Avete mai sentito la parola Yoni? Probabilmente i più spirituali di voi sì. Yoni è infatti il termine sanscrito (lingua sacra e antica dell’India) che si riferisce ai genitali femminili, ma non solo, più in generale indica un luogo sacro che veniva associato proprio alla vagina, culla primordiale da cui ha origine la vita. Oggi parleremo della forte simbologia che da millenni è custodita nell’organo femminile e della sua rappresentazione nel corso dei secoli. Come siamo passati da una venerazione della vulva a una sua totale censura? Come siamo arrivati oggi a pseudo liberare la vulva dai riferimenti sessuali?

Facendo un salto molto indietro nel tempo, arrivando al Paleolitico e al Neolitico, ci accorgiamo di come la rappresentazione femminile, legata alla fertilità, appaia ben prima rispetto a quella maschile. Per gli antichi indiani la Yoni, ovvero la vulva sacra, era oggetto di venerazione. Le incisioni murarie della Yoni, scolpite sulle rocce e rappresentate da un triangolo con la punta verso il basso, sono tra le più arcaiche manifestazioni umane di sacro. La più antica e conosciuta è senza dubbio la Venere di Willendorf del 24.000 a.C. – nel 2018 diventata tema di scandalo perché Facebook, considerandola un’immagine pornografica, la rimosse dalla piattaforma – in cui è ben visibile la vulva sacra.

Per secoli dunque la Yoni è stata venerata in diverse culture, soprattutto da quelle orientali, ma con la nascita di nuove religioni di stampo patriarcale, queste pratiche divennero minori, segrete e acquistarono una componente esoterica. Soprattutto in Occidente, con la nascita del Cristianesimo, assistiamo a una completa censura della yoni e, più in generale, del corpo femminile in un’ottica sessuale. Ci toccò aspettare il trascorrere di lunghi secoli di oppressione femminile, per giungere a una pseudo liberazione della simbologia della yoni, o vulva, o vagina. Ora non più associato a qualcosa di proibito, da tenere nascosto per pudore, ma associato invece alla femminilità e alla forza della vita.

Un momento di svolta avvenne sul finire dell’Ottocento con una serie di scandali legati all’arte e alla rappresentazione dell’anatomia femminile. Basti pensare alla famosissima Olympia di Édouard Manet, che ritrae una prostituta completamente nuda, in una posizione fiera e sfacciata. Manet in quel periodo era diventato il re degli scandali, su tutti con l’opera Le déjeuner sur l’herbe. Attenzione, ciò non significa che fino ad allora i nudi femminili fossero inesistenti, anzi, ma erano tutti legati alla sfera divina (dee, ninfe, allegorie, vizi o virtù) o a quella mitologica, che rendevano il tutto più tollerabile. In Manet ad essere nuda è una donna comune, addirittura una prostituta. C’è da dire che nell’opera di Manet la nostra Yoni non si vede, il pittore pre-impresionista non azzarda del tutto ma mantiene un certo pudore, infatti la mano dell’Olympia compre i genitali.

Appena tre anni dopo, l’asticella si alza: Gustave Courbet rappresenta il primo piano di una vulva e la intitola L’origine del mondo (1866). La particolarità dell’opera è senza dubbio il suo potere seduttivo, che però si discosta da una sfera pornografica e maliziosa. Un momento privato e quotidiano viene mostrato in modo realistico al grande pubblico. L’opera è esposta al Musée d’Orsay di Parigi e testimonia come ancora oggi una nudità così esplicita possa destare un certo scandalo. Quasi 150 anni dopo, l’artista tedesca Rosemerie Trockel rielabora l’opera di Courbet, realizzando il fotomontaggio Replace me (2009) in cui i peli pubici sono sostituiti da una tarantola. La figura dell’animale, considerato mortale, crea un parallelismo tra la vulva e qualcosa di pericoloso, evidenziando come ancora nel nuovo millennio faccia “paura” parlare apertamente dei genitali femminili.

Possiamo dire che da Courbet, bisognerà attendere quasi cent’anni per assistere a una presa di posizione che porterà ad una liberazione della Yoni nella sfera visiva e nella cultura di massa. A partire dagli anni sessanta e settanta del ‘900, una serie di artisti, soprattutto donne, iniziarono a praticare performance, installazioni e più in generale a creare opere d’arte di ogni tipo, con protagonista la vulva. Il lato proibito venne rivelato. La vulva si svincola da riferimenti sessuali e diventa il veicolo di messaggi rivoluzionari in un’ottica femminista.

Partiamo con elencarne alcuni e a soffermarci sui più interessanti e singolari.
Nel 1965 l’artista Shigeko Kubota realizza il Vagina Painting, utilizzando la propria vagina per guidare il pennello e tracciare in questo modo linee rosse su un foglio di carta. Più recentemente, nel 2015, è l’artista svizzera Milo Moiré, in una posizione simile, a realizzare una serie di performance che prevedono la creazione di tele attraverso la caduta di uova colorate, espulse direttamente dalla sua vagina.

L’arte è sempre di più a servizio dell’emancipazione femminile, o meglio, la nostra yoni diventa strumento e soggetto di una serie di ricerche artistiche volte allo scardinamento di certezze patriarcali e maschiliste. In questo senso, non è più solo la rappresentazione del corpo o l’utilizzo dello stesso ad essere il protagonista, ma prendono piede diverse declinazioni, soprattutto legati a tabù come le mestruazioni. In quest’ottica è Judy Chicago nel 1971 a realizzare l’opera Red Flag, una foto-litografia che riprende una donna nell’atto di rimuovere il tampone insanguinato, successivamente anche Carolee Schneeman tratta del tema con la performance del 1983 dal titolo Fresh Blood: a Drewam Morphology, così come Tamara Wyndham che nei suoi Vulva Prints realizza impronte della sua vulva insanguinata.


Parlando di contemporaneità, sono molti gli artisti a realizzare illustrazioni e opere di ogni genere sul tema, oggi in maniera più libera, potendosi permettere un linguaggio più leggero, a volte ironico, a volte informativo. In questo senso è interessante citare il primo museo dedicato alla vagina, situato all’interno del Camden Market di Londra. Aperto nel 2019, il Vagina Museum celebra “qualsiasi persona con una vagina” con uno sguardo transfemminista e inclusivo, invitando soprattutto ad un’informazione accurata sul tema. Per l’occasione, l’illustratrice Charlotte Willcox realizza dieci illustrazioni divertenti e informative, con l’intenzione di sdoganare dei falsi miti. Sulla stessa scia, Hilde Sam Atalanta crea la pagina Instagram educativa @the.vulva.gallery.
La strada è ancora lunga ma, forse, un giorno riusciremo liberarci completamente dalla malizia, tornando a quella purezza che avevano i nostri antenati induisti nel concepire la forza della yoni. Intanto, continueremo a seguire tutti quegli gli artisti che la celebrano, rappresentandola nella sua bellezza e svelandone i “misteri”.

