenni e, allo stesso tempo, ha un forte rimando infantile. In entrambi i casi, la capanna riassume al meglio la capacità di adattamento umano e la necessità di costruirsi un riparo, un luogo che possa essere chiamato “casa”. Da sempre le capanne sono concepite con materiali naturali e addirittura si servono e si adattano alla conformazione del luogo. Nel contesto del Festival des Cabanes avviene proprio questo: l’architettura entra in dialogo con la natura, mentre quest’ultima la accoglie, amalgamandola a sé. La riflessione è spinta verso un ripensamento del rapporto abitazione-contesto ambientale. “Tra una casa e un albero, scegliete l’albero” diceva l’architetto Carlo Scarpa ma, per quanto sia vero, questo festival ci dimostra come oggi disponiamo dei mezzi e delle conoscenze per trovare una coesistenza rispettosa tra i due discorsi, apparentemente opposti.

Di seguito uno sguardo sulle sette originali capanne e i loro ideatori, che senza dubbio andrebbero apprezzate dal vivo, nel loro habitat naturale, quello della Villa Medici. 

#1 La cabane Batouto di ArchiSculpteurs invita ad immaginare il disordine e a concepire il rifugio come qualcosa di istintivo e poetico, immergendosi nella natura diventando il paesaggio stesso.

Festival des Cabanes | Collater.al
Schizzi © ArchiSculpteurs Modello realizzato da ArchiSculpteurs © François Rousseau
Schizzi © ArchiSculpteurs
Festival des Cabanes | Collater.al
Schizzi © ArchiSculpteurs Modello realizzato da ArchiSculpteurs © François Rousseau

#2 La Parasol Tree House di Atelier CRAFT è un prototipo di albero meccanico che riflette sul ciclo della vita dell’uomo in relazione ai cicli naturali, in particolare nel contesto del cambiamento climatico. La struttura ha la funzione di raccogliere l’acqua piovana, soprattutto in un periodo in cui le piogge sono sostanziali e ci avviciniamo a quelle estive, e ridistribuire l’acqua sul terreno in modo graduale durante i periodi di siccità.

#3 La timidezza delle cime di Atelier Poem è un elogio ai boschi sacri in cui la figura simbolo è il pino marittimo, protagonista del paesaggio romano. L’opera è posta all’ingresso del giardino, fungendo da soglia, da spazio intermedio tra fuori e dentro. L’effetto estetico è quello di un mosaico in cui avviene una trasposizione astratta della silhouette della foresta.

Festival des Cabanes | Collater.al
Timidezza delle cime © Atelier Poem

#4 Tutto Sesto di Aurel Design Urbain si inserisce nello spazio come invito al visitatore di sedersi all’ombra dei grandi pini del giardino, ispirandosi alle modanature dell’architettura rinascimentale. Interagisce con l’ambiente senza invaderlo con l’intenzione funzionale di contenere la deambulazione dei visitatori.

Festival des Cabanes | Collater.al
© Studio Aurel 2023

#5 AWA di Nelson Wilmotte Architectes la nuova creazione COPACABANON, è una capanna autonoma concepita per essere posizionata in una zona solitaria. L’estetica rimanda inevitabilmente alle costruzioni tradizionali giapponesi, grazie alle sue linee semplici e alla sua dimensione ridotta (8 m²) capace di contenere tutti gli ambienti domestici.

© Nelson Wilmotte Architetti

#6 Il ponte del progetto Vivere Pontis di offset mette in scena l’attraversamento delle siepi e il percorso attraverso una serie di livelli che consentono una salita a vari ritmi, così da fornire nuove prospettive sul paesaggio.

#7 La Libraire 7L di orizzontale ospita una selezione di libri che mettono in risalto le interazioni tra architettura e natura. Questa selezione esplora il lavoro di architetti, artisti, fotografi e filosofi.

Festival des Cabanes | Collater.al
© orizzontale
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Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Giulia Guido · 2 giorni fa · Photography

Quando fotografi americani o europei si spingono nel cuore dell’Africa tornano a casa con scatti bellissimi, ma che spesso non rispecchiano la realtà. Così ci siamo abituati a un volto del continente africano che certamente esiste, ma non è l’unico: pensando a paesi come il Ghana, la Nigeria, il Benin e molti altri ci vengono in mente immagini caratterizzate da colori cupi, poco saturi e legate a storie dall’accezione negativa. Forse è proprio per questo che le fotografie di Derrick Ofosu Boateng ci sorprendono talmente tanto da farci venire il dubbio che siano finte, che siano scattate su un set preparato ad hoc, da un’altra parte del mondo. Invece no. Classe 1999, Derrick Ofosu Boateng è nato in Ghana e oggi vive nella sua capitale, Accra, che qualche anno fa si è trasformata nel suo set personale, sempre pronto per la prossima fotografia. 

Al contrario di molti, che hanno iniziato con corsi in accademie o università, Boateng ha cominciato a scattare solo quando il padre, per supportare la sua passione, gli ha regalato un iPhone, che è diventato immediatamente il mezzo attraverso il quale restituire una visione personale del Ghana. Allontanandosi dall’immaginario comune, le fotografie di Derrick Boateng immortalano la vera anima del suo Paese formata dalle persone che lo vivono. 

Dimenticatevi i grigi perché i suoi scatti sono una vera e propria esplosione di colori, vibranti e iper-saturi, la migliore dimostrazione di quanto la fotografia possa essere pop. 
Quello di Boateng è un punto di vista diverso, e forse il punto di vista di cui avevamo bisogno, su una cultura e una terra troppo legate a una narrazione negativa creata da chi quella terra non la vive tutti i giorni e non la chiama casa.

ph. courtesy Derrick Boateng

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
Photography
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Ciò che viene nascosto

Ciò che viene nascosto

Giorgia Massari · 1 giorno fa · Photography

Le parole chiave di questo testo, ricorrenti e fondamentali per osservare le fotografie qui di seguito, si possono ritrovare nella fisicità, nell’orientamento sessuale, nel patriarcato e nella nudità. Ciò che questi termini, o meglio, questi macro-argomenti, hanno in comune è la penombra e, in alcuni casi, la totale assenza di luce. Con questi scatti e con questa riflessione, si ha l’intenzione di condurli fuori dal buio al quale spesso sono condannati. Illuminarli dunque, con la speranza che essi possano diventare temi condivisi e assorbiti nel tessuto sociale. Ciò che è vero e facilmente riscontrabile, è la difficoltà di affrontare determinati temi, soprattutto in relazione alla sfera femminile. Il corpo di una donna e come lei stessa si sente a riguardo, così come il suo orientamento sessuale, la sua posizione nella società o il suo stesso corpo nudo, sembrano essere ancora oggi temi disdicevoli o addirittura, in particolar modo in alcune società, proibiti e condannabili. Seppur una fetta della popolazione mondiale si stia muovendo in un’ottica di consapevolezza, accettazione e inclusione, questi temi non vengono mai del tutto sviscerati e trattati con la giusta attenzione. Attraverso la fotografia – e più in generale con l’arte – molte donne si sono espresse a riguardo. Qui sono le fotografe Giulia Frump, Leah DeVun, Rachel Feinstein e Despina Mikonati a parlarci di tutto ciò, con il loro sguardo femminile e intimo. 

Giulia Frump

Quattro fotografe distanti tra loro, in termini stilistici e contenutistici. Lontane geograficamente e anagraficamente, ma che trovano un loro punto di incontro nella volontà di urlare il loro desiderio di libertà al mondo. Osservando i loro scatti, emergono i quattro macro temi sopracitati, accomunati da un senso di liberazione e dalla volontà di rappresentare ciò che per secoli è stato nascosto. In Giulia Frump lo stereotipo del corpo femminile, l’ideale di perfezione del nostro secolo, viene superato da una danza di curve, linee morbide che si «adagiano in un abbraccio di pacificazione», come afferma la stessa fotografa. Lo stesso ricongiungimento con l’essenza del sé trova una particolare forma aurea negli scatti di Despina Mikoniati, che nel suo progetto Epilithic amalgama il corpo femminile con Madre Natura. «Madre Natura è colei che ci fa nascere e ci porta via. È la casa dei nostri corpi. Un luogo sicuro in cui esistere così come siamo», afferma Despina.

Despina Mikoniati

Se da un lato, Frump e Mikoniati indagano l’aspetto corporeo in relazione all’ambiente e al sé, le due fotografe Rachel Feinstein e Leah DeVun pongono la donna in stretto contatto con la sfera sociale che oggi abita. Feinstein affronta il tema universalmente, ragionando sul patriarcato e sullo spazio che le donne occupano nella società odierna. Ancora di più, la fotografa riflette sul modo in cui le donne vengono viste e rappresentate dallo sguardo maschile, facendo un particolare riferimento alla cinematografia degli anni Quaranta e Cinquanta, nel quale la condizione casalinga era particolarmente evidente. In questo senso, Rachel gioca su questi elementi, inserendo nei suoi scatti oggetti legati alla sfera femminile – quali il ferro da stiro, i tacchi, il tacchino arrosto su una tavola imbandita – ed esalta la condizione di reclusione domestica. La sua intenzione è quella di creare un disagio negli occhi di chi guarda, con l’obiettivo «di portare l’attenzione sui piccoli momenti che costituiscono l’esperienza femminile più ampia e di incoraggiare conversazioni che ispirino il cambiamento.»

Rachel Feinstein

Leah DeVun, invece, sceglie di rappresentare un gruppo specifico di donne che da questo tipo di società ha scelto di evadere. Sono i gruppi di donne lesbiche che, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, ma anche oggi, hanno deciso di formare comunità utopiche e rivoluzionarie per portare avanti la liberazione del genere femminile. La ricerca di DeVun è volta a riscoprire queste comunità, taciute e nascoste, che costituiscono luoghi di grande creatività e cultura. «La visibilità è fondamentale per qualsiasi comunità, ma le lesbiche hanno subìto molte cancellazioni storiche e mancanza di rappresentazione» – afferma Leah DeVun, aggiungendo – «non vediamo abbastanza immagini di lesbiche o non conosciamo la storia delle lesbiche. Nelle comuni, le donne fotografe cercavano di contrastare questa invisibilità creando le loro immagini della vita lesbica, e anch’io sto cercando di farlo con il mio lavoro.»

Leah DeVun

Seguendo il fil rouge che unisce le quattro protagoniste di questo testo, si scoprono altrettanti artisti che oggi scelgono di affrontare discorsi considerati ostici e complessi, con l’intenzione di svicerarli fino a ridurli all’osso. Per cucirli, dunque, all’interno del tessuto della normalità, per non considerarli più temi altri, ma parte dell’ordinario flusso sociale.

Despina Mikoniati

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Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Anna Frattini · 5 ore fa · Photography

Nel mondo della fotografia di moda, dove la perfezione e la giovinezza vengono spesso messe al primo posto, Celine van Heel si distingue come una fotografa che abbraccia l’autenticità e l’unicità. Nata ad Atene e di origine spagnola e olandese, il viaggio di Celine nella fotografia è iniziato solo tre anni fa, ispirata da suo nonno che a 91 anni è anche diventato uno dei suoi soggetti. La sua bravura nel catturare momenti estremi ed esagerati l’ha portata a realizzare immagini che sfidano le norme convenzionali della fotografia di moda per come la conosciamo. Ma come si intrecciano le fotografie di Celine Van Heel con la fotografia di moda?

La magia degli scatti di Celine van Heel sta sicuramente nella sua visione distintiva che celebra individualità e inclusività. Il percorso di Celine nel mondo della fotografia ha preso una svolta a partire dalla sua avventura con “The Spanish King”, un account Instagram dove decide di condividere fotografie che ritraggono suo nonno come modello. Attraverso questo approccio, la fotografa ha iniziato un viaggio alla scoperta della bellezza delle rughe e dell’invecchiamento, dimostrando come l’età non dovrebbe mai essere un fattore limitante, neanche nella fotografia

Gli scatti di Celine non potevano che essere notati da prestigiose riviste come Vogue, GQ e L’Officiel. Queste collaborazioni dimostrano che modelli non convenzionali possono lanciare messaggi altrettanto potenti e ispirare cambiamenti all’interno di un settore così complesso come quello della moda. Celine crede nell’uso della fotografia di moda come strumento utile al cambiamento, incoraggiando l’industria a ridefinire i suoi standard e ad abbracciare la diversità, indipendentemente dall’età o dall’aspetto dei modelli. 

Il processo creativo di Celine Van Heel si intreccia con la fotografia di moda in modo autentico, liberatorio e d’impatto. La sua decisione di presentare suo nonno come modello sfida le nozioni di bellezza ed età all’interno del settore. Attraverso il suo lavoro, incoraggia la moda ad abbracciare diversità e unicità, fornendo agli individui tutti gli strumenti per sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Con il suo audace uso del colore e dell’estro creativo, le immagini di Celine vanno oltre la fotografia di moda convenzionale, trasformandola in una forma d’arte vera e propria.

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Courtesy Celine Van Heel

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda
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Cinque foto scattate al momento giusto

Cinque foto scattate al momento giusto

Collater.al Contributors · 5 giorni fa · Photography

Il tempismo è tutto. Lo sanno bene i fotografi street che passano ore ad aspettare il momento giusto per realizzare uno scatto sensazionale. Per creare una composizione che agli occhi del pubblico potrebbe sembrare “fortunata” e casuale. In realtà, dietro questi scatti c’è uno straordinario sincronismo tra occhio, mente e macchina fotografica. Oggi abbiamo selezionato cinque scatti per esplorare l’abilità di questi fotografi, testimoniando come abbiano saputo cogliere istanti fugaci che trasformano una semplice immagine in una storia senza tempo.

#1 Lorenzo Catena

© Lorenzo Catena

#2 Dimpy Bhalotia

© Dimpy Bhalotia

#3 Giuseppe Scianna

© Giuseppe Scianna

#4 Federico Verzi

© Federico Verzi

#5 Andrea Torrei

© Andrea Torrei

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Giuseppe Scianna
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Selezione di Andrés Juan Suarez

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