Esattamente due anni fa inaugurava a Milano – in zona Porta Venezia – un nuovo spazio per l’arte contemporanea, L.U.P.O. Lorenzelli Upcoming Projects. Dopo due anni di una fitta programmazione, lo spazio è ormai affermato per la sua attenzione alle ultime tendenze e si distingue per lo sguardo attento rivolto agli emergenti. Il gallerista Massimiliano Lorenzelli (1995) tiene l’occhio puntato sulla Royal Academy di Londra, oltre a conoscere molto bene il panorama artistico milanese, dal quale ha scovato, tra gli altri, la sua ormai affezionata artista Giuditta Branconi, ma anche quello internazionale, seguendo – e in alcuni casi anticipando – le tendenze. Con la mostra di Rachel Hobkirk, inaugurata ieri 13 settembre, L.U.P.O. si riconferma come punto di riferimento per l’arte contemporanea emergente. Uno spazio da tenere d’occhio per entrare in contatto con nuovi artisti italiani e internazionali, quasi sempre super colorati e con ricerche inaspettate.

Inaspettata è anche la mostra ora in corso, dal titolo Baby Talk, che ospita le opere della giovane artista scozzese Rachel Hobkirk (1995). I dipinti della Hobkirk scelgono come soggetto la bambola, simbolo attraverso il quale l’artista esplora l’interazione tra il surrealismo, lo sguardo maschile, la cultura del consumo e la mercificazione della femminilità. Scegliendo un soggetto molto discusso come la bambola, l’artista esprime un vivace commento sull’ossessione della nostra società moderna per la “carineria” e la manipolazione della rappresentazione femminile, il tutto sfidando le norme convenzionali.

A prima vista, i dipinti di Hobkirk colpiscono per la loro straordinaria estetica e per la tecnica impeccabile. Grandi e piccole tele realizzate ad olio con una grande cura per i dettagli. Le superfici sono lisce, quasi “umide”, e i colori brillantemente saturi sono in grado di evocare una sensazione di familiarità, ricordando il mondo della pubblicità digitale. Questo collegamento al mondo dei media non è casuale; è una scelta deliberata dell’artista. Hobkirk abilmente incorpora strati di sottopittura ad olio per intensificare l’effetto luminoso dei suoi colori, creando un’esperienza visiva che fa eco all’attrattiva delle pubblicità contemporanee. In questo modo, oltre alla familiarità, evoca un senso di inquietudine dettato soprattutto dal taglio molto ravvicinato che affida ai soggetti, facendo emergere dettagli spesso inosservati. Dalle linee dei capelli disturbanti alle labbra provocanti e alle palpebre enigmatiche.


Le figure all’interno di “Baby Talk” ci invitano a interrogarci su ciò che si cela dietro la maschera. Chi sono queste bambole e quali storie custodiscono al loro interno? Il lavoro di Hobkirk ci invita a confrontarci con l’ambiguità dell’identità e della rappresentazione, riflettendo sulle profondità di significato che esistono al di sotto della superficie.


Courtesy Rachel Hobkirk & L.U.P.O